Il compendio sanzionatorio integrato e la natura sostanzialmente penale dell'isolamento diurno

Angelo Valerio Lanna
20 Aprile 2017

Laddove venga instaurata – in relazione al medesimo accadimento fenomenico – una pluralità di procedure di carattere penale e amministrativo che appaiano tra loro formalmente distinte ma che comportino tutte l'inflizione di sanzioni aventi un carattere sostanzialmente penale ...
Massima

Laddove venga instaurata – in relazione al medesimo accadimento fenomenico – una pluralità di procedure di carattere penale e amministrativo che appaiano tra loro formalmente distinte ma che comportino tutte l'inflizione di sanzioni aventi un carattere sostanzialmente penale, non si concretizza alcuna violazione del diritto di ciascuno a non vedersi perseguito più volte per lo stesso fatto (ne bis in idem), laddove tali procedure:

  • abbiano come scopo il raggiungimento di finalità sociali di differente connotazione;
  • convergendo e saldandosi tra loro, presentino l'attitudine a creare un effetto sanzionatorio integrato, quale esito di misure che si atteggino reciprocamente con caratteristiche di complementarietà e non di mera reiterazione;
  • tale effetto sanzionatorio integrato sia prevedibile per il colpevole e si presenti congruo rispetto all'effettivo disvalore del fatto e della condotta tenuta.

Sulla scorta di tale impostazione concettuale, l'isolamento diurno inflitto nei confronti di un detenuto – pur presentandosi esso con la veste formale di provvedimento amministrativo – merita la qualifica di sanzione sostanzialmente penale. Nondimeno, l'irrogazione della stessa non preclude l'avvio – per il medesimo accadimento fenomenico – di un procedimento penale.

Il caso

Nei confronti di un detenuto – incolpato per aver danneggiato il vetro di una finestra, sita all'interno del carcere del quale era ospite – viene emessa sentenza di non doversi procedere. A fondamento di tale decisione viene posta la considerazione che il medesimo soggetto – all'esito di un procedimento disciplinare – fosse già stato colpito dalla relativa sanzione, consistente nell'esclusione dalle attività in comune per il periodo di cinque giorni. Viene quindi attribuita a tale sanzione disciplinare una natura intimamente assimilabile a quella irrogabile all'esito di un processo penale. Da tale ritenuta equipollenza, viene desunta la non assoggettabilità del medesimo soggetto a procedimento penale in relazione al medesimo fatto, pena la violazione del principio del ne bis in idem scolpito dalla Cedu, come interpretato dalla giurisprudenza di Strasburgo (ricordiamo che l'art. 4 del protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sottoscritto il 22 novembre 1984 è intitolato appunto Diritto di non essere giudicato o punito due volte).

La questione

Avverso tale decisione viene proposto dal P.G. presso la Corte d'appello ricorso per cassazione. La doglianza si fonda praticamente su una sola argomentazione; secondo la prospettazione del ricorrente, dunque, la sanzione della esclusione dalle attività in comune all'interno del carcere non potrebbe essere assimilata alla condanna penale, risolvendosi essa semplicemente nell'irrogazione di una forma ulteriore di restrizione, derivante dall'accertamento di infrazioni non necessariamente consistenti nella perpetrazione di atti di natura criminale. La difesa – per sostenere la tesi della bontà della sentenza gravata – ribadisce invece l'assimilabilità fra i due suddetti concetti, richiamando i principi espressi in merito dalla Consulta (Corte cost. 419/1994) ed evidenziando come la sanzione in esame possa essere inflitta solo previa acquisizione di un certificato sanitario.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità richiamano in primo luogo la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 348/2007 e n. 348/2007), a mente della quale le norme della Convenzione Europea – come interpretate dai giudici di Strasburgo – rivestono in relazione al diritto interno un rango sovralegislativo ma subcostituzionale. Il giudice italiano è quindi tenuto ad attribuire alle norme di diritto nazionale una valenza conforme ai principi derivanti dalla Convenzione, mentre la verifica di legittimità costituzionale si pone quale extrema ratio, in caso di vano utilizzo di tale sforzo ermeneutico adeguatore. Sempre la Consulta (Corte cost. n. 49/2015), aveva del resto chiarito come l'obbligo di esegesi conforme si ponga – per il giudice interno – solo dinanzi a decisioni Cedu che siano espressive di uno scrutinio ormai pacifico, inerente a principi divenuti consolidati nella giurisprudenza convenzionale. Il supremo Collegio evidenzia allora come l'interpretazione del concetto di ne bis in idem rappresenti ormai un principio giurisprudenziale consolidato, per la Cedu (si richiama in motivazione la sentenza emessa dalla Grande Camera in data 15 novembre 2016, A e B c/ Norvegia; per ulteriore approfondimento sarà comunque possibile consultare le più note pronunce della Cedu in tema, ossia le sentenze emesse nei giorni 8 giugno 1976 (Engel c. Paesi Bassi), 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia e 20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia).

