La tutela dei terzi "coinvolti" dalla confisca di prevenzione e gli stretti confini di cognizione del giudice delegato
07 Aprile 2017
Massima
La procedura delineata dagli art. 57 e ss. d.lgs. n. 159/2011 è autonoma rispetto al procedimento di prevenzione ed è governata da principi mutuati dal diritto civile e fallimentare, sicché al giudice delegato è preclusa una valutazione del quadro delineato dal tribunale misure di prevenzione non rientrando nel suo ambito di cognizione la rivalutazione del giudizio di pericolosità del proposto e di strumentalità dei beni sottoposti alla misura. Il caso
Con la decisione in commento la Corte di cassazione torna ad affrontare il tema della tutela offerta ai terzi ‘coinvolti' dalla confisca di prevenzione decidendo in ordine ai ricorsi presentati ai sensi dell'art. 59 d.lgs. 159/2011 da due istituti di credito avverso il decreto con cui il tribunale di Trapani aveva rigettato le loro istanze di ammissione al pagamento del credito. In particolare, gli istituti ricorrenti, quali terzi creditori di una società riconducibile al proposto il cui patrimonio era stato sottoposto a confisca, intendevano rivalersi sui beni della stessa in forza di un finanziamento garantito da ipoteca su un lotto di terreno, poi sottoposto a sequestro. Il tribunale di Trapani, invece, pur riconoscendo la sussistenza dei crediti, rigettava le opposizioni allo stato passivo rilevando la sussistenza del nesso di strumentalità rispetto all'attività delittuosa ascrivibile al proposto, nonché il difetto del requisito della buona fede. La questione
Il ricorso proposto alla Corte si basava su motivi inerenti, principalmente, la logicità della struttura motivazionale del decreto impugnato. In particolare, i ricorrenti lamentavano: a) l'insussistenza del nesso di strumentalità del finanziamento rispetto all'attività illecita del proposto, atteso che l'erogazione delle somme versate alla società era stata subordinata alla verifica dello stato di avanzamento lavori delle opere finanziate e all'ottenimento delle debite concessioni ed autorizzazioni amministrative; b) l'impossibilità di escludere la buona fede della banca creditrice atteso che, al momento della concessione del mutuo, il proposto, fideiussore della società, risultava aver subito un'unica condanna con il beneficio della sospensione condizionale della pena, sicché nulla era dato sapere di suoi eventuali precedenti penali significativi; c) la necessità di valutare la sussistenza del requisito della buona fede con esatto riferimento al momento in cui il contratto di finanziamento era stato stipulato; d) la mancata valorizzazione dell'assoluto rispetto della normativa bancaria e di quella antiriciclaggio e la regolarità nella gestione del rapporto quali sicuri indici di buona fede. Le soluzioni giuridiche
La suprema Corte rigetta i ricorsi, escludendo che nella formazione dello stato passivo ex d.lgs. 159/2011 possa essere operata una valutazione autonoma del giudizio di strumentalità dei beni sottoposti alla misura di prevenzione, restando ferma quella effettuata dal tribunale nel momento in cui l'ha disposta. Come noto, la materia dei rapporti dei terzi con il procedimento di prevenzione è disciplinata dal Titolo IV dell'articolato normativo di cui al d.lgs. 159/2011. In particolare, il primo capo reca le disposizioni generali riguardanti le condizioni affinché i diritti dei terzi vengano tutelati, stabilisce il limite della garanzia patrimoniale idonea a soddisfare i creditori, regola i rapporti con le azioni esecutive sui beni oggetto di vincolo di prevenzione e disciplina il pagamento dei crediti prededucibili. Nel richiamato contesto normativo, l'art. 52 d.lgs. 159/2011 enuclea le condizioni la cui sussistenza garantisce la tutela dei diritti di credito dei terzi in presenza di confisca definitiva. La finalità della norma è chiaramente quella di garantire effettività alla misura ablativa, attraverso l'accertamento dell'estraneità del terzo all'attività delittuosa del proprio debitore. Come affermato nella relazione illustrativa al d.lgs. 159/2011, la tutela dei terzi viene dunque assicurata purché sia scongiurato il rischio che il proposto possa avvalersi di prestanomi che vantino fittiziamente diritti sui beni sottoposti alla misura reale, al fine di riottenerne il controllo (cfr. Relazione illustrativa di commento al Codice delle leggi antimafia. La ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, reperibile sul sito www.interno.it). Tale finalità – ispirata ad un contemperamento di contrapposte esigenze, pubblicistica l'una, privatistica l'altra – viene assicurata dalla verifica di tre distinte condizioni:
Si comprende come la norma sia intesa ad escludere ogni pregiudizio dei diritti di credito dei terzi preesistenti al sequestro di prevenzione a meno che non risulti accertata la strumentalità del credito rispetto all'attività illecita. In caso contrario, accertata la strumentalità, ricade invece sul creditore l'onere di dimostrare di aver ignorato, in buona fede, la sussistenza di tale nesso di strumentalità. Prima di procedere oltre, occorre soffermarsi sulla particolare procedura approntata dal Legislatore per l'accertamento delle ragioni dei terzi che è disciplinata dal capo secondo dello stesso Titolo IV del d.lgs. 159/2011 agli art. 57 e ss. Si tratta di un modello che ricalca quello già previsto dalla legge fallimentare per la verifica dei creditori e di coloro che vantano diritti reali o personali di godimento sui beni oggetto della procedura: l'amministratore giudiziario immesso nel possesso dei beni ex art. 21 d.lgs. 159/2011, sotto la direzione