La nuova rescissione del giudicato al vaglio delle Sezioni Unite.
24 Luglio 2015
Massima
1. Il rimedio della rescissione del giudicato, previsto dall'art. 625-ter c.p.p., ha natura di mezzo di impugnazione straordinaria ed implica che la richiesta, con allegazione dei documenti a sostegno, sia depositata nella cancelleria del giudice di merito la cui sentenza è stata posta in esecuzione. 2. Sulla richiesta di rescissione del giudicato, di cui all'art. 625-ter c.p.p., la Corte di cassazione delibera secondo la procedura camerale non partecipata - disciplinata dall'art. 611 c.p.p. - e può disporre la sospensione della esecuzione della decisione impugnata. 3. L'istituto della rescissione del giudicato, di cui all'art. 625-ter c.p.p., si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420-bis c.p.p., come modificato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67; al contrario, ai procedimenti contumaciali definiti secondo la normativa antecedente all'entrata in vigore della legge indicata, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall'art. 175, comma 2, c.p.p. nel testo previgente. Il caso
Il ricorrente, in data 20 maggio 2014, aveva presentato, ai sensi dell'art. 625-ter c.p.p., una richiesta di rescissione del giudicato, finalizzata ad ottenere la revoca della sentenza di condanna alla pena complessiva di 22 anni di reclusione pronunciata - in parziale riforma della sentenza in data 22 aprile 2008 del Tribunale di Torino - dalla Corte di appello di Torino in data 21 aprile 2009, divenuta definitiva per mancata impugnazione. Premesso di essere stato arrestato in Albania il 21 aprile 2014 a seguito di domanda di estradizione avanzata dal Governo Italiano, fondata sull'ordine di esecuzione emesso in data 12 dicembre 2009, ex art. 656, comma 1, c.p.p., dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Torino, e richiamata la documentazione allegata al ricorso, aveva dedotto di non avere mai avuto conoscenza del procedimento penale o del provvedimento di condanna, poiché ogni atto gli era stato notificato secondo il regime processuale previsto per i latitanti dall'art. 165 c.p.p., ovvero presso il difensore nominato d'ufficio, il quale non aveva, peraltro, avuto la possibilità di contattarlo e di instaurare con lui un rapporto professionale. Tenuto conto della novità dell'istituto della rescissione del giudicato, previsto dall'art. 625-ter c.p.p., introdotto dall'art. 11, comma 5, legge 28 aprile 2014, n. 67, entrata in vigore il 17 maggio 2014, della necessità di esaminare inedite modalità procedurali e risolvere problemi di diritto intertemporale, tutti di speciale importanza, il procedimento era stato assegnato alle Sezioni Unite penali, a norma dell'art. 610, comma 2, c.p.p., in udienza camerale partecipata, ex art. 127 c.p.p. La questione
Le Sezioni unite penali sono state chiamate a decidere se, ed entro che limiti, il nuovo istituto della rescissione del giudicato, sia applicabile ai soggetti condannati in processi definiti con sentenza irrevocabile prima dell'entrata in vigore della l. n. 67 del 2014. Occorreva anche stabilire con quale rito la Corte di cassazione dovesse procedere all'esame del ricorso.
La rescissione del giudicato: profili generali Come premesso dalla sentenza in commento, il rimedio della "rescissione del giudicato" è stato introdotto, contestualmente al superamento del giudizio contumaciale, dalla legge 28 aprile2014, n. 67, che, con l'art. 11, comma 5, ha inserito nel codice di procedurapenale l'art. 625-ter. La Corte di cassazione ha chiarito, in presenza di indicazioni normative invero scarne, che:
Nel caso di specie, la richiesta di rescissione del giudicato era stata irritualmente depositata presso la Corte di cassazione, ed è stata, quindi, ritenuta inammissibile ex art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p. Nondimeno, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover <<sviluppare ulteriori rilievi sulla esaminabilità della richiesta, in considerazione dello speciale compito nomofilattico ad essa assegnato in presenza di un istituto affatto inedito, quale quello delineato dall'art. 625-ter c.p.p.>>.
L'applicazione retroattiva dell'istituto Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 625-ter, comma 1, c.p.p. al caso di specie, si è precisato che detta norma prevede che la richiesta possa essere presentata dal condannato «nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo»: <<la disposizione non può dunque riguardare un "contumace" quale è stato dichiarato il richiedente nel processo a suo carico. Quanto all'imputato "assente", situazione che comunque non attiene al caso in esame, il riferimento non può che essere indirizzato alla nuova figura dell'assente (art. 420-bis, come sostituito dalla legge n. 67 del 2014), dato che in precedenza tale era solo l'imputato che avesse espressamente consentito a che il processo si svolgesse senza la sua presenza o l'imputato detenuto che avesse rifiutato di assistervi (v. previgente art. 420-quinquies), da ciò derivandone la sicura conoscenza del procedimento>>. Se ne è logicamente desunto che <<per i processi definiti, anche solo nei gradi di merito, antecedentemente alla entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 non può dunque profilarsi, in mancanza di espresse previsioni normative, alcuna questione di diritto intertemporale, essendo evidente che essi, svoltisi secondo il regime contumaciale o secondo quello della assenza, come anteriormente disciplinati, imputato "assente" nei termini definiti dalla nuova disciplina>>. Anche sotto questo profilo la richiesta è stata ritenuta inammissibile. Le soluzione giuridiche
Sono stati conclusivamente enunciati i seguenti principi di diritto: "La richiesta finalizzata alla rescissione del giudicato, di cui all'art. 625-ter c.p.p., che per la sua natura di mezzo di impugnazione deve essere depositata nella cancelleria del giudice di merito la cui sentenza è stata posta in esecuzione con allegazione dei documenti a sostegno, e che è esaminata dalla Corte di cassazione secondo la procedura camerale di cui all'art. 611 c.p.p., si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420-bis c.p.p., come modificato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67". "Ai procedimenti contumaciali trattati secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall'art. 175, comma 2, c.p.p. nel testo previgente".