Tale filone giurisprudenziale offre una lettura ormai incontestata del dettato normativo.

A mente dunque di tale orientamento, affinché una sanzione possa essere qualificata – pur se solo nella sostanza e non anche nella forma – come penale, occorre che essa sia in primo luogo conforme ai c.d. criteri di Engels – trattasi come noto dei canoni adoperati alternativamente fra loro dalla Corte di Strasburgo, al fine di delimitare la natura penalistica di una determinata sanzione e garantire così tanto la uniformità ermeneutica, quanto un livello indispensabile di garanzie all'interno delle legislazioni degli Stati aderenti; i criteri utili, perché una sanzione possa essere definita penale, si compendiano dunque nel modo che segue: a) catalogazione dell'illecito come penalistico nel sistema interno; b) intima essenza dell'infrazione stessa; c) natura rigorosa della pena irrogabile. Occorre poi che la sanzione prevista dall'ordinamento italiano possa essere valutata sulla base della sua qualifica e gravità, nonché della natura dell'infrazione. La pluralità di procedure susseguenti alla medesima violazione è comunque consentita e non contrastante con i principi Cedu, allorquando sussista tra esse uno stretto legame materiale e temporale. Nesso che è a sua volta argomentabile in primo luogo dall'esistenza di obiettivi sociali di diversa natura, riconducibili alle diverse procedure sanzionatorie (deve quindi trattarsi di finalità atte a dare origine a procedimenti tra loro complementari, sebbene rivolti all'irrogazione di sanzioni di tenore sostanzialmente penali). Deve poi anche emergere il profilo della prevedibilità e della proporzionalità del complessivo apparato sanzionatorio, nonché risultare assicurata una forma di interazione fra le differenti modalità di accertamento.

Volendo ulteriormente sviscerare i principi enucleati dalla Cedu, in ordine al principio del ne bis in idem, occorre poi rifarsi a due pronunce in particolare: la sentenza Zolotukhin c. Russia del 10 febbraio 2009 e la sopra citata, notissima Grande Stevens c. italia del 4 marzo 2014. Alla luce delle argomentazioni sviluppate in tali decisioni, deve individuarsi una violazione del principio della doppia incriminazione già in caso di nuova incriminazione e non solo nel caso di duplicazione di condanne; con riferimento poi al profilo della identità delle fattispecie, la Corte ha sancito come non rilevino tanto gli aspetti legislativi – dunque la definizione tipizzata dei modelli legali – bensì la sovrapponibilità naturalistica, concreta ed essenziale, dei fatti sottoposti a nuovo vaglio.

