Reati edilizi e particolare tenuità del fatto

02 Marzo 2016

In caso di reato permanente – categoria cui sono riconducibili i reati edilizi e paesaggistici – ovvero di concorso formale di reati è applicabile la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto che prevede tra gli indici criterio la non abitualità della condotta?
Massima

Il reato permanente ed il concorso formale di reati non sono riconducibili nell'alveo del comportamento abituale e non impediscono l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

Il caso

Il tribunale di Asti, all'esito del procedimento penale a carico di Tizio, chiamato a rispondere di reati edilizi e paesaggistici, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere i reati ascrittigli – artt. 44 d.P.R. 380 del 2001 e art. 181 d.lgs.42 del 2004 – non punibili per la particolare tenuità del fatto.

La decisione era impugnata dal P.M., che, oltre a lamentarsi per la pronuncia di sentenza predibattimentale malgrado la sua opposizione, si doleva della non corretta valutazione dei presupposti di applicabilità dell'art. 131-bis c.p., da ritenersi mancanti nel caso di specie in considerazione della natura e consistenza dell'opera realizzata e dell'abitualità del comportamento desunta dalla permanenza della condotta posta in essere.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di reato permanente – categoria cui sono riconducibili i reati edilizi e paesaggistici – ovvero di concorso formale di reati è applicabile la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto che prevede tra gli indici criterio la non abitualità della condotta?

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte – nel censurare la sentenza impugnata – si è soffermata sui presupposti di applicabilità dell'art. 131-bis c.p. oltre che sugli "indici-criteri" della particolare tenuità del fatto (cfr. la pronuncia n. 29897 del 28 maggio 2015).

In via preliminare, va anche sottolineato che la decisione in esame censura l'adozione di una sentenza ai sensi dell'art. 469 c.p.p. (rectius: dibattimentale, essendo stata pronunciata in pubblica udienza e dopo la formale costituzione delle parti), nonostante l'opposizione del pubblico ministero e senza, da un lato, aver dato avviso alla persona offesa della fissazione dell'udienza camerale (avviso che avrebbe dovuto contenere l'espresso riferimento alla specifica procedura di cui all'art. 469, comma 1-bis c.p.p.) ed aver, dall'altro, individuato e quindi citato, quale persona offesa, anche l'ente preposto alla tutela del vincolo (venendo in rilievo anche la violazione dell'art. 181 d.lgs. 42 del 2004). La decisione della Cassazione si fonda in particolare su una lettura strettamente letterale dell'art. 469 c.p.p., laddove si sostiene che la formulazione del nuovo comma 1-bis in nulla autorizza un trattamento differenziato – ovvero non consente di prescindere dal consenso delle parti – quando la sentenza di assoluzione predibattimentale sia pronunciata per la sussistenza dell'ipotesi di cui all'art. 131-bis c.p. rispetto all'ipotesi, per così dire, più generale di cui al primo comma dello stesso art. 469 c.p.p., anche in considerazione del fatto che non si riscontra alcuna ragione per differenziare la disciplina applicabile a seconda della motivazione su cui si fonda la decisione predibattimentale.

Venendo al merito, la Corte, nel ribadire la natura di reato permanente delle violazioni urbanistiche, ha affermato che il reato permanente è caratterizzato non tanto dalla reiterazione della condotta, quanto piuttosto da una condotta persistente e non è quindi riconducibile nell'alveo del comportamento abituale, rilevante quale "indice-criterio" dell'art. 131-bis c.p., potendo per converso essere oggetto di valutazione con riferimento all'altro "indice-criterio", ossia quello della particolare tenuità dell'offesa, tenuto conto che quanto più tardi cessa la permanenza, tanto più difficilmente può ritenersi sussistente la particolare tenuità dell'offesa. Detto altrimenti, gli "indici " in cui si articola la particolare tenuità dell'offesa e che sono costituiti dalla modalità della condotta e dall'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri dell'art. 133 c.p., possono condurre ad escludere la particolare tenuità dell'offesa qualora la durata della permanenza sia prolungata nel tempo.