del giudice delegato, forma gli elenchi delle due categorie di soggetti appena richiamati, fissando un termine per la presentazione delle istanze di ammissione e per l'esame delle relative domande; il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con provvedimento che può essere opposto avanti al Tribunale che decide con decreto a sua volta ricorribile per Cassazione per l'intero spettro dei motivi deducibili ex art. 606 c.p.p., compreso il vizio di motivazione. Secondo la pronuncia in commento, le peculiarità di tale modello caratterizzano la procedura come incidentale rispetto al procedimento di prevenzione rispetto al quale è del tutto autonomo. Ne consegue, a detta della suprema Corte, che la procedura delineata dagli artt. 57 e ss. è governata, ove non sia diversamente disposto, da principi mutuati dal diritto civile fallimentare, con ovvie ricadute sull'ambito di cognizione del giudice delegato cui sarà sottratta ogni valutazione di merito del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione reale che incide sugli interessi dei creditori. Conseguenza di tale assunto è che non potranno trovare apprezzamento da parte del giudice delegato tutti gli argomenti che tendano ad una rivalutazione del quadro delineato dal tribunale penale - misure di prevenzione nel momento in cui, disponendo la misura, ha espresso il giudizio di pericolosità del proposto e di strumentalità delle attività economiche sottoposte, appunto, alla misura reale. Come a dire, in altre parole, che il giudizio espresso dal tribunale di prevenzione in ordine alla strumentalità della società rispetto alle attività illecite del proposto si estende alla strumentalità delle erogazioni di credito effettuate in favore di questa stessa società, senza che tale giudizio possa essere successivamente intaccato da parte del terzo creditore in sede di opposizione, essendo impossibilitato a dimostrare, in tale sede, che le erogazioni fossero state funzionali ad avviare operazioni formalmente lecite. Non per un caso, infatti, la Corte di cassazione torna a ribadire nei passaggi della sentenza che la procedura incidentale diretta alla verifica ed all'ammissione dei crediti non implica la riconsiderazione degli elementi di prova raccolti nell'ambito del procedimento di prevenzione e, riportandosi alle motivazioni del tribunale circa la natura illecita dell'attività portata avanti dal [proposto] per il tramite della [società], afferma che perdono quindi rilievo le argomentazioni svolte nei ricorsi con riferimento al fatto che i finanziamenti concessi dagli Istituti di credito alla [società] fossero destinati ad avviare operazioni apparentemente legali. L'argomento non pare di poco conto, producendo quale effetto diretto che – data l'impossibilità di intaccare il giudizio di strumentalità – l'intera attività "difensiva" del terzo creditore non potrà che concentrarsi unicamente sull'aver ignorato, in buona fede, quello stesso carattere di strumentalità riconosciuto nel procedimento principale di prevenzione. In proposito, la Corte richiama alcune note pronunce che più di recente hanno riaffermato il parziale protocollo logico che il legislatore impone al giudice nel ragionamento probatorio in tema di buona fede ex art. 52, comma 3, d.lgs. 159/2011:
Si tratta, a ben vedere, di quegli stessi parametri su cui, nel vigore della previgente normativa di cui alla l. 575/1965, si era consolidata la giurisprudenza penale nell'affermare che sussiste a carico del terzo l'onere di dimostrare di avere positivamente adempiuto con diligenza agli obblighi di informazione e di accertamento e, quindi, di avere maturato un affidamento incolpevole, sulla base di una situazione di oggettiva apparenza, relativamente alla effettiva posizione del soggetto nei cui confronti si acquisisce il diritto di garanzia. Con specifico riferimento all'onere probatorio gravante sugli istituti di credito, la sentenza in commento si pone nel solco della giurisprudenza che ha più volte evidenziato che trattandosi di operatori del settore, perciò professionalmente preparati e bene a conoscenza delle norme e usi bancari, oltre che delle normative in materia di reimpiego o riciclaggio di attività illecite, deve essere loro richiesta una particolare diligenza nella concessione del credito, tenuto conto anche della necessità di verificare l'affidabilità di coloro che richiedono il finanziamento attraverso la richiesta (e l'esame) di tutta la documentazione necessaria e opportuna per garantire opportunamente la banca. Osservazioni
Tanto considerato, la Corte di cassazione ritiene che la motivazione del decreto del tribunale non sia illogica né altrimenti censurabile in sede di legittimità, tenuto conto anche delle peculiarità della procedura in esame e, ripercorrendo il costrutto logico del decreto impugnato, la Corte offre alcuni spunti – probabilmente utili ad orientare il comportamento degli operatori bancari – secondo cui: a) in una piccola realtà, come quella trapanese, non potessero passare inosservate le vicende che avevano coinvolto il proposto; b) la circostanza che lo stesso avesse mantenuto la veste di fideiussore per la società in ordine a tutti i rapporti con gli istituti di credito rappresentasse un chiaro indice della consapevolezza degli operatori bancari del fatto che costui mantenesse un ruolo preminente nella società, pur essendone formalmente estraneo; c) la invocata correttezza formale della gestione dei rapporti fra la società e gli Istituti di credito ricorrenti non è sufficiente a dimostrare la buona fede ove siano presenti criticità e peculiarità nella situazione del contraente. |