Il sequestro della corrispondenza del detenuto
29 Luglio 2015
Massima
La disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui agli artt. 266 e seguenti c.p.p., non è applicabile alla corrispondenza, dovendosi per la sottoposizione a controllo e la utilizzazione probatoria del contenuto epistolare seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli artt. 254 e 353 c.p.p. e, trattandosi di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalità stabilite dall'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario. Il caso
Il 4 marzo 2011 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli emetteva nei confronti dell'indagato B.P., su richiesta del P.M., una ordinanza cautelare con cui quest'ultimo veniva sottoposto alla misura della custodia in carcere per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso di cui all'art. 416-bis c.p. Decisive per l'applicazione di tale misura coercitiva erano state le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che indicavano il B.P. non soltanto come appartenente al clan camorristico D., ma, soprattutto, come elemento fondamentale per la sopravvivenza dello stesso clan. Tali dichiarazioni avevano, poi, trovato riscontro e conferma nell'intercettazione dei colloqui in carcere del detenuto R. e del contenuto della corrispondenza epistolare di quest'ultimo. B.P. insieme ad altri indagati proponeva riesame, eccependo l'inutilizzabilità delle missive intercettate. Il tribunale della libertà confermava l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, evidenziando che le intercettazioni “costituivano un quadro gravemente indiziante della partecipazione del B.P. al clan D., rilevando che le dichiarazioni dei collaboratori erano precise ed univoche” ed esternamente riscontrate. Rigettava, così, l'eccezione della difesa in virtù di un orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte che riteneva opportuno dover applicare in via analogica la disciplina sulle intercettazioni telefoniche, di cui agli artt. 266 ss. c.p.p., alle intercettazioni di corrispondenza, sulla base del fatto che l'art. 18-ter ord. pen., secondo il quale il detenuto deve essere immediatamente informato in caso di trattenimento della corrispondenza, ha una finalità preventiva incompatibile con la fase delle indagini preliminari. Avverso tale ordinanza, così come confermata dal tribunale del riesame, il B.P. proponeva personalmente ricorso adducendo, tra i numerosi motivi, l'inutilizzabilità degli elementi di prova desumibili dalla corrispondenza epistolare intercettata, perché non sussumibile nella disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 ss. c.p.p. Il ricorso, assegnato alla Sesta Sezione Penale, veniva, con ordinanza del 5 dicembre 2011, rimesso alle Sezioni unite a norma dell'art. 618 c.p.p., considerata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale. La questione
Le Sezioni unite, nella sentenza in esame, sono chiamate a chiarire se sia possibile applicare o meno alla sottoposizione a controllo e all'acquisizione probatoria di corrispondenza del detenuto la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni, di cui agli artt. 266 ss. c.p.p. Invero, il tribunale del riesame, nel rigettare l'eccezione della difesa, aveva richiamato la sentenza Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2007, n. 3579, secondo la quale era possibile applicare in via analogica la disciplina per le intercettazioni di comunicazioni anche alla intercettazione di corrispondenza, pur se vi erano soluzioni di segno opposto (Cass. pen., Sez. II, 13 giugno 2006, n. 20228; Cass. pen., Sez. VI, 13 ottobre 2009, n. 47009). Inoltre, nel rimettere la questione alle Sezioni unite, la Sesta Sezione rileva come l'art. 15 Cost. prevede una assoluta riserva di legge e di giurisdizione in merito alla compressione della libertà e segretezza della corrispondenza che, inviolabili, possono essere limitate soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie previste dalla legge. Prevedere, pertanto, una applicazione analogica della disciplina delle intercettazioni di comunicazioni anche alle intercettazioni di corrispondenza significherebbe compromettere diritti costituzionalmente garantiti. Le Sezioni unite ritengono che l'orientamento della sentenza 3579/2007, sposato dal tribunale di Napoli, non abbia fondamento giuridico, dovendosi, invece, preferire l'orientamento contrario condiviso dall'altro filone interpretativo e compendiato nelle sentenze citate. Invero, secondo quest'ultimo orientamento, l'intrusione investigativa nella corrispondenza rientra nell'art. 254 c.p.p. che ha ad oggetto il tipico sequestro presso gestori di servizi postali e che incide sui principi tutelati dagli artt. 15 Cost. e art. 8 Cedu. Secondo la Suprema Corte rientra nella nozione di corrispondenza anche quella che viaggia negli istituti di detenzione, spedita dal detenuto o a lui diretta, e che quest'ultimo ha diritto a vedere inoltrata o a ricevere, posto che non sono cose di cui l'amministrazione carceraria abbia disponibilità. Proprio la condizione di costrizione del detenuto ha spinto il legislatore, a seguito di numerose decisioni della Corte Edu, a regolamentare l'intrusione dell'autorità giudiziaria nella corrispondenza che transita negli istituti penitenziari, con la previsione di limiti temporali e della facoltà di reclamo (art. 18-ter ord. pen.). Pertanto, l'autorità giudiziaria può disporre l'apprensione in forma occulta del contenuto della corrispondenza del detenuto ma quest'ultimo deve essere immediatamente informato che le sue missive sono state trattenute. Le Sezioni unite ribadiscono che non può condividersi quanto sostenuto nella citata sentenza 18 ottobre 2007, n. 3579, perché la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni