L’assenza della persona offesa non è causa ostativa alla dichiarazione di improcedibilità per particolare tenuità del fatto
24 Novembre 2015
Massima
Nel procedimento davanti al giudice di pace, la mancata comparazione in udienza della persona offesa, regolarmente citata ovvero irreperibile, non è di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 34 d.lgs. 274/2000. Infatti, l'opposizione della persona offesa, prevista dal comma 3 della suddetta norma, deve essere espressa e non può essere desunta da atti o comportamenti che non hanno il carattere di una formale ed inequivoca manifestazione di volontà in tal senso. Il caso
Il giudice di pace, all'esito del dibattimento, dichiarava l'improcedibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 34, d.lgs. 274/2000. Tale decisione veniva determinata da diversi fattori: il danno era minimo; l'imputato era incensurato e di giovane età; infine, la persona offesa non era comparsa, lasciando desumere il non interesse nel procedimento, la non persistenza di una richiesta risarcitoria e l'assenza di volontà punitiva. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il procuratore generale, denunciando la violazione dell'art. 34, d.lgs. 274/2000 per avere, il giudice di prime cure, erroneamente desunto, dalla mancata comparizione dell'offeso, la mancanza di interesse nel procedimento penale. Infatti, si legge nel ricorso, che l'improcedibilità non può aver luogo in assenza del consenso dell'offeso, essendo irrilevante che questi non sia comparso, ovvero sia irreperibile. La questione è stata rimessa alle Sezioni unite. La questione
La quinta Sezione penale, ravvisando un contrasto giurisprudenziale, ha rimesso alle Sezioni unite il ricorso, con il seguente quesito: se, dopo l'esercizio dell'azione penale, la mancata comparizione della persona offesa all'udienza davanti al giudice di pace, impedisca di ritenere che la stessa non si opponga alla definizione del procedimento per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 34, d.lgs. 274/2000. La questione, pertanto, attiene all'analisi del comma 3 dell'art. 34, d.lgs. 274/2000 (Se è stata esercitata l'azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata son sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono), poiché sul tema si registra un contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità, che appare opportuno analizzare. L'attenzione, pertanto, si focalizza sulle modalità di manifestazione dell'opposizione e sull'eventuale equiparazione dell'assenza in udienza, della persona offesa, alla non opposizione. Le soluzioni giuridiche
La giurisprudenza di legittimità, sulla specifica questione, non è uniforme, infatti si registra un contrasto tra due distinte posizioni: una prima definisce la mancata comparizione in udienza della persona offesa come elemento non indicativo della volontà di non opporsi alla dichiarazione di improcedibilità per tenuità del fatto. Infatti, l'assenza della vittima è considerata come un dato neutro, non espressivo di alcuna specifica volontà. La non opposizione, indicata dalla norma,invece, presuppone che l'offeso sia interpellato o comunque messo nelle condizioni di poter interloquire, in quanto, seppure il legislatore non richiede particolari modalità acquisitive del consenso, questo deve essere univoco e concludente, ossia rilevatore di una volontà non ostativa all'evenienza che il procedimento si concluda con una declaratoria di non procedibilità per tenuità del fatto. Per tale filone interpretativo, pertanto, la mancata comparizione in giudizio dell'offeso non può essere certamente interpretata come non opposizione al predetto epilogo decisorio (sul punto cfr. Cass. pen. Sez. V, 3 marzo 2004, Frascari; Cass. Pen. Sez. V, 7 maggio 2009, Bakiu; Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2012, Sabouri; Cass. pen., Sez. V, 9 luglio 2013, De Cicco). Frapposta a tale tesi giurisprudenziale, altro orientamento definisce in termini diversi la mancata comparizione, attribuendo all'assenza dell'offeso il valore di manifestazione di acquiescenza. Infatti, la decisione di non comparire all'udienza implica una volontà di rinuncia all'esercizio delle facoltà processuali, tra cui quella di opporsi all'esito del procedimento per particolare tenuità del fatto. L'art. 34, d.lgs. 274/2000, invero, non richiede espressamente che sia accertata l'adesione della persona offesa, ma solo che sussista la condizione negativa della non opposizione; pertanto, la volontà di opposizione va espressa (sul punto, Cass. Pen. Sez. IV, 17 giugno 2003, Ritucci; Cass. Pen. Sez. V, 26 ottobre 2004, Nuciforo; Cass. pen., Sez. IV, 5 dicembre 2008, Arhni; Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2013, Tavernaro). Le Sezioni unite hanno aderito a tale ultimo orientamento, ritenendo che la mancata comparizione è equiparabile alla non opposizione. Infatti, il tenore dell'art. 34, d.lgs. 274/2000 induce a far ritenere che la volontà di opposizione debba essere necessariamente espressa, ad esempio attraverso memorie, ovvero con la costituzione di parte civile, la richiesta di risarcimento danni. La norma, tuttavia, non impone un'apposita convocazione della persona offesa assente (ma regolarmente citata), al fine di raccogliere la sua eventuale opposizione. Pertanto, l'assenza della persona offesa, regolarmente citata, che non abbia manifestato un'opposizione espressa, non osta all'esito liberatorio di cui all'art. 34, d.lgs. 274/2000. Il supremo Consesso precisa altresì che, una vota introdotta la fase dibattimentale, la vittima può inibire la dichiarazione di improcedibilità per tenuità del fatto solo reiterando formalmente, in quella sede, la sua dichiarazione di opposizione, la quale non può essereevinta da quella eventualmente già espressa, in ragione della nuova prospettiva processuale che è aperta dallo scenario dibattimentale. Osservazioni
Alcune considerazioni appaiono necessarie, proprio in relazione all'equiparazione dell'assenza della persona offesa alla non opposizione alla dichiarazione di non procedibilità per tenuità del fatto. Infatti, si conferisce valore al silenzio dell'offeso, che viene considerato come un vero e proprio consenso (rectius non opposizione). La ratio di tale ricostruzione è riscontrabile non solo nel tenore letterario della norma che, come abbiamo visto, non richiede una condizione positiva (il consenso) bensì una condizione negativa (la non opposizione) ma anche nella considerazione che il disinteresse della persona offesa al processo non possa impedire al giudice di valutare la sussistenza dei presupposti per un esito liberatorio e favorevole per l'imputato. Invero, il potere inibitorio conferito alla vittima, previsto dal comma 3 dell'art. 34, d.lgs. 274/2000 (potere non previsto nelle altre ipotesi di improcedibilità art. 27,d.P.R. 448/1988; ovvero non punibilità per tenuità del fatto art. 131-bis c.p. così come introdotto dal d.lgs. 28/2015) è stato sottoposto a scrutinio di costituzionalità, sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 76, 101 e 111 Cost. Seppure la Consulta abbia dichiarato la questione manifestamente inammissibile, permangono dubbi di costituzionalità sul comma 3 dell'art. 34,d.lgs. 274/2000 qualora si consideri il potere inibitorio dell'offeso come insindacabile. Infatti, appare irragionevole la discriminazione tra imputati per reati di competenza del giudice di pace e reati rientrati nella clausola liberatoria di cui all'art. 131-bis c.p. (reati che prevedono una pena non superiore a cinque anni), proprio per la mancata previsione, nell'art. 131-bis c.p., di analogo potere di veto della persona offesa. Infine, appare irragionevole impedire, con un potere di veto insindacabile, al giudice di apprezzare i presupposti per un esito del processo in senso liberatorio. Guida all'approfondimento
CESARI, La particolare tenuità del fatto, in GIOSTRA – ILLUMINATI, Il giudice di pace nella giurisdizione penale, Torino, 2001, p. 325; GALATINI, Improcedibilità ed estinzione del reato nel procedimento davanti al giudice di pace, in Cass. pen., 2002, p. 1194; MARANDOLA, Improcedibilità per tenuità del fatto e mancata acquisizione del consenso della persona offesa, in Dir. pen. proc., 2003, p. 492.
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