Oltraggio ad un pubblico ufficiale: l'erronea convinzione di reagire ad un atto arbitrario esclude la punibilità
14 Novembre 2016
Massima
In tema di oltraggio ad un pubblico ufficiale, nell'ipotesi in cui la condotta offensiva dell'onore e del prestigio sia causata dalla convinzione dell'agente di reagire ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale, trova applicazione l'art. 59, ultimo comma, c.p. in considerazione della natura di scusante dell'art. 393-bis c.p. Il caso
Tizio, recatosi presso un ufficio postale per eseguire dei pagamenti in scadenza, accertata l'impossibilità, per problemi tecnici dell'ufficio, di ottenere il servizio richiesto, chiedeva al direttore responsabile – al fine di tutelarsi da future sanzioni – una dichiarazione scritta nella quale si attestasse che l'omesso pagamento nei termini era ascrivibile ad un problema dell'ufficio postale. Al diniego opposto dal direttore dell'ufficio, Tizio cominciava ad alterarsi, tanto che venivano chiamate ed intervenivano sul posto le forze dell'ordine. Tizio, a questo punto, risoluto ad ottenere giustizia, chiedeva insistentemente al brigadiere dei Carabinieri intervenuto di verbalizzare sia la richiesta che aveva avanzato sia il costante diniego del direttore. A fronte della mancata attivazione in tal senso da parte del brigadiere, Tizio, già in stato di agitazione, reagiva profferendo le seguenti frasi: “anche voi come loro fate parte di un sistema marcio e corrotto … schiavi di uno stato corrotto e abusando della divisa al fine di sottomettere i diritti delle persone”. Per i fatti sopra esposti Tizio veniva tratto a giudizio con le imputazioni di interruzione di un servizio pubblico (art. 340 c.p.) e di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.). All'esito dell'istruttoria dibattimentale risultava accertato che il servizio postale non era stato né interrotto né ritardato dalla condotta di Tizio, per cui quest'ultimo veniva assolto per insussistenza del fatto. Viceversa, si accertava la sussistenza del fatto offensivo dell'onore e del prestigio del brigadiere (ai sensi dell'art. 341-bis c.p.); tuttavia, il tribunale assolveva l'imputato considerando che egli avesse agito, offendendo l'onore ed il prestigio del carabiniere, nell'erronea supposizione che la verbalizzazione da parte del quest'ultimo fosse un atto dovuto e che, pertanto, il diniego costituisse un atto arbitrario del pubblico ufficiale. La questione
La questione in esame è la seguente: accertato che Tizio fosse convinto di reagire ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale, è invocabile, in via putativa, ai sensi dell'art. 59, ultimocomma, c.p., l'esimente di cui all'art. 393-bis c.p. che sancisce la non punibilità, tra l'altro, del fatto di cui all'art. 341-bis c.p. quando il pubblico ufficiale abbia dato causa al fatto preveduto nell'articolo, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni?Il tribunale di Lecco risponde in senso affermativo: l'art. 59, ultimo comma, c.p. – che, come noto, stabilisce la rilevanza a favore del reo delle circostanze di esclusione della pena erroneamente supposte – è applicabile anche all'art. 393-bis c.p. e, nel caso che ci interessa, all'ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale. Le soluzioni giuridiche
La soluzione adottata dal tribunale di Lecco muove dall' assunto che l'art. 393-bis c.p., pur recando in rubrica causa di non punibilità, non contempli una causa di esclusione della punibilità in senso stretto. Se, infatti, l'art. 393-bis c.p. contemplasse una causa di non punibilità in senso stretto, nell'accezione di condizione ulteriore ed esterna rispetto al fatto antigiuridico e colpevole che, per ragioni di opportunità ravvisate e fatte proprie dal Legislatore, esclude l'opportunità di punirlo, non potrebbe trovare applicazione l'art. 59,ultimo comma, c.p.Ciò in quanto tale disposizione, che stabilisce la rilevanza a favore del reo delle circostanze di esclusione della pena erroneamente supposte, si riferisce alle sole cause di giustificazione (o scriminanti) ed alle scusanti ma non alle cause di non punibilità. Queste ultime, infatti, integrano cause di punibilità “rovesciate” rispetto alle condizioni obiettive di punibilità di cui all'art. 44 c.p. e rivestono, pertanto, come le condizioni obiettive di punibilità, rilevanza oggettiva. In effetti, l'oggettiva insussistenza della situazione che integra una causa di non punibilità fa sì che non sussistano le ragioni di opportunità che legittimano, agli occhi del Legislatore, la rinuncia a punire l'autore del fatto antigiuridico e colpevole. Può dirsi, quindi, che a dispetto del nomen iuris causa di non punibilità presente nella rubrica dell'art. 393-bis c.p. e spesso utilizzato in un'accezione atecnica dallo stesso Legislatore, le soluzioni giuridiche che si prospettavano al tribunale fossero sostanzialmente tre. Una prima soluzione, accolta da isolata dottrina, è quella di ravvisare nell'art. 393-bis c.p. una causa di non punibilità in senso stretto (in giurisprudenza, v. tra le ultime Cass. 18 marzo 2016, n. 16101). Seguendo tale impostazione, ne conseguirebbe, come si diceva, l'impossibilità di invocare la rilevanza putativa. Tale strada sembra percorsa anche