Atti sessuali con minorenne. Non può essere riconosciuta l’attenuante della minore gravità, ove segua la gravidanza

Valentina Ventura
08 Febbraio 2016

Non può essere riconosciuta l'attenuante della minore gravità ove agli atti sessuali compiuti con una minore consegua il suo stato di gravidanza, atteso l'innegabile danno al normale sviluppo psico-fisico che tale condotta provoca nella vittima.
Massima

Non può essere riconosciuta l'attenuante della minore gravità prevista dal quarto comma dell'art. 609-quater c.p. ove agli atti sessuali compiuti con una minore consegua il suo stato di gravidanza, atteso l'innegabile danno al normale sviluppo psico-fisico che tale condotta provoca nella vittima.

Il caso

Tizio è stato condannato dal Gup presso il tribunale di Latina per il reato di cui all'art. 609-quater c.p., per aver compiuto atti sessuali con una minorenne dai quali scaturiva uno stato di gravidanza della vittima. La pronuncia è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello territoriale, che ha rideterminato la pena inflitta al ricorrente in anni tre di reclusione, confermando nel resto la decisione di prime cure.

Per il tramite del proprio difensore, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo tre motivi di impugnazione, lamentando, principalmente, il mancato riconoscimento dell'attenuante della c.d. minore gravità di cui al quarto comma dell'art. 609-quater c.p. ed il difetto di motivazione della corte territoriale che, a suo dire, si sarebbe limitata a richiamare a sostegno della propria decisione unicamente l'età della vittima e lo stato di gravidanza derivato dalla consumazione dei rapporti sessuali con la minore.

La questione

La questione in esame è la seguente: se sia configurabile la circostanza attenuante di cui al quarto comma dell'art. 609-quater c.p. nel caso in cui l'imputato, nel trattenere rapporti sessuali con una minorenne, ne abbia determinato lo stato di gravidanza.

Le soluzioni giuridiche

Come noto, al quarto comma dell'art. 609-quater c.p. il legislatore ha previsto che nei casi di minore gravità la pena prevista per la fattispecie base è diminuita in misura non eccedente i due terzi, analogamente a quanto disposto dall'art. 609-bis, comma 3, c.p. in tema di violenza sessuale commessa ai danni di soggetto maggiorenne.

Si tratta di una circostanza attenuante speciale e ad effetto speciale, il cui riconoscimento in concreto si risolve in una diversa qualificazione giuridica del fatto e che consente al giudicante di determinare la sanzione da applicare parametrandola all'effettivo disvalore della fattispecie sottoposta al suo esame. Si tratta di una previsione non di poco momento, tenuto conto sia degli elevati minimi edittali di cui all'art. 609-quater c.p. (che impongono pene di particolare gravità), che dell'ampio novero di condotte riconducibili agli atti sessuali, idonee a ledere la sfera di intimità della vittima a vari livelli.

Stante, l'indeterminatezza della formulazione della previsione attenuante, sin dalla novella dei reati sessuali intervenuta ad opera della l. 15 febbraio 1996, n. 66, dottrina e giurisprudenza si sono premurate di individuare i criteri e delineare in quali condizioni gli atti sessuali commessi con soggetto minorenne siano da giudicare di minore gravità.

Secondo dottrina minoritaria e più risalente, sarebbe di minore gravità qualsivoglia atto sessuale diverso dalla congiunzione carnale.

Altro e più consolidato orientamento dottrinario (che trova conferme nella prevalente giurisprudenza), invece, ritiene che per individuare i casi di minore gravità non si deve far riferimento a tipologie astratte di atti sessuali ma alla valutazione in concreto del fatto di reato nel suo complesso (cfr. Cass. pen., Sez. III, 30 marzo 2000 - 4 maggio 2000, n. 1405), con la conseguenza che la circostanza attenuante in parola è applicabile solo laddove l'offesa alla libertà sessuale della vittima, ancorché minorenne, risulti effettivamente non grave.