Osservazioni
1. L'art. 363, comma 3, c.p.c. (introdotto dall'articolo 4 del d.lgs. n. 40 del 2006) stabilisce che <<Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza>>; analogo istituto non è previsto dal codice di procedura penale. Il quadro normativo attualmente vigente sembrerebbe, pertanto, precludere al Supremo Collegio penale l'esercizio della funzione nomofilattica (al contrario, recuperata e potenziata nel settore civile), differendo, in caso di inammissibilità del ricorso, la risoluzione del contrasto di giurisprudenza ad altra remissione, ed imponendo nelle more il perdurare delle incertezze interpretative (naturalmente, il problema si pone, ma all'evidenza con minori conseguenze negative, anche per le Sezioni semplici penali). Ed infatti, al riguardo, le Sezioni Unite penali (sentenza 20 ottobre 2012 n. 6624) hanno ritenuto l'impossibilità di applicare analogicamente l'art. 363 del c.p.c.: premesso che <<nel sistema processuale penale, non v'è una disposizione simile a quella di cui all'art. 363, comma 3, c.p.c., che, valorizzando la funzione nomofilattica del giudice di legittimità, consente alla Corte di cassazione, pur quando dichiara inammissibile il ricorso, di enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge, anche se tale pronuncia non è destinata a spiegare alcun effetto sul provvedimento del giudice di merito (comma quarto del citato articolo)>>, si è, infatti, ritenuto che non è <<concretamente praticabile un'estensione analogica di tale disciplina nell'ambito del sistema processuale penale, attraverso l'auto-attribuzione del corrispondente potere>>. Avevamo in altra sede sostenuto che l'affermazione, sorretta da una motivazione scarna ed insoddisfacente, non poteva essere condivisa. La rilevata discrasia risultava sistematicamente poco coerente con la funzione istituzionale della Corte Suprema di legittimità di assicurare <<la esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge>>, nonché <<l'unità del diritto oggettivo nazionale>> (articolo 65 ord. giud.), senz'altro comune sia al settore civile che a quello penale. L'insostenibilità della tesi secondo la lacuna era incolmabile in via interpretativa appariva di tutta evidenza: a prescindere dal rilievo che le sue conseguenze involgevano il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, oltre che il generale principio della certezza del diritto, le questioni controverse potevano riguardare anche la delicata materia della libertà personale, in relazione alla quale la perdurante incertezza sarebbe stata senz'altro inaccettabile Essa andava senz'altro colmata per analogia, attraverso il richiamo dell'articolo 363 c.p.c. (disposizione che regola un <<caso simile>> o <<materie analoghe>>: cfr. articolo 12, comma 2,disp. prel. c.c.), in difetto di contrarie disposizioni insuperabilmente ostative (che neanche le Sezioni Unite, pur argomentando in senso contrario, avevano individuato). Con la sentenza 17 luglio 2014, n. 36848, le Sezioni Unite, pur senza operare un esplicito revirement, hanno implicitamente, quanto inequivocabilmente, superato il proprio precedente orientamento, avendo espressamente ritenuto, pur a seguito della declaratoria di inammissibilità (ex art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p.) della richiesta de qua, di dover <<sviluppare ulteriori rilievi sulla esaminabilità della richiesta, in considerazione dello speciale compito nomofilattico ad essa assegnato in presenza di un istituto affatto inedito, quale quello delineato dall'art. 625-ter c.p.p.>>. 2. Per quanto riguarda l'applicazione retroattiva dell'istituto, in difetto – all'epoca - di una normativa transitoria ad hoc, la soluzione adottata dalle Sezioni unite appare assolutamente conforme al consolidato principio generale per il quale, in tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato, non costituisce un principio dell'ordinamento processuale, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell'ordinamento processuale (Cass. pen., Sez. un., n. 27919/2011,; più recentemente, Sez. un., n. 44895/2014, ha aggiunto che il principio di necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermato dalla sentenza della Corte EDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia, non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali, che è regolata dal principio tempus regit actum).
3. Sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 193 del 21 agosto 2014 è stata successivamente pubblicata la legge 11 agosto 2014, n. 118, recante Introduzione dell'articolo 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67, concernente norme transitorie per l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili, ed in vigore dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla GU. In linea con quanto deciso dalle Sezioni Unite, il comma 1 del predetto art. 15-bis stabilisce che le disposizioni di cui al capo III della l. n. 67 del 2014 (contenente disposizioni in tema di sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili) si applicano ai procedimenti pendenti in primo grado, nei quali non sia ancora stato pronunciato il dispositivo di sentenza; in deroga a quanto stabilito dal comma 1, il comma 2 stabilisce che le disposizioni previgenti continuano ad applicarsi nei procedimenti pendenti, quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. Guida all'approfondimento
M. Bargis, La rescissione del giudicato ex art. 625-ter c.p.p.: un istituto da rimeditare, in www.penalecontemporaneo.it |