Per l'omesso versamento Iva risponde l'amministratore in carica al momento dell'obbligo di versamento
26 Maggio 2017
Massima
Nel caso di successione nella carica di amministratore di società o legale rappresentante in un momento posteriore alla presentazione della dichiarazione di imposta e antecedente alla scadenza del termine fissato per l'adempimento dell'obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all'omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa e ciò sul rilievo dell'assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilità quantomeno a titolo di dolo eventuale. Il caso
La Corte d'appello di Milano concedeva al ricorrente, in parziale riforma della sentenza impugnata, il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermava nel resto la pronuncia del tribunale di Milano, che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 10-ter, del d.lgs. 74 del 2000, in qualità di legale rappresentante della società per il periodo dal 6 ottobre 2009 al 30 dicembre 2009, per aver omesso il versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuto in base alla dichiarazione Iva relatIva all'anno di imposta 2008. L'imputato proponeva tempestIvamente ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale, deducendo quattro motivi di doglianza. Con il primo motivo, il ricorrente denunciava l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 603 c.p.p. nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motIvazione relatIvamente al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Con il secondo motivo, l'imputato deduceva la violazione di legge con riferimento all'art. 10-ter, del d.lgs. 74 del 2000, nonché vizio di motIvazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità, in quanto la Corte di secondo grado lo avrebbe erroneamente ritenuto colpevole del reato ascrittogli, omettendo di considerare che il ricorrente aveva assunto la carica di amministratore in un momento successivo alla sottoscrizione della dichiarazione Iva, che era stata, invero, redatta da un diverso soggetto e che non indicava l'importo del debito erariale. Più in particolare, il ricorrente era stato nominato legale rappresentante della società in data 6 ottobre 2009, quindi dopo la dichiarazione Iva relativa all'anno 2008, presentata in data 30 settembre 2009, ma prima del 27 dicembre 2009, termine ultimo per il versamento dei tributi. Sotto altro profilo, ad avviso del ricorrente, la Corte di secondo grado aveva travisato la prova rappresentata dalla testimonianza del curatore fallimentare, assumendo che il dissesto della società fosse stato causato da scelte imprenditoriali non condivisibili, che avevano portato ad un aggravamento dei costi. Da ultimo, i giudici dell'appello avevano omesso di tenere in considerazione la rappresentata crisi economica e finanziaria in cui versava non solo la società, ma l'intero gruppo di cui essa faceva parte, che avrebbe, a detta dell'imputato, impedito al ricorrente di reperire la necessaria provvista per l'assolvimento dell'obbligo tributario. Con il terzo motivo, l'imputato deduceva la violazione di legge in relazione all'art. 133 C.p., in ordine alla commisurazione della pena nonché l'assenza di motivazione in ordine al discostamento dal minimo edittale. Con il quarto ed ultimo motivo, l'imputato si doleva, infine, del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. La Suprema Corte di cassazione non riteneva il ricorsomeritevole di accoglimento per le ragioni che di seguito verranno esposte. La questione
La questione di maggiore interesse che affrontano i giudici di legittimità attiene all'eventuale responsabilità penale dell'amministratore subentrato nella carica sociale o nella rappresentanza legale dell'ente in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione ai fini Iva, redatta dunque da altro soggetto ma antecedente alla scadenza del termine per il versamento delle imposte, che non versi i tributi dovuti. Le soluzioni giuridiche
I giudici del Supremo Consesso si soffermano, in primo luogo, sulla doglianza relatIva alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale rilevando come, benché la richiesta dell'imputato non fosse da considerarsi tardiva, tuttavia non meritava accoglimento in quanto il ricorrente non aveva argomentato in ordine alla decisività della prova documentale richiesta, ai fini dell'esito del processo. La Corte, dunque, ribadendo un principio già ampiamente consolidato, secondo cui l'acquisizione di una prova documentale nel giudizio di secondo grado richiede che tale prova sia rilevante e decisIva, ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, relativo all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, la Corte ritiene il motivo parimenti infondato. I giudici osservano, anzitutto, come il fatto storico relativo all'omesso versamento dell'Iva non fosse oggetto di contestazione, essendo stata censurata, dal ricorrente, unicamente la propria riferibilità della condotta illecita. La Corte rileva, in primo luogo, come la difesa abbia erroneamente fondato la propria censura lamentando l'assenza di esposizione del debito Iva nella dichiarazione redatta dal precedente amministratore per l'anno 2008, poiché, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, nella citata dichiarazione erano riportati sia l'importo del credito finale, sia l'ammontare dell'imposta dovuta e non versata, che l'ammontare degli importi asseritamente versati. Per queste ragioni, ritiene la Corte di legittimità, il legale rappresentante subentrato prima della scadenza del termine per il versamento dell'imposta si poteva facilmente avvedere, dalla mera lettura della dichiarazione Iva, del debito tributario esistente in capo alla società. A giudizio del Supremo Consesso, invero, la circostanza che il ricorrente fosse subentrato nella carica di amministratore in un momento successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale Iva – materialmente redatta ad opera di altro soggetto – non era rilevante, proprio in ragione del fatto che il dato relativo al debito tributario era facilmente conoscibile mediante semplice presa visione della dichiarazione. Ribadendo un principio già espresso dalla stessa Corte, secondo cui l'amministratore che assume la carica societaria accetta, consapevolmente, di esporsi a tutte le conseguenze che potrebbero derIvare da pregresse inadempienze, ritiene la motIvazione dei giudici di secondo grado immune da censure. Proprio in ragione di questo principio di diritto, è stato ritenuto responsabile del reato tributario, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il legale rappresentante subentrato nella carica sociale in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione, ma antecedente alla scadenza del termine per il pagamento dell'imposta, che avesse omesso di compiere un previo controllo di natura contabile in ordine agli ultimi adempimenti fiscali. Tale responsabilità sussiste, in modo ancora più eclatante, allorquando, come nel caso sottoposto all'esame della Corte, il debito fiscale non risulti occultato o di difficile individuazione, ma sia stato esposto nella dichiarazione presentata al 30 settembre. La Corte ritiene, dunque, esente da travisamento della prova la motIvazione in punto di riferibilità della condotta al ricorrente, nonché in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, che doveva invece escludersi, secondo il ricorrente, in ragione della conclamata crisi finanziaria attraversata dalla società e della conseguente impossibilità oggettIva di provvedere al pagamento dei tributi. In merito a quest'ultima doglianza, il Supremo Consesso nega che sia stata allegata la prova, da parte del ricorrente, sia della non imputabilità allo stesso della crisi economica, sia dell'impossibilità di reperire aliunde le risorse necessarie ad assolvere il debito vantato dall'Erario. Infondate, infine, vengono ritenute le censure mosse con riferimento al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Osservazioni
Prima di esaminare quanto statuito dalla Corte nella sentenza che ci occupa, è necessario fare una breve puntualizzazione, dalla quale discendono alcune delle questioni affrontate nella sentenza. Deve osservarsi infatti come, a differenza delle altre fattispecie delittuose sanzionate dal d.lgs. 74 del 2000, che richiedono un comportamento illecito sorretto da dolo specifico, rappresentato dallo scopo di evadere le imposte, l'art. 10 ter non richiede tale specifica direzione dell'elemento soggettivo, accontentandosi della coscienza e volontà del mancato versamento delle imposte e del superamento della soglia di punibilità. Da qui, l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui il reato in parola può essere integrato anche dal dolo eventuale. Proprio in ragione di tale particolarità, la Cassazione, nella pronuncia in commento, ha dato seguito a quell'orientamento già da tempo consolidatosi, in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'amministratore che assume l'incarico sociale che non si premura di effettuare una, seppur minima, verifica della contabilità sociale, dei bilanci e, in particolare, delle ultime dichiarazioni dei redditi, può incorrere in una contestazione per omissione dell'adempimento dell'obbligo tributario a titolo di dolo eventuale. Il principio appare condivisibile laddove richiede all'amministratore subentrante di effettuare un'attività ricognitIva delle risultanze contabili e fiscali, soprattutto nei casi in cui, come in quello in esame, la sussistenza di inadempienze tributarie risulti ictu oculi dalla dichiarazione. Tuttavia, se tale principio venisse applicato senza correttivi si rischia, a giudizio di chi scrive, di condannare le società in crisi di liquidità ad essere amministrate da soggetti spregiudicati ed incuranti delle conseguenze derIvanti dall'assunzione delle carica societaria, poiché i professionisti più scrupolosi difficilmente accetteranno di ricoprire la carica di amministratore. A ben vedere, la questione oggetto di approfondimento con il presente commento, è conseguenza del fatto che ad avviso dell'orientamento prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza, il reato in argomento è omissivo proprio a fattispecie complessa. Esso, in effetti, viene ad esistenza quando si realizzano due condotte cumulative: l'una, antecedente, consistente nel mancato accantonamento delle somme ricevute a titolo di imposta di valore aggiunto e l'altra, successIva, rappresentata dall'omesso versamento delle stesse, entro il termine stabilito dalla legge, convenzionalmente indicato nel 27 dicembre. Proprio in ragione della conformazione bifasica della norma, suddivisa in due condotte che si realizzano in momenti diversi, sorge spontaneo chiedersi se sia rispettoso del principio di colpevolezza e di personalità della responsabilità penale far discendere, da una condotta da altri tenuta, l'affermazione di colpevolezza in capo a chi è succeduto. Ebbene, se è vero che la questione è stata già sollevata e risolta negatIvamente dal Giudice delle Leggi, che non ha ravvisato alcun profilo di illegittimità costituzionale in merito all'art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000, tuttavia la discussione è rimasta aperta e i commentatori che individuano un qualche elemento di criticità non sono pochi. È evidente che per “arginare” il rischio di cadere in un'applicazione incostituzionale della norma sarà necessario ancorarsi saldamente ai requisiti ermeneutici dettati dalla Corte di Cassazione per configurare, in capo al soggetto subentrato successIvamente nella carica sociale, la responsabilità per l'omesso versamento dell'Iva dovuto all'omesso accantonamento altrui. SALVEMME, Un insolito effetto della crisi. Il recupero dell'inesigibilità nei reati di omesso versamento d'Iva, in Cass. pen., fasc. 2, 2014, p. 670; VALSECCHI, Delitto di omesso versamento Iva (art. 10-ter d.lgs. 74/2000) e (non) rimproverabilità dell'amministratore della società insolvente: qualche spunto di riflessione, in Dir. pen. cont., 11 febbraio 2011). |