Quando il mobbing diventa maltrattamenti in famiglia
13 Gennaio 2016
Massima
Le pratiche persecutorie finalizzate all'emarginazione del lavoratore possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia quando il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. Non occorre, pertanto, che ricorrano le condizioni formali di sussistenza dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis c.c. Il caso
Tizio e Caio, titolari di un'azienda di lavorazioni meccaniche, sottoponevano ad un lunga serie di condotte vessatorie Mevio, cognato del primo e genero del secondo. In particolare, Mevio veniva fatto segno di continui ed esagerati rimproveri, di pubblica denigrazione, di limitazioni nei permessi lavorativi e nelle pause pranzo, di aggravamenti quanto all'inizio e alla durata dell'orario lavorativo, di ripetute iniziative disciplinari, tant'è che i colleghi di lavoro avevano inizialmente pensato che esso servisse a farne un capro espiatorio pe indurli a confidarsi con lui e consentire al datore di lavoro di conoscerne e segrete convinzioni. Le iniziative disciplinari nei suoi confronti – poi culminate nel licenziamento per giusta causa – si intensificavano con il progressivo deterioramento del suo rapporto coniugale, sfociato nella separazione dalla moglie. Il tribunale prima e la Corte d'appello poi ritenevano Tizio e Caio responsabili del delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. La difesa contestava, invece, la para-familiarità del rapporto di lavoro, rilevando come l'azienda degli imputati non presentasse i requisiti formali dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis c.c. La questione
A quali condizioni il delitto di maltrattamenti previsto dall'art. 572 c.p. può trovare applicazione alle pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione? Le soluzioni giuridiche
Uniformandosi all'indirizzo interpretativo prevalente, la Cassazione ribadisce l'applicabilità del delitto di maltrattamenti alle pratiche mobbizzanti, a condizione che le condotte persecutorie nei confronti del lavoratore siano realizzate in un contesto lavorativo caratterizzato dal requisito della para-familiarità. La sentenza sottolinea, in particolare, come l'art. 572 c.p. non garantisca una tutela penale onnicomprensiva del mobbing lavorativo (che, ricorrendone le condotte tipiche, potrà integrare anche diverse figure di reato quali le minacce, le percosse, l'ingiuria, la violenza privata ecc.) ma si limiti a reprimere quelle condotte strumentali all'emarginazione e all'annientamento psicologico del lavoratore che si manifestino in un contesto lavorativo di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia. Il valore decisivo che assume il requisito della para-familiarità del rapporto di lavoro trova, d'altra parte, conferma in quegli arresti giurisprudenziali – puntualmente richiamati in motivazione – che escludono la configurabilità del delitto di maltrattamenti quando le condotte vessatorie siano realizzate nel contesto di un'articolata realtà aziendale, caratterizzata da uno stabilimento di ampie dimensioni e da decine di dipendenti sindacalizzati. Tornando al caso di specie, la Cassazione non dubita che il rapporto di lavoro avesse connotazioni di tipo para-familiare e ciò indipendentemente dal fatto che, ai sensi del codice civile, quella di Tizio e Caio non fosse un'impresa familiare. Anzi, da un punto di vista sostanziale, la inestricabile commistione tra aspetti di natura lavorativa e familiare, tale da implicare immediate ricadute delle vicende registratesi in una sfera nell'altra” rendeva di natura panfamiliare i rapporti tra le parti. Osservazioni
Attraverso una serie di mirati richiami giurisprudenziali in grado di ampliare il tema rispetto al caso (invero piuttosto semplice) sottoposto all'attenzione della suprema Corte, la sentenza ribadisce la perdurante validità dell'indirizzo ricostruttivo incline a circoscrivere la configurabilità dei maltrattamenti in famiglia alle imprese di dimensioni medio-piccole, caratterizzate da una sostanziale para-familiarità dei rapporti. Tuttavia, secondo un diverso punto di vista diffuso soprattutto nella giurisprudenza di merito, anche in seno ad imprese di grandi dimensioni potrebbero svilupparsi relazioni tra lavoratore subordinato e diretto superiore gerarchico tanto strette ed abituali da legittimare, in caso di pratiche vessatorie, l'applicazione dell'art. 572 c.p. Quest'opzione ricostruttiva, meno attenta al dato quantitativo del numero dei dipendenti (inferiore a quindici nel caso di specie) e più sensibile, invece, alla qualità del rapporto lavorativo, appare in prospettiva più funzionale ad una ragionevole applicazione della norma, dato che, come si è rilevato, il criterio dimensionale non consente di tenere in debita considerazione la diversa intensità delle dinamiche relazionali, aprendo così la strada a trattamenti potenzialmente discriminatori (ZOLI, Sulla rilevanza penale del mobbing: i maltrattamenti sono configurabili anche all'interno di imprese medio-grandi, in dirittopenalecontemporaneo.it). |