Nell'esaminare la specifica doglianza sottoposta al suo esame, la suprema Corte ha in primo luogo evidenziato come l'attenuante in parola non possa essere esclusa alla luce degli stessi elementi costitutivi del reato, quali sono l'età della vittima ed il compimento di atti sessuali, dovendo invece il giudicante considerare tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto che siano in grado di incidere con minore lesività il bene giuridico tutelato (la libertà sessuale della vittima).

Sul punto la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'evidenziare che il giudice è tenuto alla valutazione in concreto dell'offensività del fatto nella sua materiale concretezza, in correlazione ai diversi livelli di sviluppo e di progressiva maturazione del minore, anche fino ad addivenire ad esiti differenziati nel giudizio di bilanciamento, a seconda del caso sottoposto al suo esame (tra le tante, cfr. Cass. pen., Sez. IV, 12 dicembre 2014-23 gennaio 2015, n. 3284).

Fatta questa doverosa e preliminare premessa, la Corte non manca di osservare come a sostegno della configurabilità dell'attenuante di cui trattasi non può in alcun modo richiamarsi il fatto che i rapporti sessuali siano avvenuti con il consenso della minore, all'epoca dodicenne, essendo privo di rilievo alcuno il consenso di detto soggetto, non legittimato ad esprimere un valido con senso, in ragione della sua immaturità sessuale.

Sebbene non del tutto trascurabile allorquando sia diretto al compimento di atti dotati di minima intrusività, ad avviso del supremo Collegio il consenso in parola assume una rilevanza assolutamente marginale ai fini della graduazione della intensità della lesione patita dalla vittima nonché nell'eventuale riconoscimento dell'attenuante di cui al quarto comma dell'art. 609-quater c.p. giacché il vizio da cui esso è affetto ne comporta la sostanziale svalutazione in assenza di altri significativi fattori denotanti la modestia dell'episodio criminoso (in tal senso la Corte richiama Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2014-11 febbraio 2015, n. 6168).

A nulla rilevando il consenso della vittima, ciò che ad avviso della suprema Corte occorre valutare è il fatto alla luce di tutte le componenti sia oggettive che soggettive, unitamente agli elementi espressamente indicati dall'art. 133 c.p. ed in particolare la gravità del danno cagionato alla persona offesa.

La Corte ritiene che l'aver provocato lo stato di gravidanza di una minore non ancora dodicenne determini inevitabilmente un danno oggettivo al normale sviluppo psico-fisico della medesima, danno tanto grave da impedire, in definitiva, la configurabilità dell'attenuante prevista per i casi di minore gravità.

Il supremo Collegio rileva infine come nel caso di specie impedisce la configurabilità dell'attenuante in esame anche la reiterazione dei rapporti sessuali con la minore, situazione che, ormai pacificamente, la giurisprudenza di legittimità ritiene del tutto incompatibile con l'ipotesi attenuata di cui al quarto comma dell'art. 609-quater c.p. (v. sul punto Cass. pen., Sez. III, 29 gennaio 2015-22 maggio 2015, n. 21458; Cass. pen., Sez. III, 13 maggio 2010-24 giugno 2010, n. 24250; Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2007-15 gennaio 2008, n. 2001).

Osservazioni

Secondo un primo orientamento dottrinario, con riguardo ai soggetti infraquattordicenni, ritenuti, come noto, privi di capacità sessuale, il disvalore derivante dal compimento di atti sessuali con costoro sarebbe dato dal compimento dell'atto sessuale in sé, ritenuto idoneo, a causa della precocità del minore, a turbare il suo equilibrato sviluppo affettivo e psicosessuale. Il bene giuridico protetto in tali ipotesi sarebbe l'intangibilità sessuale del minore tout court (MANTOVANI; PISA), diversamente da quanto previsto con riguardo agli ultraquattordicenni, in ordine ai quali il disvalore penale risiederebbe nelle modalità esecutive della condotta incriminata, vale a dire nel fatto che gli atti sessuali siano commessi con violenza, minaccia, abusivamente o in modo fraudolento.

