Il regime delle impugnazioni avverso i decreti di inammissibilità dell'istanza risarcitoria

20 Settembre 2016

La questione affrontata dalla suprema Corte si snoda attraverso due distinti aspetti procedurali i presupposti di legge per l'adozione di un decreto di inammissibilità de plano ex art. 666, comma 2 c.p.p. e i mezzi di gravame avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza.
Massima

Ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p., il magistrato di sorveglianza può dichiarare l'inammissibilità di un'istanza ex art. 35-ter l. 354/1975, in due ipotesi: a) difetto delle condizioni di legge; b) mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi. Una pronuncia di tal fatta, però, può essere adottata, soltanto quando il difetto dei requisiti indicati dalla legge, risulti ictu oculi, senza implicare alcuna valutazione discrezionale. Al contrario, se la pronuncia si fonda su un giudizio svolto sulla base di materiale istruttorio, essa assume natura di pronuncia di rigetto nel merito.

Il caso

A seguito di presentazione di un'istanza di rimedio risarcitorio, il magistrato di sorveglianza aveva emesso decreto di inammissibilità de plano effettuando una duplice valutazione. La prima, relativa alle condizioni detentive sofferte dall'interessato concernenti in particolare la superficie delle camere detentive, la qualità della vita e delle attività trattamentali, ricreative e sportive, la loro offerta indistinta a tutti i ristretti nella sezione del reclamante, la possibilità accordata ai medesimi di trascorrere otto ore fuori dalla camera detentiva, l'illuminazione e l'aerazione delle celle, l'adeguatezza delle docce, della cucina del riscaldamento e dei servizi sanitari alle esigenze del detenuti. Tali condizioni, verificate più volte dalla medesima autorità giudiziaria nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza ed ispezione dell'istituto non consentivano, ad avviso del giudicante, di ravvisare alcuna violazione della disposizione di cui all'art. 3 Cedu. Con la seconda valutazione, il giudice aveva rilevato l'assenza di qualsivoglia indicazione su situazioni concrete e definite di effettive violazioni di diritti a causa del sovraffollamento e per l'assenza delle attività trattamentali, ritenendo del tutto infondate le conseguenti doglianze soprattutto alla luce delle condizioni detentive più sopra descritte ed emergenti dalle risultanze istruttorie. In base a ciò, il magistrato di sorveglianza aveva, come detto, emesso decreto ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p., dichiarando l'inammissibilità della istanza de plano, cioè senza contraddittorio.

L'interessato ricorreva per cassazione, deducendo che il frequente superamento del numero di detenuti regolarmente allocati in cella, con violazione del parametro di 3 mq pro capite, era idoneo ad integrare gli estremi della violazione dell'art. 3 Cedu. La Corte di cassazione, nella pronuncia in commento, ha accolto il ricorso, in quanto il provvedimento gravato, lungi dal potersi configurare come di palese inammissibilità, aveva in realtà natura di provvedimento di rigetto emesso nel merito e che quindi avrebbe dovuto essere impugnato con il mezzo previsto dall'art. 35-bis, comma 4, l.354/1975, riqualificando il ricorso per cassazione come reclamo al tribunale di sorveglianza.

Quest'ultimo, in sede di rinvio da cassazione (tribunale di sorveglianza di Trieste, 15 febbraio 2016) ha dichiarato la nullità del provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza ex art. 666, comma 2, c.p.p., disponendo la trasmissione degli atti al medesimo magistrato. Il magistrato di sorveglianza, (ufficio di sorveglianza di Udine, 18 aprile 2016) ha infine emesso provvedimento di rigetto nel merito del reclamo con ordinanza emessa ai sensi dell'art. 35-bis l. 354/1975.

La questione

La questione affrontata dalla suprema Corte si snoda attraverso due distinti aspetti procedurali strettamente connessi: a) i presupposti di legge per l'adozione di un decreto di inammissibilità de plano ai sensi dell'art. 666, comma 2 c.p.p.; b) i mezzi di gravame avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza.

Le soluzioni giuridiche

Sotto il primo profilo, laddove il giudice valutati circostanze di fatto non ci si trova di fronte ad una reale pronuncia di inammissibilità che possa condurre ad un provvedimento (decreto) emesso de plano. Poiché la valutazione svolta dal giudice investe le circostanze concrete nelle quali si sono svolte le condizioni detentive che si lamentano essere inumane o degradanti e quindi tali da integrare la violazione dell'art. 3 Cedu, la forma giuridica del provvedimento giudiziario non è corrispondente alla natura del giudizio svolto a livello sostanziale dall'organo giudicante. Pertanto, l'inammissibilità può essere pronunciata de planoa condizione che la domanda non indichi né i periodi di detenzione, né le strutture carcerarie, né le ragioni inerenti le specifiche condizioni detentive in relazione alle quali si deduce un trattamento penitenziario in violazione dell'art. 3 Cedu (Cass. pen., Sez. I, 13 maggio 2015, n. 22164). Secondo il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento, l'esercizio da parte del magistrato di sorveglianza del potere di cui all'art. 666, comma 2, c.p.p. deve essere limitato alle ipotesi in cui la "presa d'atto" dell'assenza delle condizioni di legge non richieda accertamenti di tipo cognitivo, né valutazioni discrezionali e quando facciano difetto nell'istanza i requisiti posti direttamente dalla legge che non implicano alcuna valutazione discrezionale (Cass. pen., Sez. I, 13 gennaio 2000, n. 277).

