La rilevanza delle carenze organizzative e gestionali della struttura sanitaria nella valutazione della sussistenza del nesso di causa nella responsabilità medica
10 Luglio 2015
Massima
Il medico non risponde penalmente per la morte del paziente se la struttura e l'organizzazione dell'ospedale sono assolutamente inadeguate. (Nel caso di specie, la Cassazione ha assolto perché il fatto non sussiste due medici del pronto soccorso ortopedico e del pronto soccorso generale di un ospedale toscano, i quali per la carenza di mezzi e l'irrazionale disposizione della struttura non avevano potuto impedire la morte di un paziente. Le due strutture erano poste a grande distanza l'una dall'altra e l'assenza di un'autoambulanza ha costretto i medici allo spostamento del paziente in barella, che ha causato una perdita di tempo che ha avuto un'efficacia determinante sulla morte del paziente). Il caso
Nel sentenza in commento la Corte di cassazione viene chiamata a pronunciarsi in merito ad un caso di colpa medica, con riferimento alla condotta posta in essere da due medici del pronto soccorso, imputati per il reato di omicidio colposo. Secondo la ricostruzione accusatoria, infatti, il decesso del paziente sarebbe stato causato dalla tardività della diagnosi da parte dei due sanitari della frattura della milza. Il procedimento vedeva imputati due medici, P. e C., dell'ospedale presso il quale era stato portato il paziente, poi deceduto, a seguito di un incidente stradale in motocicletta. Il primo sanitario, il dott. P., era il medico di turno del pronto soccorso ortopedico presso il quale era stato originariamente portato il paziente. Il secondo invece era il medico di turno del pronto soccorso generale presso il quale era stata trasferita la vittima a seguito di una prima visita. Il paziente infatti, era stato portato al pronto soccorso ortopedico poiché presentava una frattura alla spalla, curata dal primo medico. Solo nel prosieguo della visita, a seguito del manifestarsi di altri sintomi, il medico aveva sospettato un trauma interno e aveva ritenuto opportuno trasferirlo al pronto soccorso generale. Non essendo stato possibile trovare un'ambulanza disponibile (necessaria considerata la distanza tra i due pronti soccorsi), il trasferimento era avvenuto in barella. Al pronto soccorso generale, il dott. C era l'unico medico presente ed era impegnato in un'altra visita. L'infermiera addetta al triage aveva classificato il paziente come codice verde, non rilevando, quindi, alcuna particolare urgenza. Il paziente era pertanto stato visitato più di un'ora dopo, quando ormai le sue condizioni erano disperate ed era, infatti, deceduto dopo pochi minuti per shock emorragico. Entrambi i medici erano accusati di omicidio colposo del paziente per aver tardivamente diagnosticato un'imponente frattura alla milza così inibendo le tempestive, necessarie e risolutive attività terapeutiche. La Corte d'appello, riformando la sentenza di condanna emessa in primo grado, aveva assolto gli imputati: il dott. P. perché “il fatto non costituisce reato” e il dott. C. “perché il fatto non sussiste”. Avverso tale sentenza aveva proposto ricorso per Cassazione la parte civile, rilevando, con riferimento alla posizione del dott. P., come fosse stato tardivo e comunque inappropriato l'invio al pronto soccorso generale, quando sarebbe stato necessario l'invio diretto al reparto di chirurgia, poiché l'anamnesi circostanziale e il quadro lesivo imponevano di orientarsi verso una possibile lesione interna. Con riferimento, invece, alla posizione del dott. C. la parte civile lamentava come si fosse trascurato che la condizione del paziente avrebbe richiesto un'immediata infusione di liquidi e che una tempestiva diagnosi avrebbe potuto accelerare l'esecuzione dell'atto chirurgico. La questione
La sentenza si incentra sulla valutazione della sussistenza del nesso causale tra la condotta dei medici e l'evento morte del paziente, con particolare riferimento alla valutazione del coefficiente probabilistico del carattere salvifico delle misure doverose non eseguite tenendo conto di tutti gli espetti del caso concreto e quindi di tutte le eventuali concause indipendenti dalla condotta dei medici. Un'attenzione particolare nel caso di specie viene data alla rilevanza delle carenze organizzative e strutturali dell'azienda ospedaliera Le soluzioni giuridiche
La sentenza si inserisce nell'ambito dell'ormai consolidato indirizzo in tema di reato colposo omissivo improprio in merito alla prova della sussistenza del nesso di causa. In particolare era controverso in giurisprudenza quale fosse il grado di probabilità necessario per accertare la sussistenza del nesso di causa che, con il comportamento dovuto ed omesso, l'evento sarebbe stato impedito. Sul punto vi erano due orientamenti: quello maggioritario richiedeva un probabilità prossima alla certezza; quello minoritario riteneva sufficiente “serie ed apprezzabili probabilità di successo”. A partire dalla sentenza Franzese (Cass. pen.,Sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328), si è consolidato il principio della “probabilità logica”; il procedimento logico deve condurre alla conclusione caratterizzata da un “alto grado di credibilità razionale”, quindi alla “certezza processuale” che, esclusa l'interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell'imputato, alla luce della cornice nomologica e dei dati ontologici, sia stata condizione “necessaria” dell'evento, attribuibile per ciò all'agente come fatto proprio. La verifica deve essere effettuata nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza probatoria disponibile, escludendo l'interferenza