Questi essendo i principi di diritto che governano la materia, deve verificarsi se nella concreta fattispecie:

  • la sanzione disciplinare dell'isolamento diurno per la durata di cinque giorni rivesta – prescindendosi dalla forma meramente esteriore assunta dal relativo provvedimento – un intimo connotato penale;
  • se i due distinti iter procedimentali – quello penale e quello disciplinare – siano avvinti tra loro da un nesso di natura materiale e si collochino nel medesimo lasso temporale, in modo tale che possano esser considerati come due procedure destinate ad integrarsi a vicenda, senza che una finisca per porsi quale mera ripetizione (rectius, duplicazione) dell'altra;
  • se il complessivo apparato sanzionatorio – come risultante dal convergere e dall'armonizzarsi dei due interventi – presenti i crismi della prevedibilità e della proporzionalità, rispetto alla violazione contestata.

Ebbene, secondo la Corte la specifica sanzione disciplinare sopra detta comporta in primo luogo un inasprimento del regime detentivo ed è pertanto di rilevante incisività. Pur non assumendo quindi la forma esteriore della sanzione penale, ad essa deve nella sostanza essere pienamente equiparata. Trattasi inoltre di due tipologie di sanzione tra loro avvinte da un preciso nesso oggettivo. Quella penale espleta infatti una funzione che è ad un tempo generalpreventiva e specialpreventiva, laddove l'intervento disciplinare tende esclusivamente ad assicurare il mantenimento delle condizioni di ordinato svolgimento del regime di permanenza penitenziaria. Sicuramente, inoltre, la condotta consistente in un danneggiamento perpetrato all'interno di un istituto carcerario può comportare – quale reazione prevedibile e pienamente conoscibile per l'interessato – un intervento repressivo in campo sia penale sia amministrativo (la Corte sottolinea qui come l'art. 32 ord. pen., preveda proprio che il detenuto venga messo specificamente a conoscenza delle conseguenze afflittive, previste nel caso in cui si renda autore di eventuali violazioni). L'art. 79 del reg. esec. ord. pen., infine, prevede che il Consiglio di disciplina interno possa sospendere il proprio giudizio, allorquando si abbia notizia dell'esistenza di una informativa di reato all'A.G.: da ciò, la Corte ricava l'esistenza di forme di influenza reciproca fra le due procedure.

La conclusione alla quale si perviene è nel senso che i due procedimenti sanzionatori – quello penale e quello disciplinare – possano nella concreta fattispecie concorrere nel comporre una sanzione penale integrata, inerente al medesimo accadimento storico. E che da tale duplicità di interventi non discenda alcuna violazione del diritto a non vedersi puniti più volte.

Osservazioni

La Corte ha qui avvertito l'esigenza di perimetrare in maniera netta, l'ambito di possibile coesistenza e le condizioni per una eventuale sovrapponibilità, esistenti fra le sanzioni penali propriamente dette e quel variegato insieme di interventi di tipo pur latamente repressivo che – ad onta della formale connotazione amministrativa – presentano i crismi di afflittività che sono in realtà propri della pena. La legittimazione offerta al mantenimento di una duplice direttrice sanzionatoria – ad un tempo svolgentesi in campo penale ma anche mediante interventi promananti da autorità amministrative – si fonda sulla interazione fra le diverse forme repressive. Poggia però anche sull'esistenza di finalità sociali di diverso genere; sulla prevedibilità del complessivo sistema di interventi; sulla intima correlazione oggettiva e materiale tra i diversi interventi (che si pongano dunque tra loro in funzione complementare e non ripetitiva), nonché sulla effettiva coincidenza cronologica fra gli stessi. Il rischio che, in concreto, si profila all'orizzonte è però quello di ampliare a dismisura le maglie della complementarità fra sistemi sanzionatori, così svuotando di significato pratico i principi enucleati dalla Corte Edu. I canoni interpretativi attraverso i quali è infatti consentito giungere alla conclusione dell'esistenza di un compendio sanzionatorio integrato – sarebbe a dire: di escludere la natura solo reiterativa delle sanzioni e, pertanto, ritenere scongiurata la violazione del divieto di bis in idem – sembrano ancora troppo elastici. Ancora esageratamente ampio pare infatti lo spazio che – in ossequio alle sopra enucleate regole teoriche – potrà residuare, per una indagine concernente l'intrinseca natura delle varie tipologie di sanzioni. Un difetto di tipizzazione che, in verità, potrebbe riverberare una luce maligna proprio sul fondamentale canone della prevedibilità, condivisibilmente indicato dal supremo Collegio quale architrave del sistema repressivo sopra descritto. E forse, una azione legislativa per così dire di cesello, sul punto specifico, non sarebbe del tutto inopportuna. Se il concetto di compendio penale integrato ha ormai una sua cittadinanza non solo ideologica e filosofica, ma anche attinente alla politica criminale globalmente intesa, non potrà a lungo prescindersi da un intervento normativo di dettaglio delle fattispecie. Una azione normativa che possa definitivamente raccordare tra loro sistemi sanzionatori distinti, che a volte sono addirittura privi della necessaria osmosi culturale reciproca e che rischiano dunque di presentarsi solo come un confuso mosaico.

