Fecondazione eterologa all'estero: non commette il reato la madre sociale che registra il certificato
10 Aprile 2017
Massima
Va esclusa l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 567, comma 2, c.p. nel caso di dichiarazioni di nascita effettuate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000, articolo 15, in ordine a cittadini italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare sulla base di certificato redatto dalle autorità ucraine che li indichi come genitori, in conformità alle norme stabilite dalla legge del luogo. Il caso
Con sentenza del 6 giugno 2013, il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Trieste ha assolto, perché il fatto non costituisce reato, (omissis) e (omissis) dal reato di cui all'articolo 110 c.p., e articolo 567, comma 2, c.p., loro contestato, per avere, producendo false certificazioni, alterato lo stato civile dei neonati (omissis) e (omissis), con particolare riferimento alla indicazione della (omissis) quale madre dei minori, in effetti nati a seguito di fecondazione eterologa (con ovodonazione) e gravidanza con maternità surrogata in Ucraina. A sostegno del provvedimento liberatorio, il giudice ha evidenziato, per un verso, che la legislazione ucraina ammette la c.d. surrogazione di maternità eterologa, sicché al termine della procedura prevista dalla legge, il nato viene considerato figlio della coppia contraente anche se uno solo dei due componenti ne sia il genitore naturale, con la conseguenza che i certificati di nascita dei due gemelli non possono considerarsi ideologicamente falsi. Per altro verso, che risulta carente o quantomeno insufficiente e/o contraddittoria la prova dell'elemento psicologico del delitto, avendo gli imputati agito nella consapevolezza che la c.d. surrogazione di maternità eterologa – sebbene non consentita in Italia – in Ucraina fosse pienamente lecita e che le certificazioni loro rilasciate fossero, pertanto, del tutto regolari, rimanendo estranea all'ambito penalistico la questione controversa, di diritto internazionale privato, concernente la trascrivibili' o meno dei certificati di nascita stranieri concernenti la filiazione da c.d. surrogazione di maternità eterologa. Infine, il Gup ha rilevato come le dichiarazioni rese dalla (omissis) all'Ambasciata in Ucraina in ordine alla propria gravidanza fossero verosimilmente finalizzate non a nascondere una pratica illegittima di maternità surrogata ma a non rendere note, per comprensibili motivi di tutela dei gemelli, le particolari circostanze del loro concepimento. La Corte d'appello confermava la sentenza assolutoria di primo grado, evidenziando come sussista un idoneo principio di prova che l'atto di nascita relativo ai gemelli (OMISSIS) possa essere stato formato nel rispetto della legge del luogo ove i bambini sono nati, all'esito di una c.d. maternità surrogata eterologa consentita dalla lex loci. Il procuratore generale presso la Corte d'appello di Trieste ricorre avverso la decisione deducendo i seguenti motivi:
La Corte di cassazione rigettava il ricorso del pubblico ministero. La questione
La Corte di cassazione con la sentenza in commento si è posta la questione della configurabilità del reato di alterazione di stato in caso di registrazione di certificato di nascita di figlio concepito all'estero da maternità surrogata eterologa, ritenuta lecita secondo la lex loci. La vicenda trae origine da un caso sottoposto all'attenzione del Gup del tribunale di Trieste, decisione poi confermata dalla Corte d'appello. Agli imputati era stato contestato di aver commesso, in concorso fra loro, il reato di cui all'art. 567, comma 2, del codice penale. In particolare, i due avrebbero alterato lo stato civile dei neonati, producendo false certificazioni che indicavano l'imputata quale madre dei bambini nati in Ucraina, in seguito a pratiche di fecondazione eterologa e gravidanza con maternità surrogata. I giudici di merito hanno assolto gli imputati dal reato loro ascritto, perché il fatto non costituisce reato, in base alla mancata prova certa del dolo generico, ossia della coscienza e volontà di rendere una dichiarazione non rispondente alla realtà, con riferimento specifico allo stato civile dei neonati. La coppia, benché fosse a conoscenza del divieto di surrogazione di maternità previsto in Italia, si è recata in Ucraina ove tale pratica è pienamente lecita ed ha agito nella consapevolezza che i certificati di nascita rilasciati dalle autorità competenti fossero del tutto regolari. Secondo la legge del luogo, infatti, la maternità surrogata è consentita laddove il 50% del patrimonio genetico del nato provenga da uno dei genitori committenti, di conseguenza il certificato rilasciato alle suddette condizioni si deve ritenere perfettamente lecito. La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, ha stabilito che il reato deve ritenersi escluso nell'ipotesi di dichiarazioni di nascita effettuate ai sensi del d.P.R. 396 del 2000, art. 15, in ordine a cittadini italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare sulla base di certificato redatto dalle autorità ucraine che indichi i dichiaranti come genitori, in conformità alle norme stabilite dalla legge del luogo. Per giungere a tale conclusione, i giudici di legittimità partono dalla lettera dell'articolo 567, comma 2, c.p. che punisce chiunque, nella formazione di un atto di nascita, alteri lo stato civile di un neonato con false dichiarazioni, false attestazioni o false certificazioni. Il bene giuridico tutelato dalla norma viene individuato nell'interesse del minore alla verità dell'attestazione ufficiale della propria discendenza. A questo proposito, la Cassazione sottolinea come i costumi sociali siano cambiati nel tempo, per cui oggi al tradizionale concetto di genitorialità biologica, basato sul legame genetico fra i componenti della famiglia, si è affiancato un più elastico concetto di genitorialità legale, conferendo maggiore valenza all'aspetto giuridico-sociale che lega i membri