L'affidamento dell'animale ad un terzo non esime il proprietario da responsabilità per le sue condizioni d'abbandono
16 Novembre 2016
Massima
L'affidamento ad un terzo di un cane, che risulti tenuto in condizioni igienico sanitarie inadeguate, in uno stato di salute produttivo di "sofferenza fisica per l'animale", non esclude la responsabilità penale del proprietario che abbia omesso di prestare cure adeguate all'animale stesso, in ordine al reato previsto dall'art. 727 c.p., reato contravvenzionale che punisce a titolo di dolo o di colpa tutti gli atti d'incuria che danneggiano l'animale. Il caso
Il tribunale di Vicenza condannava l'A., ritenuta provata la di lui responsabilità, in ordine al reato d'abbandono d'animali , ex art. 727 c.p., per avere omesso di prestare le cure necessarie al proprio cane pastore tedesco che versava in condizioni di salute precarie presso l'abitazione del di lui fratello, distinte dalla propria abitazione L'istruttoria dibattimentale, invero, consentiva, anche con l'acquisizione di foto e certificati veterinari, di provare che il cane, tenuto lontano dall'abitazione del proprietario, era affetto da "otite bilaterale purulunta [...] una lesione dell'arto posteriore sinistro [...] e in evidente dermatite con essudazione nel piatto interno della coscia". Condizioni di salute gravemente precarie di cui il proprietario affermava di non essersi reso conto. L'imputato proponeva ricorso per saltum in Cassazione contro la sentenza del giudice di prime cure che l'aveva condannato alla pena di euro 2.000,00 d'ammenda. La Cassazione, ritenuta l'assenza di errori logici e giuridici in ordine agli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) con conseguente esclusione di un sindacato in punto di prove da parte del giudice di legittimità, ritenuta l'integrazione degli elementi costitutivi del reato p.e.p. dall'art. 727 c.p. respingeva il ricorso promosso dall'imputato, confermando la sentenza del giudice di primo grado. La questione
La suprema Corte affronta la problematica relativa alla sussistenza o meno della responsabilità penale in capo al proprietario che abbia affidato il proprio animale domestico ad un terzo che lo detenga in condizioni di salute precarie, omettendo di prestare all'animale le cure necessarie, provocando così nell'animale gravi sofferenze. Le soluzioni giuridiche
Si ritiene che autore d'entrambi i reati previsti dall'art. 727 c.p., nonostante l'utilizzo della locuzione chiunque, possa essere esclusivamente il proprietario o colui che a qualunque titolo detenga l'animale, ad es. custodia, affidamento, anche temporaneamente (vedasi Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2006, n.6415. Il reato, ex art. 727, comma 2, c.p., è un reato a forma libera che si consuma mediante la detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura e la causazione agli stessi di gravi sofferenze, che possono essere costituite anche da meri patimenti, in assenza di una lesione. La necessità della causazione delle gravi sofferenze introdotta dalla novella dell'art. 727 c.p. rende non semplice il distinguo tra il reato de quo e il reato di cui all'art. 544-ter c.p. Secondo la giurisprudenza di legittimità per individuare le condizioni incompatibili con la natura degli animali, occorre avere riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. (vedasi Cass. pen., Sez. III, 17 dicembre 2014,n. 6829 conforme Cass. pen., Sez. III, 3 marzo 2016, n. 25805);. La condotta può consistere sia in comportamenti commissivi sia omissivi, ovvero in comportamenti caratterizzati da trascuratezza, intesa come indifferenza alla sorte dell'animale, nella consapevolezza che lo stesso non è in grado di provvedere a sé stesso (Cass. pen., Sez. III, 2 febbraio 2011,n. 18892 ma anche Cass. pen, Sez. III, 26 aprile 2005,n. 21744). La giurisprudenza ha affermato che il reato di cui al secondo comma dell'art. 727 c.p. può essere punito sia a titolo di dolo sia di colpa (vedasi Cass. pen, Sez. III, 26 aprile 2005, n. 21744 conforme a Cass. pen., Sez. III, 4 maggio 2004, Brao; Pretura Mirandola 24 giugno 1986; Cass. pen. Sez.III, 10 ottobre 2012, n.5971). In giurisprudenza si è inoltre chiarito che ai fini della sussistenza dell'art. 727 c.p. non è necessaria la volontà dell'agente d'infierire sull'animale, mentre, ai fini dell'integrazione del reato di maltrattamenti di cui all'art. 544-terc.p. è necessario l'agire per crudeltà e necessità. La dottrina discute se la contravvenzione di cui al secondo comma dell'art. 727 c.p., reato sia un reato istantaneo o permanente. Un primo orientamento dottrinario ritiene che tale fattispecie costituisca un'ipotesi di reato permanente (DE SANCTIS); altro orientamento dottrinario (PAVICH-MUTTINI e MAZZA) ritiene che si tratti un reato istantaneo sia perchè l'evento – pur nella sua particolare connotazione – del reato segna eo ipso il momento in cui l'illecito viene a consumarsi, sia perché (...) la condizione che lo determina può essere indotta anche da comportamenti temporalmente assai ristretti e non significativamente protratti (PAVICH) Osservazioni
La suprema Corte ha ritenuto l'imputato colpevole del reato di cui all'art. 727, comma 2, c.p., risultando provata la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato. Le prove acquisite dal giudice di prime cure (costituite da deposizioni, certificati veterinari e fotografie) valutate con adeguata motivazione, hanno consentito di provare che il pastore tedesco, tenuto lontano dall'abitazione del proprietario, con poche occasioni di stare in sua compagnia, era ammalato e privo delle cure necessarie È risultato così provato che l'imputato ha detenuto il proprio cane in condizioni incompatibili con la natura degli animali, quali esseri dotati di una propria sensibilità e capacità di soffrire. I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, confermano il consolidato orientamento della giurisprudenza sia di legittimità sia di merito che affermano la natura sia commissiva sia omissiva della condotta del reato di cui all'art. 727, comma 2, c.p. La Corte di cassazione afferma che sono idonee ad integrare il reato d'abbandono d'animali, ex art. 727, comma 2,c.p. anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisico degli stessi, procurando loro dolore e afflizione, riconoscendo così la natura senziente degli animali. I giudici di legittimità hanno individuato la condotta costitutiva del reato contestato nell'omessa prestazione di cura ed assistenza, dovuta ad un comportamento di trascuratezza colposa. La trascuratezza, nel caso oggetto della sentenza in commento, è costituita dal disinteresse manifestato dal proprietario per il cane, affidato ad una terza persona (il fratello), nell'indifferenza per la sorte dell'animale, che gli impediva d'accorgersi delle sue condizioni di salute e conseguentemente di prestargli le cure necessarie. La sentenza oggetto di commento implicitamente riconosce la titolarità, ex art. 40 c.p., di una posizione di garanzia in capo al proprietario da cui deriva un dovere di custodia e cura dell'animale, con conseguente rilevanza penale degli atti di trascuratezza verso l'animale stesso. I giudici di legittimità affermano, inoltre, la punibilità del reato di cui al secondo comma dell'art.727 c.p., sia a titolo di dolo sia a titolo di colpa, ricomprendendo nelle condotte punite dal reato de quo anche le ipotesi di trascuratezza ed indifferenza verso gli animali, che sono incompatibili con il dolo. LOMBARDI, VALLAURI, Testimonianze, tendenze, tensioni del diritto animale vigente, in Trattato di Biodiritto - La questione animale, Giuffrè, 2012; MAZZA, I reati contro il sentimento degli animali, Padova, 2012; PAVICH, MUTTINI, La tutela penale degli animali, Giuffrè, 2016. |