Lesioni colpose a seguito di reazione allergica: responsabilità della titolare di un centro estetico

Vittorio Nizza
08 Gennaio 2016

Colui che ha la qualifica professionale di estetista – che quindi gestisce apparecchi elettromeccanici per uso estetico ed utilizza prodotti cosmetici – è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., a tutela della incolumità di coloro che si sottopongono al trattamento estetico.
Massima

Colui che ha la qualifica professionale di estetista – che quindi gestisce apparecchi elettromeccanici per uso estetico ed utilizza prodotti cosmetici – è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., a tutela della incolumità di coloro che si sottopongono al trattamento estetico, sia in forza del principio del neminem laedere, sia nella sua qualità di custode delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell'art. 2051 c.c. dei danni provocati dalla cosa, fuori dall'ipotesi del caso fortuito), sia, infine, quando l'uso delle attrezzature e dei cosmetici dia luogo ad una attività da qualificarsi pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c.

Ne discende che l'omessa adozione di accorgimenti e cautele idonei al suddetto scopo, in presenza dei quali un evento lesivo non si sarebbe verificato od avrebbe cagionato un pregiudizio meno grave per l'incolumità fisica dell'utente, costituisce violazione di un obbligo di protezione gravante su tale soggetto. Posto che l'attività estetica può rivelarsi attività pericolosa, in ragione dei rischi per l'integrità fisica in cui può incorrere chi vi si sottopone, deve in altre parole affermarsi che la posizione di garanzia di cui il titolare o responsabile dell'attività è investito implichi la sicura imposizione di porre in atto quanto è possibile per impedire il verificarsi di eventi lesivi.

Il caso

Nel sentenza in commento la Corte di cassazione viene chiamata a pronunciarsi

in merito ad un caso di lesioni colpose – una dermatite allergica da contatto giudicata guaribile in sedici giorni – determinate da una reazione allergica alla crema abbronzante utilizzata nel centro estetico per il trattamento abbronzante a cui si era sottoposta la cliente.

All'imputata, quale titolare del centro estetico, si imputava il reato di cui all'art. 590 c.p. per aver omesso di adottare le necessarie cautele volte ad accertare la non pericolosità dei prodotti utilizzati ed il regolare funzionamento degli impianti abbronzanti.

Il giudice di pace chiamato a pronunciarsi sulla questione aveva ritenuto l'imputata colpevole del reato ascrittole addebitandole un comportamento imprudente e non rispettoso delle necessarie cautele. Secondo il giudice, infatti, i cartelli informativi apposti nel centro non sarebbero stati sufficienti in quanto generici; l'estetista avrebbe dovuto richiedere alla cliente una certificazione medica di idoneità al trattamento, una dichiarazione scritta di assenza di impedimenti o almeno una liberatoria dopo l'informativa circa i rischi dall'uso di creme e lampade solari.

L'imputata aveva fatto ricorso per Cassazione lamentando la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ritendo che la regola di esperienza posta a fondamento della decisione da parte del giudice di pace fosse di fatto inapplicabile e contrastante con il “senso di realtà”. Inoltre, il giudice aveva, a parere della ricorrente, omesso di valutare una prova decisiva emersa a dibattimento, ossia che la cliente aveva ammesso di essere a conoscenza dei rischi del trattamento.

Come secondo motivo del ricorso si lamentava la mancanza di motivazione, per omessa indicazione nella sentenza delle norme o delle regole che il giudice assumeva violate nonché carenza di motivazione sull'esistenza del nesso di causa.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza impugnata per vizio di motivazione in merito alla condotta colposa ragionevolmente ascrivibile all'imputata. Rilevava la Corte come la motivazione della sentenza risultasse carente o contraddittoria sotto tre profili: l'accertamento che l'imputata avesse omesso di verificare la non pericolosità dei prodotti utilizzati o verificare il regolare funzionamento della lampada solare, come contestato; le condotte doverose che l'imputata avrebbe dovuto tenere, posto che quelle indicate non erano configurabili come tali in base alla normativa vigente; la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento.

La questione

L'analisi della suprema Corte si incentra principalmente sulla valutazione della sussistenza in capo all'imputata, in quanto titolare di un centro estetico, di una posizione di garanzia nei confronti delle clienti per eventuali lesioni cagionate dai trattamenti e della sussistenza del nasso di causa tra l'evento lesivo e la condotta posta in essere dall'estetista, nonché sulla prevedibilità ed evitabilità dell'evento.

Le soluzioni giuridiche

Sotto il primo profilo, la Corte riconosce pacificamente, confermando quanto già affermato dal giudice di prime cure, una posizione di garanzia in capo a che esercita la professione di estetista.

La Corte ripercorre la normativa di settore, sia nazionale che regionale e comunale, evidenziando come la qualifica professionale di estetista sia oggi subordinata allo svolgimento di appositi corsi ed al superamento di esami. Tale professione può essere svolta con l'attuazione di tecniche manuali, con l'utilizzo di apparecchi (tra cui le lampade abbronzanti) e con l'applicazione di prodotti cosmetici. Le norme, quindi, prevedono una serie di cautele che l'operatore deve porre in essere nell'utilizzo degli apparecchi elettromeccanici, nonché una serie di informative che devono essere date al cliente prima che si sottoponga al trattamento estetico.