non può essere applicata in via analogica alla apprensione probatoria di corrispondenza epistolare di un detenuto, poiché quest'ultima rientra nell'apposita disciplina del sequestro di corrispondenza. Non può esimersi da una diversa considerazione, in virtù della riserva di legge e di giurisdizione prevista nell'art. 15 Cost., laddove è previsto che la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza, in quanto inviolabili, potrà avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Pertanto, “non è consentita interpretazione analogica o estensiva di discipline specificamente dettate per singoli settori, quale quella di cui agli artt. 266 ss. c.p.p., che, particolarmente, si riferisce alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione”. Le Suprema Corte conclude rilevando come nel caso di specie non siano state rispettate le disposizioni dell'art. 18-ter ord. pen. e che, sebbene l'autorità competente fosse il giudice per le indagini preliminari, tuttavia quest'ultimo è intervenuto soltanto in sede di convalida di un provvedimento emesso in via d'urgenza dal pubblico ministero, il quale era sprovvisto di valido titolo per emetterlo. Inoltre, sul plico della corrispondenza del detenuto non era stato imposto alcun segno riconoscibile, volto ad attestare l'effettuato controllo da parte dell'autorità e dopo il primo intervento sulla corrispondenza, l'apertura dei plichi è proseguita, in violazione della disciplina dettata dalla specifica previsione normativa. Pertanto, le Sezioni unite dispongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Napoli, che è chiamato a rivalutare la sussistenza dei presupposti legittimanti il provvedimento cautelare emesso nei confronti dell'indagato B.P. esclusivamente sulla base degli ulteriori dati indiziari. Le soluzioni giuridiche
Le Sezioni unite nella sentenza in esame hanno enunciato il seguente principio di diritto: “la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui agli artt. 266 e seguenti c.p.p., non è applicabile alla corrispondenza, dovendosi per la sottoposizione a controllo e la utilizzazione probatoria del contenuto epistolare seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli artt. 254 e 353 c.p.p. e, trattandosi di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalità stabilite dall'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario”. Osservazioni
Il sequestro di corrispondenza epistolare, la cui riservatezza è tutelata dagli artt. 15 Cost. e art. 8 Cedu, è disciplinato in modo tale da rispettare il principio di riserva di legge contenuto nel comma 2 della stessa norma costituzionale. Particolare attenzione, poi, è stata rivolta negli anni, soprattutto a seguito delle numerose condanne che l'Italia ha subìto dalla Corte Edu, alla corrispondenza epistolare in carcere. Così, proprio per adeguarsi alle pronunce sovranazionali, il legislatore con la l. 8 aprile 2004, n. 95 ha introdotto nell'ordinamento penitenziario l'art. 18-ter, che prevede particolari garanzie a tutela del detenuto e delle sue missive. Invero, secondo quanto stabilito dalla norma appena mentovata, l'accesso alla corrispondenza non può avvenire segretamente; è, infatti, prescritto che sia apposto un visto di controllo sulla corrispondenza esaminata e che nel caso in cui si disponga il trattenimento di essa lo si dovrà immediatamente comunicare al detenuto e che, comunque, il detenuto potrà proporre reclamo contro detto provvedimento di assoggettamento. Nel 2007 la Suprema Corte con la richiamata sentenza Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2007, n. 3579 rendeva possibile evitare l'applicazione delle garanzie previste dall'ordinamento penitenziario nel caso in cui l'accesso alla corrispondenza era stato disposto dal giudice per le indagini preliminari nell'ambito di un'investigazione concernente specifiche notizie di reato. Si sosteneva, così, che “tratta(va)si di un mezzo di prova non specificamente ed autonomamente disciplinato dalla legge processuale che può essere utilizzato sia perché non è oggettivamente vietato sia perché nel caso di specie la prova è stata formata in modo da garantire i diritti fondamentali della persona [...] in effetti in via analogica è possibile utilizzare la procedura prevista per le intercettazioni telefoniche e di comunicazioni di cui agli art. 266 c.p.p. e segg., per la intercettazione di corrispondenza”. Di segno nettamente opposto erano poi, le citate Cass. pen., Sez. II, 13 giugno 2006, n. 20228; Cass. pen., Sez. VI, 13 ottobre 2009, n. 47009, in cui la Corte di cassazione aveva considerato l'acquisizione probatoria della corrispondenza di un detenuto una forma atipica di intercettazione e per tale motivo inutilizzabile. Con la sentenza in esame, le Sezioni unite hanno accolto l'orientamento più garantista affermando che l'art. 18-ter ord. pen. non ha solo funzione preventiva, posto che lo stesso primo comma della norma fa riferimento ad esigenze attinenti le indagini o investigative, che non è possibile estendere in via analogica la disciplina delle intercettazioni ad una materia, quale la libertà e segretezza della corrispondenza, coperta da riserva di legge e di giurisdizione (comma 2, art. 15 Cost.) e che non vi possono essere prove atipiche in una materia coperta da riserva di legge. Pertanto, dopo aver stabilito il summenzionato principio di diritto secondo cui la disciplina delle intercettazioni non è applicabile alla corrispondenza, la cui sottoposizione a controllo e utilizzazione probatoria rientra nella disciplina del sequestro di corrispondenza, afferma che quando si deve sequestrare la corrispondenza di detenuti, si devono osservare le garanzie supplementari previste dall'art. 18-ter ord. pen.
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