Ne consegue che, in presenza di indicazioni specifiche, la domanda non potrà essere dichiarata inammissibile ma dovrà essere esaminata nel merito, in contraddittorio, mediante la procedura prevista dall'art. 35-bis l. 354/1975. Opinando diversamente, si incorrerebbe in un vulnus di tutela giurisdizionale del reclamante, il quale si troverebbe a non poter impugnare il decreto emesso ex art. 666, comma 2 c.p.p., adottato de plano in assenza di contraddittorio, se non davanti alla suprema Corte per violazione di legge. Si perderebbe così un grado di giudizio di merito, davanti ad un organo ove l'interessato possa far valere le proprie ragioni volta ad ottenere una pronuncia decisoria in riforma della decisione emessa in prima istanza. Sebbene la suprema Corte nella pronuncia in commento abbia rinviato gli atti al tribunale di sorveglianza riqualificando il ricorso per cassazione come reclamo avanti a quest'ultimo organo collegiale ai sensi dell'art. 35-bis l. 354/1975, la più recente giurisprudenza della suprema Corte si sta consolidando nel senso di annullare i decreti di inammissibilità ex art. 666, comma 2 c.p.p. rinviando per nuovo esame ai magistrati di sorveglianza, e non ai tribunali di sorveglianza. Tale orientamento, recepito anche dal tribunale di sorveglianza nel caso in commento a seguito del giudizio di rinvio da cassazione, è volto alla più piena e completa tutela delle ragioni dell'interessato, assicurando a quest'ultimo la regolare celebrazione del doppio grado di giudizio di merito nel contraddittorio tra le parti (da ultimo, Cass. pen., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 25180; Cass. pen., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 25177; Cass. pen., Sez. VII, 3 luglio 2015, n. 20577; Cass. pen., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 18864; Cass. pen., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 9920; Cass. pen., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 9918; Cass. pen., Sez. I, 14 maggio 2015, n. 35840; Cass. pen., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 45376; Cass. pen., Sez. I, 16 luglio 2015, n. 46966; Cass. pen., 16 luglio 2015, n. 2228).

Sotto il secondo profilo, la pronuncia in commento è particolarmente interessante in quanto ha riqualificato il ricorso per cassazione come reclamo al tribunale di sorveglianza ai sensi dell'art. 35-bis, comma 4, l. 354/1975 sulla scorta della complessiva riforma del sistema di tutela dei diritti dei detenuti, volto a far recuperare effettività e tempestività all'intervento giurisdizionale della magistratura di sorveglianza. In questo senso è l'orientamento maggioritario della magistratura di sorveglianza, che ha trovato ampia conferma da parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., Sez. I, 16 luglio 2015, n. 876; Cass. pen., Sez. I, 16 luglio 2015, n. 46966).

Osservazioni

Dall'analisi delle pronunce della suprema Corte, emerge che, pur in assenza di espresse e specifiche previsioni normative, il mezzo di gravame avverso le decisioni sulle istanze emesse ai sensi dell'art. 35-ter l. 354/1975 dal magistrato di sorveglianza debba rinvenirsi in quello disciplinato dall'art. 35-bis l. 354/1975. Qualora il magistrato di sorveglianza abbia rigettato o dichiarato l'inammissibilità secondo la procedura ex art. 35-bis, l. 354/1975, l'eventuale ricorso per cassazione sarà convertito, a norma dell'art. 568, comma 5, c.p.p., in relazione agli artt. 35-ter, comma 1, 69, comma 6, lett. b) e 35-bis, comma 4, l. 354/1975, in reclamo al tribunale di sorveglianza, avendo il magistrato di sorveglianza pronunciato in ordine al reclamo del detenuto all'esito di istruzione, senza limitarsi a rilevarne de plano l'inammissibilità a norma dell'art. 666, comma 2, c.p.p., espressamente richiamato dall'art. 35-bis, comma 1, l. 354/1975 (Cass. pen., Sez. VII, 27 ottobre 2015, n. 9017, Cass. Sez. VII, n. 3291/2016). Tuttavia, la proposizione del reclamo al tribunale di sorveglianza riguarda soltanto le decisioni assunte dal magistrato di sorveglianza che si sia pronunciato sul merito del reclamo. Al contrario, la declaratoria di inammissibilità adottata de plano è contestabile unicamente mediante ricorso per cassazione, in coerenza con la previsione più generale dell'art. 666, comma 2, c.p.p., richiamata nella sua interezza e senza eccezioni dal primo comma dell'art. 35-bis l. 354/1975. Tale interpretazione, oltre a rispettare la formulazione testuale ed il significato logico del richiamo effettuato dall'art. 35-bis l. 354/1975 all'art. 666, comma 2, c.p.p., assicura alle parti la possibilità di uno scrutinio di merito, esteso a tutte le questioni coinvolte ed articolate in due successivi gradi innanzi a giudici dotati di pieni poteri di cognizione sul fatto, quando la decisione si sia addentrata in profili di merito. Qualora la pronuncia si sia limitata al riscontro immediato e formale d'inammissibilità dell'istanza, siffatto raddoppio del sindacato di merito non è necessario ed è esperibile il solo controllo di legittimità (Cass. pen., Sez. I, 16 luglio 2015, n. 46966; Cass. pen., Sez. I, 14 maggio 2015, n. 35840; Cass. pen., Sez. I, 12 luglio 2015, n. 45376).

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