La decisione in esame ha anche rilevato che nel caso di specie la contestazione rivolta all'imputato riguardava due distinte fattispecie di reato: una realizzata in violazione della disciplina urbanistica; l'altra di quella paesaggistica e tali condotte, in quanto risultate poste in essere in un unico contesto -e non in tempi diversi-, dovevano ritenersi conseguenza di un'unica condotta. Si trattava, a ben vedere, di un concorso formale di reati, e pertanto la suprema Corte si è soffermata sulla questione se, nel caso di concorso formale tra reati, possa ritenersi sussistente l'indice-criterio dell'abitualità del comportamento, desunto da situazioni quali quelle fissate al terzo comma dell'art. 131-bis c.p., che il legislatore considera sintomatiche di quell'abitualità che impedisce la declaratoria di particolare tenuità.

Sul punto, posto che il concorso formale è caratterizzato da un'unicità di azione o di omissione, osserva la Corte che esso non può essere collocato tre le ipotesi di condotte plurime, abituali e reiterate e neanche può ritenersi che si versi con esso in un'ipotesi di reati della stessa indole, in quanto il concorso formale è riferito ad un'unica azione o omissione che ha poi comportato la violazione di diverse disposizioni di legge, ovvero la commissione di più violazioni della medesima disposizione.

Di qui l'altro principio di diritto secondo cui il concorso formale di reati non è espressione di una abitualità del comportamento e non impedisce, di conseguenza, l'esclusione della punibilità. Testualmente si afferma che il concorso formale di reati non consente di considerare operante lo sbarramento dell'abitualità del comportamento che impedisce l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

Quanto alla tenuità dell'offesa, la decisione in esame ha tuttavia ritenuto che fosse erronea la qualificazione dell'opera come precaria e che non fossero stati adeguatamente valutati dal giudice di primo grado i parametri di riferimento che rilevano nelle violazioni urbanistiche e paesaggistiche; conseguentemente, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio (non al tribunale di Asti, ma alla Corte di appello di Torino, dovendo qualificarsi la pronuncia impugnata come sentenza dibattimentale ed il ricorso in cassazione, in conseguenza, come ricorso per saltum).

In tale contesto, la suprema Corte, riguardo alle violazioni urbanistiche e paesaggistiche, ha precisato dettagliatamente i parametri di valutazione rilevanti ai fini della particolare tenuità dell'offesa, individuati nella: 1) consistenza dell'intervento abusivo; 2) destinazione dell'immobile, nell'incidenza sul carico urbanistico; 3) impossibilità di sanatoria; 4) mancato rispetto dei vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali ecc.; 5) eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti; 6) rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione permanente; 7) totale assenza di titolo abilitativo o nel grado di difformità dallo stesso o nelle modalità di esecuzione dell'intervento.

Tra gli ulteriori indici sintomatici della non particolare tenuità dell'offesa la Corte vi ricomprende anche la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo (quale il caso in cui siano violate, con la realizzazione dell'opera abusiva, anche disposizioni in materia di costruzioni antisismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente o di fruizione di aree demaniali), ipotesi, questa, che integra gli estremi del concorso formale di reati.

In definitiva, così come il reato permanente può essere oggetto di valutazione con riferimento all'«indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa, anche il concorso formale tra reati, che come il primo non è indicativo di un comportamento abituale, rileva in relazione a tale «indice-criterio» e ne costituisce uno dei parametri che, nel giudizio complessivo sulla particolare tenuità del fatto, deve essere oggetto, unitamente agli altri, di apposita e specifica valutazione.

Osservazioni

Fin dalla sua entrata in vigore numerose sono state le questioni interpretative sollevate rispetto alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, la cui ratio deve essere rinvenuta nei principi dell'extrema ratio del diritto penale e della sussidiarietà-necessarietà ‘secondaria' – l'art. 131-bis c.p. contribuisce a restringere l'area del penalmente rilevante ai soli comportamenti meritevoli e bisognosi di pena sul versante secondario e dinamico dell'applicazione in concreto delle norme incriminatrici generali ed astratte – oltre che nel soddisfacimento di altre rilevanti esigenze fondamentali sia di carattere sostanziale, sia di carattere processuale. Segnatamente, risponde al principio di proporzionalità e ragionevolezza tra la gravità dei fatti commessi e l'entità della risposta punitiva statale commisurata edittalmente, impedendo l'applicazione di sanzioni penali concepite per fatti considerati potenzialmente meritevoli e bisognosi di pena, ma in concreto rivelatisi dotati di una carica offensiva talmente lieve rispetto ai beni giuridici tutelati da far apparire sproporzionata non solo l'irrogazione del minimo di pena, ma addirittura la stessa reazione punitiva di natura criminale; sempre in tale ottica, la particolare tenuità sembra anche funzionale a garantire una più efficace implementazione della funzione rieducativa della pena descritta dall'art. 27, comma 3, Cost., considerato che non potrebbe, invero, tendere a soddisfare questa finalità una pena irrogata nei confronti di un soggetto che ha commesso un fatto tipico dotato di una portata lesiva talmente esigua da far apparire irragionevole e sproporzionata l'applicazione nei suoi confronti delle sanzioni minacciate dal legislatore. Sotto altro versante, quello processuale, invece, l'articolo 131-bis c.p. persegue non secondarie finalità di deflazione del carico di lavoro dell'autorità giudiziaria e di economia processuale. L'istituto è, difatti, concepito per essere applicato anche e soprattutto nelle primissime fasi del procedimento penale, preferibilmente le indagini preliminari, proprio allo scopo di evitare di congestionare i ruoli dei tribunali con la celebrazione di riti finalizzati ad accertare la commissione di fatti di scarso disvalore penale. Tramite la sua diffusa e pronta applicazione si mira a focalizzare l'attenzione e gli sforzi della magistratura inquirente e requirente, piuttosto che su una gamma frastagliatissima e numerosissima di fatti secondari e bagatellari, su una più circoscritta e selezionata di comportamenti lesivi in modo significativo di beni giuridici fondamentali.

L'applicazione della particolare tenuità del fatto si fonda su degli “indici criterio”, tra i quale è possibile ricordare – tra gli altri – quello della tenuità dell'offesa e della non abitualità della condotta. Quanto a quest'ultimo criterio, a parte i reati abituali, che si ritiene in dottrina che già rientrino in quelli ostativi con riferimento al genus di comportamento abituale, si è posto il problema di applicabilità dell'istituto in esame ai reati caratterizzati da condotte ripetute come: a) il reato continuato; b) il concorso formale di reati; c) il reato permanente.

Quanto al reato continuato ed al concorso formale, lo sbarramento del terzo comma dell'art. 131-bis c.p. sembra costituire un ostacolo nel caso di reati avvinti dal vincolo della continuazione, o per quelli in concorso materiale tra loro, salvo che per le ipotesi di concorso formale in quanto – come afferma la sentenza in esame – caratterizzate da un'unica condotta produttrice di più violazioni della stessa fattispecie criminosa e, quindi, non riconducibili alle ipotesi di condotte plurime, abituali e reiterate; resta solo da vedere in tale caso se non ci si trovi, però, al cospetto di ‘reati della stessa indole' che rappresentano un altro limite preclusivo alla non punibilità per particolare tenuità. Peraltro, contro tale soluzione milita anche il primo comma nella parte in cui, descrivendo gli indici-requisito per l'applicabilità della particolare tenuità, si riferisce al singolare alla condotta tenuta dal reo e non alle condotte al plurale che sono necessarie per realizzare un concorso di reati, salvo quello formale. A tale impostazione, tuttavia, potrebbe obiettarsi che la dottrina (Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, 657 ss.) considera il reato continuato come reato unico o plurimo a seconda degli effetti più favorevoli al reo; in tal senso, la possibile applicazione dell'art. 131-bis c.p. potrebbe considerarsi sicuramente favorevole e condurre a considerare il reato continuato come reato unico, dunque, sussistendo le altre condizioni, particolarmente tenue.