Evidenzia, però, la Corte che il regolamento attuativo (d.m. 110/2011) della legge quadro di riferimento, richiamata dal giudice di pace, è entrato in vigore dopo i fatti di causa.

In ogni caso la Corte ritiene che sia configurabile una posizione di garanzia ex art. 40, comma 2, c.p. in capo all'imputata sia in forza del principio del neminem laedere, sia in qualità di custode delle attrezzature (da cui potrebbe derivare una responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni provocati dalle cose in custodia) sia per l'esercizio di una attività pericolosa, ex art. 2050 c.c., quale potrebbe qualificarsi l'attività in oggetto nell'uso delle attrezzature e dei cosmetici, in relazione ai rischi per l'integrità fisica in cui può incorrere chi si sottopone a tali trattamenti. L'esercente la professione di estetista, pertanto, è tenuto ad adottare tutti gli accorgimenti necessari per impedire il verificarsi di eventi lesivi.

Successivamente la Corte afferma come per poter individuare la responsabilità di un reato colposa occorra che il giudice accerti la sussistenza del nesso di causa e della cosiddetta causalità nella colpa.

In particolare nel caso di specie non vi erano rilevanti problemi in riferimento al nesso di causa, era stata infatti individuata una legge scientifica di copertura che spiega il fenomeno causale dell'insorgenza della dermatite come reazione allergica ad alcuni componenti della crema solare fornita dall'estetista.

Appurata la sussistenza di un nesso di causa, occorre, però, sottolinea la Corte, che il giudice verifichi la causalità della colpa, accertando la violazione della regola cautelare, la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento e la concretizzazione del rischio.

La Corte rileva, infine, come la sentenza di primo grado non sia sufficientemente motivata sul punto, determinandosi così ad annullare la sentenza con rinvio. Gli aspetti che vengono evidenziati nella sentenza in commento riguardano, infatti, l'omessa verifica da parte del giudice di pace della non pericolosità dei prodotti utilizzati o del funzionamento della lampada solare; l'indicazione come doverose di alcune condotte di informazione nei confronti della cliente introdotte da una normativa successiva. Infine, si rileva come sia emerso nel corso dell'istruttoria che la persona offesa, per sua stessa pacifica ammissione, fosse a conoscenza della sua forma allergica alle creme solari, ciò nonostante il giudice di primo grado avrebbe svolto delle argomentazioni illogiche in merito alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento.

Osservazioni

Nella sentenza in commento, si analizza in primo luogo la problematica della sussistenza di una posizione di garanzia in capo all'esercente la professione di estetista. Posizione pacificamente riconosciuta dalla Corte, non tanto per la sussistenza di una serie di norme che impone vincoli cautelari e di informativa verso il cliente in capo all'estetista rispetto ai trattamenti manuali, all'utilizzo dei cosmetici e soprattutto o all'uso deli macchinari ma individuando la stessa professione come attività pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.p.

Inoltre, proprio l'utilizzo di macchinari estetici di vario genere, di cui ha un dovere di controllo e manutenzione, farebbe eventualmente sorgere anche una responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia.

In tal senso la sentenza si colloca in quell'orientamento giurisprudenziale che si sta consolidando e che riconosce la responsabilità per lesioni colpose non solo al personale sanitario ma anche a tutte quelle figure professionali che effettuano trattamenti estetici in appositi centri.

Con riferimento, invece, alla valutazione della sussistenza del nesso di causa e della causalità colposa, la sentenza ripercorre quello che è ormai l'orientamento consolidatosi a partire dalla sentenza Franzese (Cass. pen., Sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328). Il giudice pertanto è chiamato ad operare un duplice controllo: in primo luogo individuare, ove sussista, una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto che permetta di spiegare l'origine del verificarsi dell'evento (sussunzione sotto leggi scientifiche). Solo in caso di assenza di una legge scientifica, il giudice può fare ricorso a generalizzate regole di esperienza che forniscano informazioni su ciò che normalmente accade secondo un diffuso consenso della cultura media.

In secondo luogo, il giudice è tenuto a verificare, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, l'attendibilità in concreto della spiegazione causale così ipotizzata (giudizio controfattuale). Tale secondo controllo avviene ipotizzando come avvenuta l'azione doverosa omessa o, al contrario, come non compiuta la condotta commissiva assunta a causa dell'evento e verificando se l'evento si sarebbe o meno verificato con un elevato grado di probabilità logica. Giudizio che presuppone l'esclusione dell'interferenza di decorsi causali alternativi.

Il giudice, quindi, deve spiegare sulla base delle peculiarità del caso concreto cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall'ordinamento; ragionamento logico che presuppone l'accertamento della regola cautelare violata e che tale regola sia stata imposta per evitare proprio l'evento in concreto verificatori.

La sentenza in commento individua proprio delle carenze e illogicità in riferimento a tale ragionamento nella motivazione del giudice di primo grado, annullando così la sentenza con rinvio.

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