Guida all'approfondimento

Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 25815 del 21 aprile 2016, il principio sancito dall'art. 649 c.p. non trova applicazione, allorquando sia instaurato un procedimento in sede penale in relazione allo stesso accadimento storico in relazione al quale risulti già inflitta - in ambito amministrativo – una sanzione che si connoti in termini sostanzialmente penali (il rimedio consisterebbe comunque, per i Giudici di legittimità, nella proposizione della questione di legittimità costituzionale ex art. 117 Cost. dell'art. 649 c.p.p., in relazione al dettato dell'art. 4 Cedu). Rammentiamo anche che Cass. pen., Sez. III, n. 36350 del 23 marzo 2015 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. (per asserito contrasto con il disposto degli artt. 24 e 117 Cost., in relazione all'art. 4 prot. n. 7 della Cedu), in quanto non è ivi previsto che possa applicarsi – al momento in cui viene dato inizio ad un procedimento in sede penale – il divieto di doppia incriminazione, in caso di precedente irrogazione di una sanzione disciplinare ad opera degli organi della giustizia sportiva, visto che le sanzioni inflitte da tale giustizia non hanno neppure veste di sanzione amministrativa.

La Corte di cassazione ha poi ripetutamente chiarito come la definitività della sanzione esteriormente amministrativa – che sia irrogata in relazione ad un fatto similare, quanto ai principali aspetti storici e naturalistici, rispetto a quello in relazione al quale si vada poi ad infliggere una sanzione penale – rappresenti il momento prodromico indefettibile, perché possa operare il divieto del ne bis in idem. Resta pertanto inibita la possibilità di dedurre tale violazione - in caso di inflizione di sanzione che assuma l'aspetto solo esteriore dell'intervento in via amministrativa, ma che abbia invece una intrinseca natura penale – laddove sia carente il profilo della definitività della prima. Parimenti non deducibile sarà il vizio di precedente giudicato – ai sensi della suddetta giurisprudenza convenzionale – in caso di mancata coincidenza fra la persona fisica sanzionata in sede penale e la persona chiamata invece a rispondere in sede amministrativa (si vedano, per i principi sopra rapidamente riassunti, Cass. pen., Sez. III, 24 ottobre 2014, n. 43809; Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2015, n. 19334; Cass. pen.,Sez. II, 25 febbraio 2016, n. 13901).

L'interpretazione giurisprudenziale offerta dal supremo Collegio – in relazione alla problematica dei confini del ne bis in idem alla luce dei principi Cedu – pare allo stato sostanzialmente uniforme e pacifica; non risultano infatti precedenti difformi.

*** CAMPOLI, Il ne bis idem in sede europea: poche idee ma confuse;GAMBOGI, Reati tributari: insanabili contraddizioni tra Europa e Italia ed incertezze sull'evoluzione della tutela erariale;PERNA, Ne bis in idem. Retromarcia della Corte Edu?

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario