La perdita di efficacia del Mae come conseguenza dell'inefficacia del titolo esecutivo de libertate

01 Marzo 2017

La revoca, l'annullamento o l'inefficacia di un'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di una persona dimorante in altro Stato europeo determina ...
Massima

La revoca, l'annullamento o l'inefficacia di un'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di una persona dimorante in altro Stato europeo determina la perdita di efficacia del correlato mandato di arresto europeo, ai sensi dell'art. 31 l. 69/2005, solo quando l'esecuzione dello stesso non sia stata ancora portata a compimento con la consegna della persona ricercata.

Il caso

V.M. era stato fatto oggetto di provvedimento restrittivo del Gip di Napoli, eseguito quando l'interessato si trovava già detenuto nel territorio nazionale in esito a mandato di arresto europeo, per reati diversi, dalla Francia. L'ordinanza restrittiva del Gip di Napoli, adottata all'esito di positiva procedura in estensione del Mae, era poi stata dichiarata inefficace dal tribunale del riesame partenopeo per questioni formali, di talché il P.M. aveva fatto richiesta di nuova misura cautelare carceraria: su tale richiesta il Gip aveva disposto conformemente, ma subordinandone l'esecuzione agli adempimenti previsti dagli artt. 26 e 32 l. 69/2005. Ed infatti quel giudice aveva ritenuto, in osservanza ed applicazione del disposto dell'art. 31 l. 69/2005, che la caducazione dell'ordinanza de libertate avesse provocato l'inefficacia del mandato di arresto europeo, di talché una nuova misura restrittiva della libertà personale non potesse prescindere dall'osservanza delle condizioni di legge costituenti presupposto di procedibilità in tema di Mae

Il provvedimento del Gip, nei termini ora esplicitati, era stato confermato con successiva ordinanza del tribunale del riesame, ex art. 310 c.p.p.,.

Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione il P.M. lamentando la erronea applicazione dell'art. 31 l. 69/2005 da parte del giudice della cautela, laddove ha ritenuto applicabile quanto disposto dalla citata norma anche ad una procedura di estradizione europea già perfezionatasi e portata a compimento.

La Corte di cassazione, con la sentenza in esame, ha ritenuto fondato il ricorso della procura della Repubblica, annullando conseguentemente l'ordinanza del tribunale del riesame e la precedente ordinanza restrittiva del Gip nella parte in cui subordinava l'esecuzione al rispetto delle condizioni previste dalla normativa disciplinante il Mae.

La questione

La sentenza in commento, nel dichiarare fondate le censure e l'interpretazione fornita con il ricorso dalla Procura ricorrente, ha affrontato di fatto due temi, intrinsecamente tra loro uniti, aventi ad oggetto l'esecuzione di misure coercitive in relazione al mandato di arresto europeo.

Le questioni che, dunque, la sentenza ha preso in esame sono, per quanto qui interessa, due.

Da un lato vi è quella che richiama il c.d. principio di specialità, come condizione legittimante l'emissione e l'esecuzione del mandato di arresto europeo. Tale principio, previsto nelle condizioni che ne delimitano l'ambito di applicazione dall'art. 26 l. 69/2005, con riferimento alla c.d. estradizione “passiva”, trova uguale applicazione anche nel caso di estradizione “attiva” siccome espressamente richiamato dal successivo art. 32.

Il riferimento, nel caso in esame, al principio di specialità è esplicito, posto che proprio i provvedimenti restrittivi impugnati – quello del Gip ed il successivo conforme del tribunale del riesame, ex art. 310 c.p.p. – avevano subordinato l'esecuzione della misura restrittiva all'espletamento delle condizioni previste nelle norme citate. D'altro canto, poi, la suprema Corte ha cassato l'ordinanza custodiale limitatamente a detta subordinata, con ciò escludendo nella fattispecie l'operatività del menzionato principio di specialità.

Dall'altro lato viene in considerazione il tema della perdita di efficacia del Mae in conseguenza del venire meno dell'ordinanza restrittiva sottesa al mandato stesso.

A fronte della doglianza sollevata dal P.M. proprio su questo punto, invero centrale rispetto alla decisione demandata ai giudici di legittimità, la Corte suprema ha fornito un'interpretazione dell'art. 31 l. 69/2005 in un'ottica di conservazione degli atti e di economia processuale, eletti come criterio guida su cui modulare l'applicazione della norma citata.

A fronte del fatto che i giudici di merito, in fase cautelare, dando rilevanza alla sopravvenuta inefficacia per motivi formali del provvedimento restrittivo, avevano a ciò riconnesso la conseguenza del venir meno del Mae, secondo la piana applicazione del disposto dell'art. 31, l'interpretazione qui offerta dalla Corte di legittimità ripercorre il solco di precedenti pronunce sul tema, seppur incidentalmente affrontato, dando invece rilievo discriminante alla situazione fattuale che il mandato abbia o meno avuto effettiva esecuzione con l'avvenuta consegna della persona ricercata dallo Stato emittente. Infatti solo nel caso che l'esecuzione sia ancora in corso – secondo i supremi giudici – all'inefficacia dell'ordinanza cautelare conseguirebbe, ex art. 31 l. 69/2005, analoga perdita di efficacia del mandato d'arresto; viceversa, l'avvenuto perfezionamento delle procedure di consegna sarebbe preclusivo di ogni eccezione o doglianza in tal senso, anche perché diversamente opinando si produrrebbe un regresso indebito del procedimento, incompatibile con la ratio legis sottesa alla normativa in materia.

La Corte ha perciò ritenuto abnorme, e come tale da annullare, la subordinazione degli effetti del provvedimento de libertate all'espletamento di alcune previsioni, sul presupposto che la fattispecie si ponesse all'esterno del campo di applicazione dell'art. 31 cit.

Le soluzioni giuridiche

La questione complessivamente analizzata dalla sentenza in esame, come si è detto, porta innanzitutto a parlare della clausola di specialità, considerata come vera condizione per la procedibilità dell'azione nel processo penale interno rispetto ad una persona attinta da mandato di arresto europeo. Tale clausola, come si è detto, vale nel caso che ci interessa, con riferimento alla procedura estradizionale “attiva”, ma del pari ha applicazione per quella “passiva”, nel cui ambito normativo anzi è prevista (all'art. 26 l. 69/2005) e poi espressamente richiamata dall'art. 32 l. 69/2005.

Come è noto, questo principio è stato concepito dalla decisione quadro 2002/584/Gai del Consiglio Ue 13/6/2002 e poi recepito ed applicato in Italia dalla legge vigente, secondo una forma di c.d. specialità attenuata, nel senso che la previsione normativa consente allo Stato emittente di procedere penalmente nei confronti della persona colpita da Mae anche in relazione a fatti diversi rispetto a quelli oggetto di mandato di arresto, quando il procedimento non dia luogo (melius: non possa dare luogo – v. art. 26, comma 2, lett. c) l. 69/2005) all'applicazione di una misura restrittiva della libertà personale, né in via cautelare, né in via di espiazione di pena. In questo senso, più ampio rispetto al tenore letterale normativo, si è espressa la suprema Corte (Cass. pen., Sez. VI, 28 ottobre 201,1 n. 39240).

Sotto questo profilo, già la Corte di Giustizia Ue, con la nota sentenza 1 dicembre 2008, Leymann-Pustovarov, ha avuto modo di chiarire che la condizione per la quale la clausola di specialità non è impeditiva di un procedimento penale ed eventuale condanna per fatti diversi ed anteriori a quelli oggetto di mandato di arresto è lo stato di libertà dell'interessato durante e dopo il procedimento; in caso contrario, deve necessariamente essere attivata da parte dello Stato emittente la richiesta di assenso in estensione del Mae

Nella fattispecie oggetto della sentenza in esame la questione della specialità si confonde e forma un tutt'uno con quella della permanente efficacia del mandato di arresto anche in esito ad inefficacia del titolo ad esso sotteso.

L''imputato era stato, appunto, raggiunto da Mae e consegnato dalla Francia all'Italia per determinate ipotesi di reato e successivamente colpito da un diverso provvedimento custodiale del Gip di Napoli, eseguito in esito alla positiva procedura di consegna in estensione. Quindi, l'esecuzione di tale ordinanza era legittimata in diritto dalla procedura in estensione perfezionatasi e resa di fatto possibile dalla avvenuta consegna dell'imputato al nostro Paese. Il ragionamento, tuttavia, seguito dal Gip in seconda battuta – ovverosia, una volta richiesto di nuova ordinanza dopo la caducazione della prima – e dal tribunale del Riesame in sede di appello ex art. 310 c.p.p., si è limitato all'applicazione lineare dell'art. 31 l. 69/2005, concludendo così che il venir meno dell'ordinanza custodiale avrebbe fatto venir meno il titolo legittimante per procedere – ovverosia l'estensione del Mae – cosicchè, al fine di poter eseguire una limitazione della libertà personale sarebbe stato necessario nuovamente ricorrere all'espletamento delle procedure di assenso in estensione che sole consentono di evitare l'empasse del principio di specialità, appunto previste dagli artt. 26 e 32 l. 69/2005: da qui la subordinazione dell'efficacia esecutiva del provvedimento de libertate a tali incombenti.

