La Cassazione delimita il rapporto tra qualifica soggettiva e fatto commesso nel reato di depistaggio
22 Giugno 2017
Massima
Il reato di depistaggio commesso mediante informazioni false o reticenti alla autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria (art. 375, comma 1, lett. b), c.p.) è reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, configurabile quando il soggetto sia chiamato a fornire informazioni acquisite nell'esercizio e a causa delle funzioni. Il caso
La Corte interviene in sede di ricorso avverso la decisione del tribunale del riesame che confermava la misura cautelare personale per il reato di depistaggio. Secondo l'accusa, l'indagata, appartenente alla polizia municipale, aveva istigato alcuni suoi colleghi a rendere dichiarazioni mendaci in suo favore in un procedimento penale che la riguardava, riferito a delle sue vicende personali. Vi era quindi stato uno specifico accordo sulla versione che i PP.UU. avrebbero dovuto fornire alla autorità giudiziaria innanzi alla quale erano stati citati su richiesta della difesa della interessata (presumibilmente inseriti nella sua lista testi). Si comprende come le circostanze oggetto della (falsa) testimonianza fossero venute a conoscenza dei pubblici ufficiali certamente durante la loro attività lavorativa ma solo casualmente e senza alcun collegamento funzionale con la stessa. Il Gip ed il tribunale del riesame avevano confermato la qualificazione giuridica del fatto come depistaggio ex art. 375 c.p., ritenendo che tale reato, quando commesso mediante false o reticenti dichiarazioni, sia configurabile se ne sia l'autore il pubblico ufficiale indipendentemente dall'essere la sua qualifica funzionale o meno alla commissione del reato. Il giudice di legittimità ha invece accolto la prospettazione opposta: il reato di depistaggio ricorre solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia funzionalmente collegata ai suoi compiti. La Corte, in tale modo, ha anche risolto implicitamente il dubbio di costituzionalità – per genericità della fattispecie astratta dell'art. 375 c.p. – posto dalla difesa per la ipotesi di affermazione dell'essere il reato integrato per la mera qualificazione soggettiva del suo autore. La questione
La Corte di cassazione interviene per la prima volta sul nuovo reato, introdotto dalla legge 11 luglio 2016, n. 133, di frode in processo penale e depistaggio, che sanziona le condotte di pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio i quali, mediante inquinamento delle prove o fornendo false e reticenti informazioni agli inquirenti od al giudice, intendano impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale. Si tratta di un reato proprio, di pericolo ed a dolo specifico, in rapporto di specialità rispetto ai reati comuni di cui agli artt. 371-bis, 372 e 374 c.p., introdotto al fine di adeguare l'apparato sanzionatorio per tali più gravi condotte se, appunto, finalizzate allo sviamento delle indagini. La questione posta riguarda il tema più generale di individuare l'ambito di applicazione in presenza di una formulazione che ha indubbiamente caratteri di genericità come dimostra la soluzione diametralmente opposta data dai giudici di merito e dal giudice di legittimità. Dei più ampi contenuti della norma (che prevede ipotesi di falsa testimonianza, false informazioni al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria, frode processuale) è stato qui affrontato quello dell'ambito di applicazione del fatto commesso mediante false o reticenti dichiarazioni. Il tema è quindi stato:
Quest'ultima è la soluzione adottata; soluzione che, pur se non esaurisce le questioni che sembrano da porsi per il nuovo reato e per le quali si rinvia a DI STEFANO, Fisionomia del nuovo reato di frode in processo penale e depistaggio, certamente rappresenta una chiave di lettura complessiva della disposizione, anche quanto alla commissione mediante immutazione delle prove. Le soluzioni giuridiche
Le soluzioni individuate dalla sentenza partono dalla considerazione che la norma in questione ha indubbie difficoltà interpretative per i problemi dovuti all'assenza di una chiara definizione dell'ambito di applicazione ponendo quale unica differenza rispetto alle omologhe figure di reato (falsa testimonianza, frode processuale, false informazioni al pubblico ministero) la qualifica dell'autore ed il dolo specifico che ne caratterizza l'azione. La Corte ritiene, comunque, che non sia sostenibile la tesi che sia stato introdotto un reato di “posizione”; perciò segnala la necessità di ricercare anche nei minimi dettagli del testo i necessari elementi di differenziazione con gli altri reati con simile oggettività e, poi, giunge alla necessaria conclusione che debba essere riscontrata una forma di connessione tra qualifica ed attività illecita. La sentenza, quindi, individua nella stessa norma dei caratteri che impongono tale lettura: - solo una violazione dei doveri propri della funzione giustifica un così elevato livello di pena rispetto alle medesime condotte costituenti falsa testimonianza, frode processuale etc e giustificano la valorizzazione del dolo specifico. Individua, poi, gli elementi che, in un tale contesto di lettura sostanzialmente obbligata dai principi generali, smentiscono ogni possibile lettura alternativa della norma nel senso che possa avere voluto sanzionare la infedeltà in sé di chi abbia la data qualifica:
È agevole, quindi, giungere alla soluzione che, in definitiva, la norma sanzioni le infedeltà dei soggetti addetti alle investigazioni o comunque dei soggetti incaricati del procedimento (amministrativo) in merito al quale essi siano chiamati a riferire all'A.G. o alla P.G. La Corte, difatti, così definisce il principio applicabile per il caso specifico: «L'art. 375 c.p. si configura come reato proprio dell'attività del pubblico ufficiale, o dell'incaricato del pubblico servizio, la cui qualifica preesista alle indagini e sia in rapporto di connessione funzionale con l'accertamento che si assume inquinato, cosicché la condotta illecita deve risultare finalizzata proprio all'alterazione dei dati che compongono l'indagine o il processo penale, che gli è stato demandato di acquisire o dei quali sia venuto a conoscenza nell'esercizio della sua funzione, e risulti quindi posto in condizione di spiegare il proprio intervento inquinante». Osservazioni
La sentenza conferma la difficoltà di dare una chiara interpretazione, conforme ai principi, al reato di depistaggio. Innanzitutto, dalla sentenza si trae la chiara conclusione che il testo della norma non consente di affermare che l'interpretazione data sia l'unica letteralmente possibile. La Corte effettua, di fatto, una “scelta” tra l'essere il depistaggio un reato di posizione ovvero un reato integrato solo in caso di specifica infedeltà del pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio: la conclusione, evidentemente, non dipende da una chiara e non opinabile formulazione della disposizione ma dalla sua interpretazione logica che, invero, ben può essere modificata valorizzando diverse premesse (quale sarebbe stata la risposta se il caso fosse stato relativo ad operatori di forze dell'ordine, non incaricati delle indagini, che avessero però reso false dichiarazioni liberatorie in favore di terroristi?). Tale conclusione è evidente considerato che la Corte, pur ribaltando completamente la lettura data dei giudici di merito, non individua alcun possibile loro errore nella lettura del resto ma, invece, dà atto di come, per definire la condotta incriminata dalla disposizione, non ci si possa limitare al significato immediato del testo. Considerando quanto era stato oggetto di osservazioni nel focus Fisionomia del nuovo reato di frode in processo penale e depistaggio cit., si deve anche considerare che la individuazione di una regola ineludibile, ovvero quella del collegamento funzionale tra reato e qualifica, non sia comunque soddisfacente rispetto a quella che era l'intenzione della disposizione. Tale lettura, difatti, pur evitando eccessi (quale quello del caso concreto, in cui effettivamente era difficilmente giustificabile il diverso trattamento penale ipotizzando la stessa vicenda riferita ad identiche condotte di colleghi di lavoro senza, però, la qualifica di polizia municipale), lascia invece fuori situazioni che, nello spirito della legge, andrebbero invece ricomprese. La lettura proposta dalla sentenza, difatti, pur risolvendo dei problemi, impedisce, ad esempio, di sanzionare la condotta di soggetti cui certamente la disposizione voleva mirare (per tutti, basti citare i famigerati “servizi deviati” che sono il primo pensiero che si accompagna storicamente al termine depistaggio) ma che non si può affermare che abbiano agito nell'ambito delle proprie attività istituzionali. La pur efficace “costituzionalizzazione” della nuova norma da parte della sentenza, con la costruzione dell'art. 375 c.p. quale reato proprio dei soggetti addetti alle investigazioni o comunque incaricati del procedimento,lascia fuori casi che, probabilmente, erano quelli nella mente del legislatore il quale, però, pur riferendosi alle vicende «che ci rimandano ai momenti più bui della storia della nostra democrazia. Le ricostruzioni giudiziarie di tutte queste tragedie sono state estremamente difficoltose, come è noto, anche a causa del comportamento di infedeli appartenenti alle strutture dello Stato che hanno ostacolato l'accertamento della verità», non ha evitato di unire, nello stesso gravissimo reato, il depistaggio per la strage e quello per le verande abusive nonché il depistaggio commesso dai vertici infedeli di importanti istituzioni e quello commesso da soggetti addetti alla riscossione della tassa auto. La sentenza, insomma, non individua, perché non ne poteva individuare con una tale formulazione della norma, criteri specifici che siano del tutto soddisfacenti; se correttamente evita di sanzionare il soggetto solo in ragione della particolare qualifica soggettiva indipendentemente dal collegamento con il fatto finisce per non consentire di sanzionare (con la più grave ipotesi di reato in questione) i veri depistaggi per i quali la norma era stata invocata e per i quali (e solo per i quali) poteva essere coerente una ipotesi di reato di posizione. AMATO, Introduzione nel codice penale del reato di frode in processo penale e depistaggio (commento alla l. 11 luglio 2016 n. 133), in Guida al dir. dossier, 2016, fasc. 5, 6; DI STEFANO, Fisionomia del nuovo reato di frode in processo penale e depistaggio, in questa Rivista; SANTORO, Alcune considerazioni sul nuovo reato di “frode in processo e depistaggio” (art. 375 c.p., L. 11 luglio 2016, n. 133), in Archivio Penale, 2016, n. 3. |