di altri fattori causali alternativi. La sentenza in oggetto, inserendosi nel solco della suddetto orientamento, afferma che “nell'ambito della causalità omissiva vale la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza; e che tuttavia tale apprezzamento va compiuto tenendo conto da un lato delle informazioni di carattere generalizzante afferenti al coefficiente probabilistico che assiste il carattere salvifico delle misure doverose appropriate, d'altro lato delle contingenze del caso concreto. Nella fattispecie in esame tale apprezzamento è stato correttamente compiuto. Non solo si è mostrato che le probabilità di successo della terapia appropriata sono correlate alla tempestività dell'intervento terapeutico ma si è correttamente aggiunto che nel caso in esame l'ora notturna e le conclamate deficienze organizzative della struttura sanitaria rendevano sostanzialmente impossibile un intervento tempestivo.” In particolare, la Suprema Corte nel caso di specie, pur riconoscendo che la causa della morte fosse dovuta ad un ritardo nella diagnosi della frattura della milza, che avrebbe potuto essere tempestivamente diagnosticata attraverso un esame ecografico, e quindi curata con una probabilità di salvezza per il paziente prossima alla certezza, aveva confermato la sentenza della Corte d'appello di assoluzione di entrambi i sanitari. La condotta del primo medico era stata ritenuta immune da censure: egli aveva curato il paziente per quanto di sua competenza e lo aveva tempestivamente indirizzato al pronto soccorso generale per un approfondimento dei sintomi (il ritardo nel trasferimento fu dovuto alla mancanza dei mezzi, quindi a cause non imputabili al sanitario), non potendo diagnosticargli l'emorragia addominale non avendo a sua disposizione la strumentazione per l'ecografia. Il suo comportamento, pertanto è stato ritenuto immune da profili di colpa ed è stata confermata l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato. La sentenza ha invece ritenuto di approfondire maggiormente la posizione del secondo medico. In capo allo stesso, infatti, sussiste secondo il giudice un evidente profilo di colpa per negligenza. L'imputato infatti avrebbe dovuto personalmente visitare il paziente all'arrivo al suo pronto soccorso, essendo stato anche preavvisato telefonicamente dal collega della situazione. L'immediata visita avrebbe permesso di riscontrare il trauma addominale e di intervenire prontamente. Tuttavia, la stessa Corte ha ritenuto di confermare l'assoluzione anche per il secondo imputato perché il fatto non sussiste, incentrando la sua valutazione sulla problematica del nesso di causa e considerando come fattore determinante anche la carenza organizzativa e gestionale della stessa struttura sanitaria. La Corte ha, infatti, ritenuto come anche in presenza di una diagnosi tempestiva non sarebbe stato possibile salvare il paziente a causa della cattiva organizzazione del nosocomio. Infatti, non sarebbe stato possibile reperire in tempo un ecografo, il sangue necessario per la trasfusione né la sala operatoria ed chirurghi per effettuare l'operazione. Osservazioni
Nella sentenza in commento vengono quindi evidenziati due aspetti che vanno ad elidere nel caso concreto il nesso di causa. Il primo relativo alla cosiddetta prova del giudizio controfattuale: secondo i giudici di legittimità, anche ipotizzando come posto in essere dal sanitario il comportamento doveroso, difficilmente si sarebbe evitato l'evento morte del paziente, proprio per l'impossibilità di effettuare l'intervento chirurgico necessario in maniera tempestiva per le problematiche organizzative già evidenziate. Infatti, come riconosciuto dagli stessi giudici, lo shock emorragico determinato dalla lesione della milza che sicuramente fu la causa determinante della morte del paziente, avrebbe potuto essere contenuto con delle terapie ma la struttura non disponeva della strumentazione diagnostica, occorreva reperire il sangue del gruppo zero ed occorreva altresì porre gli adempimenti preparatori all'atto chirurgico, per cui “all'esito della prova controfattuale è assai dubbio che una condotta terapeutica appropriata avrebbe salvato la vita del paziente”. Il secondo relativo alla presenza di una serie di concause che hanno determinato l'evento drammatico, legate per lo più alle conclamate deficienze strutturali del nosocomio. “L'errore dei volontari dell'ambulanza che trasportarono il paziente al pronto soccorso ortopedico e non a quello generale, la negata percezione di dolori addominali da parte del ferito, l'assenza di un apparecchio per l'ecografia, l'irrazionale separazione dei diversi pronto soccorso, la mancanza di linee guida uffici efficienti per il trasferimento del paziente, la mancata valutazione da parte dell'infermiera della reale situazione del paziente. Di qui la pronunzia assolutoria perché il fatto non sussiste alla stregua dell'assenza di prova in ordine all'indicato nesso causale”. La pronuncia in oggetto, quindi, appare significativa proprio per la particolare rilevanza che è stata data nel caso concreto oggetto di giudizio alle carenze organizzative e gestionali della struttura sanitaria. Carenza che ha portato ad una pronuncia assolutoria pur nell'evidenza di un profilo di colpa in capo al secondo medico, poiché così gravi erano le mancanze del nosocomio, per assenza di strumentazione adeguata, di personale, di sale operatorie attrezzata, da andare ad elidere il nesso di causa tra la condotta del medico e l'evento morte del paziente: con un elevato grado di probabilità una diagnosi tempestiva da parte del medico non avrebbe comunque consentito di fronteggiare la patologia. |