dalla giurisprudenza maggioritaria che, parlando genericamente di “esimente” a proposito dell'art. 393-bis c.p., ne esclude la rilevanza putativa (v. per es. Cass. pen.,6 novembre 2013, n. 46743). Un'ulteriore possibilità, che trova conforto nella giurisprudenza della Corte costituzionale e che raccoglie il consenso della dottrina maggioritaria, è quella di ravvisare nell'art. 393-bis c.p. una causa di giustificazione, che alcuni accomunano, per affinità di ratio, alla legittima difesa (art. 52 c.p.). Tale orientamento affiora talora anche nella giurisprudenza di legittimità, che, nondimeno, con argomentazioni non del tutto persuasive, nega la rilevanza putativa dell'esimente (cfr. Cass.pen., 13 gennaio 2012, n. 7928). La terza soluzione, adottata dal tribunale nel caso che ci interessa e avallata da autorevole dottrina, ravvisa nell'art. 393-bis c.p. una scusante, vale a dire una circostanza anormale che nella valutazione legislativa avrebbe influito in modo irresistibile sulla volontà dell'agente, tanto da rendere inesigibile un comportamento diverso. L'accoglimento di questa tesi, che assimila le caratteristiche dell'art. 393-bis c.p. a quelle della provocazione di cui all'art. 599, comma 2, c.p., comporta la rilevanza putativa dell'esimente, come avviene in giurisprudenza in tema di provocazione ex art. 599, comma 2, c.p. (v. per es. Cass. pen., 8 gennaio 2014, n. 14021). Osservazioni
La soluzione adottata dal tribunale, una volta accertato che Tizio abbia agito nell'erronea convinzione di subire un atto arbitrario da parte del pubblico ufficiale, appare assolutamente persuasiva. Il tribunale, nell'attribuire natura di scusante alla situazione contemplata dall'art. 393-bis c.p., muove dall'osservazione di analogie strutturali tra l'art. 393-bis c.p. e l'art. 599, comma 2, c.p.Si legge, infatti, in motivazione che entrambe le norme descrivono uno stato psicologico alterato del soggetto agente, connesso causalmente all'atto arbitrario/fatto ingiusto altrui, al quale segue la reazione verbale oggetto della norma incriminatrice. Va, d'altra parte, osservato che anche la Corte costituzionale (Corte cost. 140/1998), pur ravvisando nell'art. 599, comma 2, c.p. una causa di giustificazione, mette in luce l'analogia strutturale delle due norme; un'analogia rilevata anche in alcune pronunce di legittimità, nelle quali si riconosce espressamente anche la rilevanza putativa ai sensi dell'art. 59, ultimo comma, c.p. dell'esimente di cui all'art. 599, comma 2, c.p. Proprio con riferimento all'art. 599, comma 2, c.p., il tribunale richiama una decisione della Corte di cassazione in cui si legge che l'esimente in questione può anche configurarsi sotto il profilo della putatività, ai sensi dell'art. 59 c.p. (circostanze non conosciute o erroneamente supposte) qualora ricorra una ragionevole, anche se erronea, opinione dell'illiceità del fatto altrui, ma in tal caso si richiede che l'errore sia plausibile, ragionevole e logicamente apprezzabile (Cass. pen., 16 ottobre 1986, n. 13942). Dall'analogia strutturale tra l'art. 599, comma 2, c.p. e l'art. 393-bis c.p., il tribunale trae conforto anche in ordine alla natura di scusante dell'art. 393-bis c.p., con questa conseguenza: l'applicabilità dell'art. 59, ultimo comma, c.p. alla reazione agli atti arbitrari di un pubblico ufficiale, ossia la rilevanza putativa della scusante. Sul punto il tribunale scrive che la compatibilità tra la scusante e la sua putatività a parere di questo Giudice appare invero necessaria: sarebbe viceversa irragionevole stabilire, da un lato, la non punibilità di un comportamento (motivato da un certo stato psicologico, discendente da determinati presupposti di fatto) e, dall'altro, ritenere, invece, meritevole di pena colui che assuma il medesimo. In conclusione, possiamo dire che, fondandosi l'esclusione della punibilità su una valutazione (del Lgislatore) di inesigibilità della condotta del privato, vittima dell'eccesso arbitrario del pubblico ufficiale, è del tutto coerente attribuire natura di scusante alla previsione dell'art. 393-bis c.p., traendone, come precipitato logico, per usare le parole del tribunale, l'applicabilità dell'art. 59, ultimo comma, c.p. anche all'art. 393-bis c.p. e la conseguente rilevanza dell'errore (dell'agente), non dovuto a colpa, sulla situazione esimente. Va, peraltro, osservato, come rileva lo stesso tribunale, che l'art. 59, ultimo comma, troverebbe applicazione anche nell'ipotesi in cui si accogliesse la tesi, preponderante in dottrina e implicitamente avallata dalla Corte costituzionale (con riferimento all'art. 599, comma2, c.p. e all'art. 4 del d.lgs. luogotenenziale 288/1944), che ravvisa nell'art.393-bis c.p. una causa di giustificazione. Osservazioni
MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, V ed. (aggiornata da Dolcini e Gatta), 2015, 374, 404 ss.; PASELLAasella, in Codice penale commentato, diretto da Dolcini e Gatta, IV ed. 2015, tomo II, sub art. 393 bis c.p., 1453 ss.; ROMANO, Commentario sistematico del Codice penale, vol. I, III ed., 2004, sub art. 59, 654 ss.; VIGANÒ, in Codice penale commentato, diretto da Dolcini e Gatta, cit., tomo I, sub art. 59, 1177 ss.
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