Secondo altro orientamento (MUSACCHIO), invece, il legislatore avrebbe individuato un unico bene giuridico protetto per tutti i delitti sessuali (a prescindere, dunque, dall'età dei soggetti coinvolti), identificato nella libertà sessuale, intesa nella duplice accezione di diritto alla libera disposizione del proprio corpo in ambito sessuale, sia come diritto alla inviolabilità sessuale.

Secondo un ulteriore orientamento, infine, il bene giuridico protetto sarebbe ravvisabile nell'integrità psico-fisica del minore in ambito sessuale, integrità che deve essere mantenuta per consentire una corretta formazione della sua personalità sessuale (VENEZIANI). Poiché l'ordinamento non riconosce agli infraquattordicenni la capacità di esprimere un valido consenso al compimento di atti sessuali, la libertà sessuale intesa come diritto effettuare scelte in ambito sessuale non può in alcun modo essere ritenuta oggetto della fattispecie di cui trattasi.

Senza prendere posizione in merito a quale sia il bene giuridico protetto dalla fattispecie di cui all'art. 609-quater c.p., la sentenza in commento si colloca nel solco di altre pronunce della Corte di legittimità, evidenziando la necessità, per la determinazione della configurabilità dell'attenuante dei casi di minore gravità, di un'analisi del fatto nella sua globalità e, in particolare, di tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto che possano incidere in termini di minore lesività rispetto al bene giuridico tutelato.

Il caso concreto sottoposto all'esame della Corte aveva ad oggetto un'ipotesi che, a prescindere da quale concezione del bene giuridico tutelato si abbracci, a parere di chi scrive non può che considerarsi in concreto dotata di un'oggettiva ed incontrovertibile gravità.

A seguito di reiterati rapporti sessuali completi, infatti, una ragazza di meno di quattordici anni si è trovata a fare i conti con una gravidanza (verosimilmente) inattesa e (senza dubbio) precoce.

Non può certamente negarsi che il compimento di rapporti sessuali completi con eiaculazione del partner maschile costituisca atto sessuale idoneo a violare in modo non lieve la sfera sessuale del minore infraquattordicenne, ancora immaturo sul piano sessuale e sul piano dell'elaborazione delle esperienze del proprio vissuto, tanto da essere considerato, lo si ripete, non in grado di prestare idoneo consenso al compimento di atti sessuali.

La compromissione vuoi dell'intangibilità sessuale, vuoi dell'integrità psico-fisica del minore appare massima ove la minore si trovi a dover gestire la gravidanza che consegua al compimento dei rapporti sessuali completi continuativamente intrattenuti.

Se la minore infraquattordicenne è ritenuta incapace di gestire la propria sfera sessuale, infatti, dovrà ritenersi ancor più immatura per gestire una gravidanza.

Ove la minore intenda portare a termine la gravidanza, le conseguenze degli atti sessuali commessi si riverbereranno negli anni a venire e la condizioneranno per tutta la vita; ove invece la minore intenda non potare a termine detta gravidanza, la decisione dovrà essere espressa dai genitori di costei in sua vece e, ove la gravidanza non fosse portata a termine, non sarebbero di poco momento le conseguenze di un aborto in così tenera età sul piano fisico e psichico.

Nel caso di specie, dunque, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., il danno derivato alla minore non può considerarsi di minore gravità e congrua appare la decisione della Corte territoriale, confermata dalla suprema Corte.

Guida all'approfondimento

BALZANI, La tutela sessuale del minorenne, in TOVANI-TRINCI, I delitti contro la libertà sessuale, Torino, 2014;

MANTOVANI, I delitti contro la libertà e intangibilità sessuale, Padova, 1998.

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