familiari. Inoltre, nella sentenza n. 162 del 2014, la Corte costituzionale ha affermato che il dato della provenienza genetica non costituisce più un requisito indispensabile della famiglia. Con la stessa pronuncia, la Consulta ha fatto sì che trovasse riconoscimento nell'ordinamento italiano la fecondazione eterologa, prima vietata dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40. Per concludere, la Corte di Cassazione ha escluso che possa configurarsi la fattispecie delittuosa di alterazione di stato, ex art. 567, comma 2, del codice penale. Oltre alla corretta applicazione delle norme contenute nel d.P.R. 396 del 2000, il Collegio ha messo in evidenza come il concetto di discendenza oggi prescinda da un legame meramente biologico, ma venga dato rilievo anche al rapporto giuridico-sociale che si crea fra i diversi componenti della famiglia, che deve essere riconosciuto e tutelato dall'ordinamento. La giurisprudenza sovranazionale richiamata nella sentenza della Cassazione, infatti, non si limita a riconoscere agli Stati ampia discrezionalità in materia ma richiede agli stessi di superare tale i limiti che essi stessi si impongono, riconoscendo a determinate condizioni tali rapporti di filiazione nell'ottica del perseguimento del migliore interesse del minore così generato. Le soluzioni giuridiche
La suprema Corte con la sentenza in commento ha stabilito come: i certificati di nascita dei gemelli (omissis) stilati in Ucraina – che gli imputati hanno consegnato all'autorità consolare per la successiva trascrizione nei registri di stato civile ai sensi del combinato disposto del citato decreto n. 396 del 2000, articoli 15 e 17 – non integrano una “falsa” certificazione o attestazione, là dove risultano, di contro, legittimi secondo la lex loci. Essi non costituiscono il frutto un'attività decettiva ne' possono ritenersi comunque ideologicamente falsi, in quanto – per quanto dato conto dai Giudici della cognizione – risultano essere stati validamente formati nel rispetto della legge del Paese di nascita dei bambini. Osservazioni
Deve oggi considerarsi figlio non solo il minore generato con i gameti provenienti da almeno uno dei componente della coppia ma anche quello generato con entrambi i gameti donati da terze persone, a condizione che in entrambi i casi l'embrione così fecondato venga impiantato nell'utero della donna che porterà a termine la gravidanza, poiché soltanto colei che partorirà il bambino può assumere la qualifica di madre secondo la legge italiana. Occorre però precisare che, ai sensi dell'art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004, nell'ordinamento italiano è ancora vietata la surrogazione di maternità (o utero in affitto). Tale divieto, tuttavia, non è previsto in tutti gli Stati e ciò può portare a diversi problemi di non semplice soluzione. A questo proposito, la Corte di cassazione richiama la disciplina di diritto internazionale privato e la legge 31 maggio 1995 n. 218 che all'articolo 65 regola l'efficacia e la trascrivibilità degli atti stranieri in materia di filiazione, subordinandone l'iscrizione al rispetto dei fondamentali diritti di difesa e alla non contrarietà all'ordine pubblico. Già nel 2014, con sentenza n. 24001 dell'11 novembre, la prima Sezione della Cassazione aveva dichiarato la surrogazione di maternità contraria all'ordine pubblico, perché lesiva del valore costituzionale della dignità umana della gestante, e all'istituto dell'adozione, posto a tutela dell'interesse di coloro che intendano realizzare progetti familiari, indipendentemente da legami biologici. Sempre nel 2014, è intervenuta la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha affermato che benché debba riconoscersi agli Stati un ampio margine di discrezionalità in materia, il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione nel quale uno dei genitori committenti sia anche genitore biologico, costituisce violazione dell'articolo 8 della Convenzione Edu, nuocendo sotto diversi aspetti la vita familiare e provocando una lesione all'identità personale e alla privacy del minore coinvolto Per la Corte Edu, lo Stato non può negare il riconoscimento del rapporto di filiazione tra i genitori che hanno fatto ricorso all'estero alla surrogazione di maternità e i bambini nati all'esito di tale tecnica per il concepimento, perché altrimenti lo Stato violerebbe un diritto convenzionalmente tutelato (il diritto dei minori al rispetto della loro vita privata). Pertanto, il soggetto che ricorre a metodi di fecondazione diversi da quelli consentiti e disciplinati dalla legge nazionale non può vedersi disconoscere sic et simpliciter il proprio rapporto genitoriale, perché ciò costituirebbe una lesione intollerabile all'identità del figlio, ma al contempo non può formalmente dichiarare le circostanze in cui è nato il discendente, perché non è stata introdotta alcuna legislazione in ambito interno destinata a disciplinare simili attestazioni. A tal riguardo appaiono interessanti le pronunce emesse dal tribunale di Brescia e dal tribunale di Milano nel 2013 le quali giungono a soluzioni opposte pur partendo dalla medesima fattispecie. I giudici milanesi, infatti, hanno escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 567, comma 2, c.p. perché l'atto di nascita è stato formato nel rispetto della legge del luogo ove il bambino è nato e all'esito di una procreazione medicalmente assistita conforme alla lex loci. I giudici del tribunale di Brescia, invece, hanno ritenuto integrata la fattispecie di cui all'art. 567, comma 2, c.p. in un caso in cui l'atto di nascita non è stato formato validamente all'estero poiché la legge del Paese ove il bambino è nato non consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita in concreto praticate. È evidente dunque che sulla materia risulterà importante comprendete l'impatto che la giurisprudenza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo avrà sulle decisioni dei giudici interni ma anche sul sistema penale in generale. |