L’esclusione della riparazione per ingiusta detenzione per dolo o colpa grave

21 Marzo 2016

Ai fini dell'esclusione del diritto alla riparazione deve ritenersi dolosa, non solo la condotta diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei termini fattuali ma anche quella che, valutata con il parametro dell'id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria.
Massima

Il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l'equa riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione differenti.

Ai fini dell'esclusione del diritto alla riparazione deve ritenersi dolosa, non solo la condotta diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei termini fattuali, ossia l'azione in concreto preordinata all'adozione o al mantenimento della misura cautelare, ma anche quella che, valutata con il parametro dell'id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della sicurezza collettiva.

Ai fini dell'esclusione del diritto alla riparazione deve ritenersi gravemente colposo il comportamento di colui il quale per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione che renda prevedibile, anche se non voluto, l'intervento dell'autorità giudiziaria.

Il caso

I ricorrenti entrambi assolti per il reato previsto dall'art. 74 d.P.R. 309/1990 e di vari episodi delittuosi riconducibili all'ipotesi prevista dall'art. 73 dello stesso d.P.R. 309/1990, hanno formulato istanza di riparazione per ingiusta detenzione. Nel corso del giudizio, infatti, era stata disposta nei loro confronti dapprima la custodia cautelare in carcere e poi gli arresti domiciliari.

L'istanza è stata rigettata dalla Corte di appello di Roma la quale ha ritenuto che il conversare con soggetti dediti alla commercializzazione dello stupefacente utilizzando frasi e locuzioni proprie di chi si dedica a tale attività fosse condotta altamente equivoca, idonea ad ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un loro possibile coinvolgimento nei fatti criminali contestati.

Avverso tale ordinanza gli istanti hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto sussistente un comportamento connotato da colpa grave idoneo ad indurre il giudice in errore.

La questione

La Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul concetto di dolo e colpa grave rilevante ai fini di escludere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione subita.

Le soluzioni giuridiche

Sono stati conclusivamente enunciati i seguenti principi di diritto:

  • Il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l'equa riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione differenti.
  • Ai fini dell'esclusione del diritto alla riparazione deve ritenersi dolosa, non solo la condotta diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei termini fattuali, ossia l'azione in concreto preordinata all'adozione o al mantenimento della misura cautelare, ma anche quella che, valutata con il parametro dell'id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della sicurezza collettiva.
  • Ai fini dell'esclusione del diritto alla riparazione deve ritenersi gravemente colposo il comportamento di colui il quale per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione che renda prevedibile, anche se non voluto, l'intervento dell'autorità giudiziaria.
Osservazioni

La soluzione adottata dalla Cassazione nella sentenza in epigrafe è conforme al prevalente orientamento giurisprudenziale in materia.

Come è noto l'art. 314, comma 1, c.p.p. riconosce il diritto ad una equa riparazione per la ingiusta custodia cautelare subita a condizione che il soggetto prosciolto non abbia dato causa o concorso a dare causa all'applicazione della stessa per dolo o colpa grave.

Invero, l'istituto della riparazione, permeato dal principio solidaristico, trova il suo naturale contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati.

Come debbano interpretarsi le nozioni di dolo e colpa grave è stato chiarito a più riprese dalla giurisprudenza.

In ordine al concetto di dolo si registrano due orientamenti.

Secondo un primo filone interpretativo, più restrittivo, la condotta dolosa risulta integrata, secondo il criterio penalistico, allorché l'interessato si sia addirittura rappresentato e abbia voluto l'applicazione della misura custodiale (dolo diretto) ovvero abbia accettato il rischio del suo verificarsi (dolo eventuale) (Cass. pen., Sez. IV, 29 novembre 1995, D'Agostino, in Arch. Nuova proc. pen. 1996, p. 810; Cass. pen., Sez. IV, 4 ottobre 1994, Colla, RV 199999). Secondo altro prevalente filone giurisprudenziale, invece, deve ritenersi rilevante anche la condotta consapevole e volontaria che sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della collettività ritenuta ragionevolmente in pericolo (ex multis Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2008, n. 43302; Cass. pen., Sez. IV, 18 dicembre 1993, Legnaro, RV 197379; Cass. pen., Sez. IV, 27 dicembre 1992, Calamosca, in Cass. pen. 1993, p. 2903). A quest'ultima impostazione hanno aderito anche le Sezioni unite, le quali, pur animate dall'intento di costruire una nozione autonoma di dolo rilevante ai fini della riparazione, hanno affermato che deve considerarsi dolosa non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali ma anche quella consapevole e volontaria obiettivamente idonea a trarre in errore il soggetto che è tenuto alla prestazione (Cass. pen., Sez. un., 13 dicembre 1995, n. 43).

Quanto alla colpa grave, rileva ogni condotta contrassegnata da una eclatante macroscopica negligenza, imprudenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, tale cioè da superare i limiti del comune buon senso, la quale abbia ingenerato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ed effetto (Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2002, n. 34559; Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2008, n. 43302; Cass. pen., Sez. IV, 10 dicembre 2008, n. 2674).

Guida all'approfonodimento

COPPETTA, La riparazione per ingiusta detenzione, Padova, 1993;

DI PALMA, Dolo e colpa grave, cause ostative al sorgere del diritto soggettivo alla riparazione per ingiusta detenzione, in Cass. pen. 1997, 814;

FELICIONI, Condizioni ostative al diritto alla riparazione per ingiusta detenzione ed esercizio del diritto di difesa: spunti problematici, in Cass. pen. 1996, 2156;

ZANETTI, La riparazione dell'ingiusta custodia cautelare. Aspetti sistematici e questioni applicative, Padova, 1992;

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