Quanto ai reati permanenti, la giurisprudenza tende ad escludere l'applicazione della causa di non punibilità per i reati permanenti, a cagione della perdurante compressione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, per effetto della condotta delittuosa compiuto dall'autore del fatto, non potendosi considerare tenue […] un'offesa all'interesse penalmente tutelato che continua a protrarsi nel tempo (cfr. Cass.pen., Sez. III, 22 dicembre 2015, n. 50215). Tuttavia, la preclusione a ritenere tenui illeciti permanenti non è assoluta, dovendo anche tale tipologia di reato essere oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, il quale in particolare dovrà tenere in considerazione la durata della condotta delittuosa.

Sul punto, la sentenza in esame premette che nei reati permanenti, nei cui novero rientrano le contravvenzioni relative agli abusi edilizi, è preclusa, quando la permanenza non sia cessata, l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto a cagione della perdurante compressione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, per effetto della condotta delittuosa compiuta dall'autore del fatto di reato, non potendosi considerare tenue, secondo i criteri di cui all'art. 133, comma 1, c.p. e dei quali occorre tenere conto ai fini della (particolare) tenuità del fatto, un'offesa all'interesse penalmente tutelato che continua a protrarsi nel tempo. La Cassazione ha tuttavia precisato che il reato permanente, non essendo riconducibile nell'alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis c.p., può essere oggetto di valutazione con riferimento all'“indice-criterio” della particolare tenuità dell'offesa, la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quando più tardi sarà cessata la permanenza.

Ciò spiega la ragione per la quale, secondo altra recente pronuncia (cfr. Cass. pen., Sez. III, 22 dicembre 2015, n. 50215), l'eliminazione dell'opera abusiva, attraverso la sua demolizione o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, implicando la cessazione della permanenza, può consentire, a condizioni esatte, l'applicazione della causa di non punibilità introdotta dall'art. 131-bis c.p. Tale conclusione si colloca in perfetta sintonia con la ratio dell'art. 131-bis c.p., che come visto mira a restringere l'area del penalmente rilevante ai soli comportamenti meritevoli e bisognosi di pena sul versante secondario e dinamico dell'applicazione in concreto delle norme incriminatrici generali ed astratte; nel caso di reati edilizi, invero, il ripristino dello stato dei luoghi crea una situazione concreta nella quale il comportamento umano, dal punto di vista dell'extrema ratio, non risulta più bisognoso di pena in quanto in concreto caratterizzato da una complessiva esiguità.

La sentenza in esame enuclea anche i parametri di valutazione rilevanti ai fini della particolare tenuità dell'offesa nei reati edilizi, già sopra riportati e individuati in buona sostanza in una esigua consistenza oggettiva dell'intervento abusivo, ovvero nel caso di carico urbanistico minimo in riferimento alla destinazione dell'immobile. In tali casi è importante non sovrapporre il profilo dell'astratta offensività del reato che impatta su di un bene di grande rilievo come il governo del territorio, con quello della particolare tenuità in concreto, che potrebbe essere riconducibile ad una attività edilizia modesta ma non tale da portare ad una assoluzione per inoffensività del fatto, ad un preliminare ripristino dello stato dei luoghi a cura ed a spese del reo, ovvero ad un permesso di costruire in sanatoria, con cui la stessa P.A. da conto della sostanziale inoffensività dell'attività edilizia svolta.

Qualche perplessità desta l'individuazione tra gli indici di non tenuità dell'offesa quello della contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo (quale il caso in cui siano violate, con la realizzazione dell'opera abusiva, anche disposizioni in materia di costruzioni antisismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente o di fruizione di aree demaniali); ipotesi, questa, che integra gli estremi del concorso formale di reati e che, come già visto, dovrebbe condurre a valutare l'offensività concreta della condotta che resta unica, senza farvi rientrare la formale violazione di più leggi penali incriminatrici.

Guida all'approfondimento

AMARELLI, L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Studium Iuris, 2015, 968 ss.;

SANTORIELLO, La clausola di particolare tenuità del fatto, Roma, 2015

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