Omissioni informative e terapeutiche. Nesso di causa: nuove riedizioni della “significativa probabilità”?
13 Settembre 2017
Massima
L'operazione intellettuale che va sotto il nome di giudizio controfattuale richiede innanzitutto che venga preliminarmente descritto ciò che è accaduto; solo dopo aver accertato "che cosa è successo" (si propone al riguardo la definizione di giudizio esplicativo) è possibile chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la condotta doverosa (giudizio predittivo). Una volta identificata compiutamente la condotta doverosa va quindi risolto il quesito in merito alla sua valenza salvifica, impostato alla luce del parametro della significativa probabilità di scongiurare il danno. La consapevolezza della complessità della medicina (come di altre branche del sapere) e del trattamento terapeutico, preclude l'assunzione di giudizi che non siano nutriti dell'analisi tecnica dei dati disponibili, concernenti il paziente e la malattia. Il caso
La paziente affetta da sclerosi multipla degenerativa, a seguito di caduta accidentale, veniva ricoverata presso l'ospedale ortopedico per una frattura diafisaria III prossimale tibia destra, diagnosticatale a seguito di esame radiografico. Veniva, pertanto, sottoposta ad un intervento di riduzione e sintesi della frattura tibiale da parte dei dottori M. e D. Dopo pochi giorni la signora, nonostante lamentasse forti dolori all'arto destro, soprattutto alla caviglia, veniva dimessa con la prescrizione di assumere analgesici e di effettuare una radiografia. La radiografia veniva effettuata presso una diversa clinica. Dal nuovo esame emergeva una frattura scomposta bimalleolare della caviglia destra, dovuta alla medesima caduta, in via di viziosa consolidazione, quindi con il rischio della normale anatomia dei tessuti coinvolti. I medici A. e B., che visitarono la paziente all'esito della radiografia, ritennero non necessario effettuare un secondo intervento chirurgico e rinviarono per una visita di controllo dopo alcuni mesi. Permanendo il dolore, la signora si rivolgeva ad una clinica privata dove le venivano effettuati due interventi, grazie ai quali conservava una normale anatomia dell'arto inferiore destro per le corrette modalità di consolidamento della lesione. Venivano pertanto denunciati per lesioni colpose tutti i medici intervenuti a vario titolo nella vicenda, i dottori M. e D e i dottori A. e B. Tutti i sanitari venivano assolti in primo grado ma la Corte d'appello riformava la sentenza condannandoli per il reato di lesioni colpose loro contestato per aver aggravato la condizione di sofferenza della paziente e per aver allungato i tempi necessari alla sua guarigione, non essendo intervenuti sulla frattura alla caviglia riscontrata né avendone informato correttamente la paziente. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione le difese degli imputati. La questione
La valutazione effettuata dalla Corte nel caso di specie riguarda la ricostruzione del nesso di causa che deve essere effettuata nelle ipotesi di condotta colposa omissiva, come tipicamente avviene nei casi di responsabilità medica. In particolare, nel caso in oggetto occorreva valutare la sussistenza del nesso di causa tra le omissioni informative e terapeutiche attribuite agli imputati e le lesioni patite della signora. Le soluzioni giuridiche
Nel caso in esame la Corte evidenzia come vertendosi in un'ipotesi di condotta colposa occorra effettuare il c.d. giudizio controfattuale per verificare se, una volta individuata la violazione della norma cautelare, la condotta doverosa non tenuta sarebbe stata in grado, qualora eseguita, di evitare l'evento concretamente verificatosi. Il giudizio controfattuale si contraddistingue per due necessari passaggi: il c.d. giudizio esplicativo e il c.d. giudizio predittivo. Il primo richiede che venga individuato ciò che è effettivamente accaduto; in tale fase deve essere raggiunta la certezza processuale. Il giudizio predittivo, invece, riguarda il secondo momento, ossia capire cosa sarebbe successo se la condotta doverosa fosse intervenuta: in questo caso, secondo la Corte, è sufficiente che si raggiunga “l'elevata probabilità logica” che la condotta doverosa avrebbe avuto effetto impeditivo. Una volta individuata la condotta doverosa non tenuta, occorre risolvere il quesito in merito alla sua valenza salvifica sulla base del parametro della significativa probabilità di scongiurare l'evento. Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte annulla la sentenza della Corte d'appello in quanto non sufficientemente motivata su alcuni aspetti, in particolare non era stata raggiunta la certezza sull'esatta ricostruzione dell'accadimento fattuale, pertanto nemmeno era stato possibile determinare la valenza salvifica che avrebbe avuto la condotta doverosa, se tenuta. Sul punto la Corte evidenzia ancora due aspetti. Sebbene riconosca la possibilità del giudice di ricorrere al buon senso per orientare le sue decisioni, i giudici evidenziano come non si possa non riconoscere la complessità che caratterizza la materia della medicina e dei trattamenti terapeutici. Sarebbe preferibile, pertanto in tali ambiti che il giudice ricorra ad un esperto, cosa che nel caso di specie non è avvenuta pur a fronte di un incertezza nella ricostruzione della dinamica degli eventi. Infine, in merito alla contestazione della mancata informazione da parte dei sanitari alla paziente, la Corte sottolinea come anche in questo caso non sia sufficiente indicare la condotta omissiva, ma occorra specificare in quale modo abbia inciso sull'evento lesivo. In particolare è errato attrarre nel nucleo della condotta colposa l'inadeguata informazione al paziente se non si chiarisce quale funzione prevenzionistica avrebbe avuto nel caso specifico una informazione adeguata. Osservazioni
Nella sentenza in esame la Cassazione torna a pronunciarsi sulla problematica della causalità colposa, che caratterizza le ipotesi di responsabilità medica. Come noto, per giurisprudenza ormai pacifica nei casi di condotte colpose occorre procedere attraverso il c.d. giudizio controfattuale che prevede in primo momento l'esatta ricostruzione della dinamica degli eventi e in un secondo momento la verifica dell'attitudine salvifica del comportamento doveroso mancato. Nessun dubbio in merito alla responsabilità del soggetto agente tutte le volte in cui, tramite il giudizio controfattuale, si raggiunga la certezza che il comportamento doveroso prescritto dalla norma cautelare avrebbe evitato il verificarsi dell'evento lesivo. Problematiche rimangono, invece, tutte le ipotesi di dubbio circa l'evitabilità o meno dell'evento, quale sia il livello di probabilità richiesta affinché l'evento sia imputabile all'agente. Invero, con riferimento ai reati commissivi colposi la giurisprudenza assolutamente maggioritaria ritiene sufficiente il raggiungimento di una elevata probabilità logica, infatti la funzione delle regole cautelari non sarebbe l'azzeramento del rischio ma la sua riduzione entro margini ritenuti tollerabili dall'ordinamento. Secondo tale giurisprudenza, diverso sarebbe, invece, per i casi di condotte colpose omissive, ove sarebbe necessaria la certezza che la condotta doverosa non tenuta avrebbe evitato l'evento. La sentenza in oggetti, quindi, segue un filone minoritario, infatti, pur analizzando un'ipotesi di condotta colposa omissiva, ritiene che nel giudizio predittivo non sia necessario il raggiungimento di una certezza processuale ma una elevata probabilità logica che la condotta doverosa avrebbe avuto effetto impeditivo. Si legge infatti nella pronuncia: «identificata la condotta doverosa va quindi risolto il quesito in merito alla sua valenza salvifica, impostato alla luce del parametro della significativa probabilità di scongiurare il danno». |