Il contenuto "necessario" del fascicolo per il dibattimento

Pasquale Bronzo
27 Giugno 2016

L'acquisizione al fascicolo per il dibattimento degli atti tassativamente indicati nell'art. 431, comma 1, c.p.p. non è soggetta a preclusioni o decadenze e può avvenire anche nel giudizio di appello, se il giudice dell'udienza preliminare non la abbia disposta, ovvero, pur avendola disposta, ciò non sia materialmente avvenuto, in quanto non rientra nel potere dispositivo delle parti restringere l'ambito degli atti che per legge devono essere raccolti nell'incartamento processuale, tale approdo restando fermo anche se a ciò non abbia ovviato il giudice di primo grado.
Massima

L'acquisizione al fascicolo per il dibattimento degli atti tassativamente indicati nell'art. 431, comma 1, c.p.p. non è soggetta a preclusioni o decadenze e può avvenire anche nel giudizio di appello, se il giudice dell'udienza preliminare non la abbia disposta, ovvero, pur avendola disposta, ciò non sia materialmente avvenuto, in quanto non rientra nel potere dispositivo delle parti restringere l'ambito degli atti che per legge devono essere raccolti nell'incartamento processuale, tale approdo restando fermo anche se a ciò non abbia ovviato il giudice di primo grado.

Il caso

Il ricorrente si doleva del fatto che il giudice d'appello avesse utilizzato, ai fini della decisione di riforma della sentenza di prime cure, un atto processuale non acquisito al primo giudizio. Si trattava di un atto che avrebbe dovuto appartenere al contenuto necessario del fascicolo per il dibattimento ma che per errore non vi era stato incluso: nella specie, un verbale di un incidente probatorio.

Il ricorrente lamentava pure una – ulteriore – compressione del diritto di difesa per aver chiesto un rinvio del processo al fine di esaminare la posizione degli indagati alla luce del novum (ossia dell'acquisizione del predetto verbale nel corso del giudizio d'appello)

La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che gli atti elencati al primo comma dell'art. 431 c.p.p. (erroneamente i giudici di legittimità menzionano il secondo comma della disposizione citata, che in realtà si riferisce agli atti acquisiti su accordo delle parti) costituiscono un contenuto legale del fascicolo processuale, le cui mancanze devono poter essere sempre rimediate, in primo grado come in appello.

La questione

La questione che la Corte di cassazione è stata chiamata a risolvere rientra nel più generale problema della cristallizzazione del contenuto del fascicolo per il dibattimento (art. 431, comma 1, c.p.p.) e dell'ambito di applicazione della preclusione stabilita dall'art. 491 c.p.p. alla formulazione di questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento, una volta che del dibattimento sia stata dichiarata l'apertura.

Se si ritiene che, in mancanza di apposita questione, la composizione del fascicolo resta fissata in quella esistente allo spirare del termine accennato (senza possibilità di integrare successivamente l'incartamento con gli atti che per legge avrebbero dovuto farne parte e che per altri motivi invece sono rifluiti nel fascicolo del pubblico ministero), a fortiori nessun rimedio può essere concepito in grado d'appello. Se si ritiene diversamente, invece, un correttivo all'erronea esclusione può essere ammesso non solo nel corso del giudizio di prime cure ma anche in appello, almeno nei limiti in cui è ammissibile la rinnovazione dell'istruzione.

Le soluzioni giuridiche

Nel formulare la – condivisibile – soluzione al problema, la sentenza si richiama a quanto già affermato da Cass. pen., Sez. II, del 23 maggio 2014 n. 25688, relativamente al caso della mancata allegazione del verbale di sequestro, in quanto atto irripetibile. Quest'ultima sentenza aveva già chiarito bene come non esistano preclusioni rispetto all'acquisizione al processo del verbale d'indagine ove di tale atto sia stato o omesso il doveroso inserimento nel fascicolo per il dibattimento o, pur essendo stato disposto, per caso fortuito od errore esso non sia materialmente avvenuto. Infatti – aveva osservato la Corte – il regime delle preclusioni e delle decadenze concerne soltanto le attività rientranti nel potere dispositivo delle parti (nella limitata misura in cui esso è riconosciuto dal vigente c.p.p.), non anche quelle che rispondono alle esigenze pubblicistiche proprie del processo penale come la formazione e il contenuto del fascicolo per il dibattimento; e mentre le parti possono, ex art. 431 cpv. c.p.p., concordare affinché vi si inseriscano atti ulteriori rispetto a quelli enumerati dal comma 1, non è invece prevista l'ipotesi reciproca, ossia che sia loro consentito ridurne il novero o che una di esse possa rinunciarvi in tutto o in parte.

La ritenuta possibilità di rimediare – in appello – all'omessa acquisizione di atti appartenenti alle categorie di cui all'art. 431, comma 1, c.p.p. avalla un'impostazione interpretativa generale secondo la quale il superamento del termine di cui all'art. 491 c.p.p. preclude definitivamente solo l'espulsione di atti erroneamente inseriti nel dossier e non anche l'inclusione di atti che siano stati illegittimamente trascurati (NAPPI).

Anche la dottrina (con un certo seguito giurisprudenziale) precisa che l'effetto preclusivo andrebbe riferito solo alla possibilità di ottenere l'espulsione materiale dell'atto (per alcuni però sarebbe possibile anche questa: CORDERO), mentre resterebbe sempre doveroso per il giudice – e possibile alla parte – dedurre un erroneo inserimento,escludendo l'atto da quelli utilizzabili per la decisione. La mancata posizione della questione in limine litis, infatti, non può avere effetto sul valore giuridico di un atto che è – fisiologicamente – inutilizzabile per la decisione: verrebbero contraddetti sia l'art. 191 sia l'art. 526 c.p.p. (GRIFANTINI).

Secondo una diversa ricostruzione, accolta da un'altra parte della giurisprudenza, invece, la preclusione renderebbe comunque utilizzabili per la decisione tutti gli atti erroneamente collazionati in udienza preliminare (dei quali pertanto non può più mettersi in discussione, ad esempio, il carattere di irripetibilità). Purché ovviamente non si tratti di atti la cui formazione sia affetta da vizi produttivi di inutilizzabilità (patologica) o nullità (cfr. Cass. pen, Sez. III, 5 aprile 2011, n. 24410).

Quanto all'ipotesi inversa, ossia dell'inclusione dell'atto irripetibile erroneamente tenuto fuori dal fascicolo di cui all'art. 431, secondo la dottrina non vi sarebbero preclusioni (CORDERO: non esiste preclusione quando siano rimaste fuori dal fascicolo cose destinate a figurarvi: ad esempio corpora delicti, verbali d'atti irripetibili, verbali di prove assunte con incidenti). Assai opinabile l'impostazione contraria di certa giurisprudenza (Cass. pen., 2 aprile 1993, Sciutto, in C.E.D. Cass., n. 195171). A voler essere conseguenti, infatti, porterebbe a dire che in caso di mancata allegazione della querela il giudice non possa fare altro che pronunciare un non doversi procedere; mentre dovrebbe assolvere nel diverso caso, teoricamente prospettabile, in cui l'unica prova a carico sia in un sequestro del quale sia stata omessa l'allegazione di verbale e reperti.

La Corte costituzionale, investita della questione, ha però ritenuto di poter distinguere – pur in mancanza di qualsiasi riferimento nel testo normativo – tra la generalità degli atti facenti parte del contenuto necessario del fascicolo, da una parte, e gli atti di indagine a contenuto probatorio dall'altra: se la ratio è garantire l'ignoranza delle indagini, la preclusione all'inclusione è giustificata solo con riguardo agli atti a funzione contenuto probatorio la cui conoscenza materiale potrebbe orientare i comportamenti del giudice già nel corso dell'acquisizione, e non anche per quelli privi di contenuto probatorio (se non per aspetti processuali) quali appunto quelli relativi alle condizioni di procedibilità, dei quali può chiedersi in ogni tempo l'inserimento nel fascicolo (Corte cost., 3 luglio 1998, n. 248).

Su questa scia parte in alcune pronunce della Corte di cassazione si è affermato che il giudice d'appello ha l'obbligo di disporre, anche d'ufficio, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento dell'atto di querela, nel caso in cui sorgano questioni sull'accertamento della sua proposizione e non risultino dagli atti elementi decisivi tali da farla ritenere omessa (Cass. pen., Sez. II, 28 novembre 2013, n. 3187).

In altri casi, invece, la giurisprudenza di legittimità ha mitigato la preclusione, affermando che se la mancata proposizione dell'eccezione entro i termini priva la parte del potere di provocare l'allegazione tardiva dell'atto tralasciato, lascia comunque intatto il potere del giudice di introdurre ex officio il verbale. Ma anche questa ricostruzione lascia piuttosto perplessi.

Anzitutto, non si vede come la preclusione possa valere soltanto per le parti (il trattamento richiamerebbe a sproposito quello dell'omessa eccezione di incompetenza, ove la giurisprudenza – senza peraltro invincibili argomentazioni – afferma che al giudice sia sempre possibile dichiarare ex officio la propria incompetenza territoriale anche a dibattimento aperto, gravato ancora del potere-dovere di apprezzare i presupposti del proprio potere decisionale: Cass. pen., 7 gennaio 1999, De Mita). Inoltre sarebbe assai aleatorio attribuire al giudice il dovere officioso di recuperare l'atto indebitamente trascurato, della cui esistenza potrebbe non venire mai a conoscenza.

Rispetto ad una soluzione affidata al recupero officioso, allora, è più convincente la tesi opposta: la preclusione non impedisce allegazioni a dibattimento iniziato, in quanto le parti possono chiedere la acquisizione tramite lettura ex art. 511 c.p.p. non soltanto degli atti concretamente inclusi nel fascicolo, ma di tutti gli atti che avrebbero dovuto esservi inclusi (NAPPI; GRIFANTINI). E allora tanto vale concludere che la preclusione non opera in relazione alle questioni sull'inserimento di atti erroneamente tralasciati, ma soltanto in ordine all'esclusione di atti erroneamente inseriti.

Osservazioni

Lasciando da parte la questione circa la lesione del diritto di difesa derivante dal rigetto della richiesta di rinvio dell'udienza d'appello formulata dal difensore alla luce dell'acquisizione dell'atto, il problema – di più generale rilevanza – della possibilità di integrare in appello il fascicolo di cui all'art. 431 c.p.p. sembra ben risolto dai giudici di legittimità.

L'interpretazione accolta nella sentenza si armonizza all'impostazione secondo la quale, più generale, si può rimediare in ogni momento del procedimento alle erronee esclusioni degli atti dal fascicolo: l'art. 491 c.p.p., quando parla di questioni sul contenuto del dossier, viene letto nel senso che, superata la soglia della dichiarazione d'apertura del dibattimento, la consistenza del fascicolo processuale resta immodificabile in difetto, ma aperta a possibili accrescimenti. Si tratta di una lettura convincente, rispettosa della ratio della preclusione in discorso, che vuole evitare che durante il dibattimento il giudice abbia la disponibilità di atti che non gli sia consentito utilizzare come prova al momento delle decisione: è evidente infatti che questa ratio vale solo per le istanze tendenti ad ottenere tardivamente l'espulsione di atti che nel frattempo siano stati già conosciuti dal giudice, e non vale per il caso inverso dell'inclusione tardiva di atti erroneamente trascurati.

Né sembra che, nel giudizio di primo grado, l'acquisizione tardiva alteri il contraddittorio dibattimentale, giacché l'esistenza di tali materiali è pur sempre nota o conoscibile da entrambe le parti.

Ciò non toglie, però, che anche per le erronee esclusioni sia opportuno un pronto rimedio: gli atti che compongono il contenuto necessario del fascicolo costituiscono comunque l'ossatura dell'istruzione; spesso sono la base di partenza dei percorsi probatori seguiti delle parti, spunto di interventi in facto del giudicante, strumento utile alla comprensione delle escussioni orali; una integrazione troppo tardiva del fascicolo può nuocere pertanto alla resa dell'istruzione. Ma ciò non basterebbe a giustificare un regime che precluda integrazioni oltre la soglia delle questioni preliminari, che causerebbe una perdita informativa secca e potrebbe finanche condurre ad una dichiarazione di improcedibilità dell'azione. Dunque in prime cure il fascicolo manchevole può essere senz'altro integrato.

Quanto alla fase d'appello occorrerebbe, invece, distinguere. Nel caso in cui in primo grado l'allegazione sia stata solo materialmente omessa, ma l'atto figura nell'elenco allegato alla vocatio in iudicium tra quelli inclusi dal giudice dell'udienza preliminare ex art. 431 c.p.p. (o nel caso in cui dell'atto de quo si sia comunque discusso in dibattimento), l'integrazione in appello potrebbe senz'altro essere disposta. Qualora invece il verbale dell'atto sia stato totalmente escluso dall'orizzonte del contraddittorio dibattimentale (e della decisione), la sua acquisizione in appello si direbbe possibile nella misura in cui sia consentita – secondo i criteri di indecidibilità allo stato degli atti o assoluta necessità (art. 603 c.p.p.) – la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.

Guida all'approfondimento

ANDOLINA, Gli atti anteriori all'apertura del dibattimento, in Uberti (diretto da), Trattato di procedura penale, Giuffrè, 2008, 213 ss.;

CONSO – BARGIS, Glossario della nuova procedura penale, Giuffrè 1992, p. 496;

CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, 2012, 914;

GRIFANTINI, Utilizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle fasi anteriori, in AA. VV., La prova nel dibattimento penale, 2009, 168 ss.;

NAPPI, Sulla necessità di distinguere il procedimento di ammissione delle prove dal procedimento di formazione del fascicolo del dibattimento, in Cass. pen., 1991, II, 766.

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