Ragionamento, questo dei giudici della cautela, che non offre il fianco ad alcuna critica sotto il profilo dottrinario e di stretta applicazione della legge in materia.

Il punto, tuttavia, sollevato dall'organo d'accusa ricorrente in cassazione ed affermato dal Supremo Collegio attiene, come si è accennato, alla verifica dello stato in cui l'esecuzione del Mae si trova al momento in cui si sia verificata l'inefficacia del provvedimento ad esso sotteso. I giudici di merito non avevano minimamente preso in valutazione questo dato, che pur aveva già avuto una qualche rilevanza in precedenti pronunce di legittimità e che, perciò, doveva essere preso in considerazione: in modo esplicito in un caso analogo, seppur in parte motiva, è stato affermato in precedenza che l'art. 31 non viene qui per nulla in rilievo, posto che si riferisce, all'evidenza, alla situazione in cui si verifichi, mentre è in corso l'esecuzione del Mae, il venir meno del titolo che ne è alla base, e non concerne quindi il caso (di esclusiva pertinenza dell'ordinamento interno) in cui sia stata espletata regolarmente la procedura di consegna (Cass. pen. Sez. unite, 27 luglio 2012 n. 30769).

Ebbene, nella fattispecie in esame nella sentenza che qui si commenta, la vicenda incidentale della perdita di efficacia dell'ordinanza restrittiva per motivi formali è intervenuta quando la consegna della persona estradata era già stata eseguita, ditalchè la Corte di legittimità, meglio esplicitando il principio di diritto di cui si è detto sopra, ha ritenuto che tale circostanza di fatto ponesse la questione al di fuori del perimetro di applicazione dell'art. 31 cit., con conseguente illegittimità della subordinazione posta dai giudici di merito all'esecuzione della limitazione della libertà in sede cautelare.

L'imputato già consegnato allo Stato emittente, dunque, viene sottoposto a detenzione in forza del provvedimento restrittivo interno allo Stato stesso, non già in forza del mandato d'arresto che ha esaurito la sua funzione tipica (che pacificamente, oltretutto, non è impugnabile autonomamente).

Il principio di diritto che la Suprema Corte qui richiama è quello, testualmente, secondo cui l'atto conclusivo di un procedimento incidentale perde efficacia in concomitanza della sopraggiunta inefficacia di un elemento ad esso sotteso, solo prima che se ne siano prodotti gli effetti. Ma le osservazioni che la sentenza aggiunge a supporto di tale orientamento, meritano menzione: afferma la Cassazione che diversamente opinando, ovverosia nel senso ritenuto dai giudici della cautela, da un lato verrebbe vanificata la ratio che informa la disciplina dell'estradizione tra Stati Ue, che è quello di creare un sistema di cooperazione giudiziaria semplificato di consegna, rimuovendo potenziali ritardi, mentre dall'altro si lederebbe il principio generale di economia processuale, che porterebbe ad una inutile reiterazione, ad opera del Paese dell'esecuzione, di un atto che ha già prodotto i suoi effetti propri.

Sulla pregnanza argomentativa di questi temi, che pur non sono nuovi (soprattutto sull'esigenza di semplificazione si era espressa incidentalmente anche la Corte costituzionale con sent. 16 maggio 2008, n. 143), chi scrive si permette tuttavia di avanzare qualche riserva, dovendosi dubitare che sull'altare unicamente della semplificazione e della economia processuale possa sacrificarsi una applicazione rigorosa e fors'anche pedissequa di una norma, indipendentemente dalle conseguenze, eventualmente ritenute defatigatorie, che essa possa comportare.

Osservazioni

La materia su cui si è espressa la sentenza in commento si concentra su un punto abbastanza specifico e mirato della più ampia normativa in materia di mandato di arresto europeo e che, tuttavia, per le due tematiche che necessariamente prende in considerazione, si pone come un nodo centrale della disciplina.

La soluzione di diritto a cui perviene qui il supremo Collegio è conforme ad un solco interpretativo in via di consolidamento e convince nella sua logica di fondo.

Convince meno, come si è poc'anzi accennato, il ragionamento a fortiori basato su la ipotetica lesione di esigenze generali di velocizzazione, a fronte del fatto che la lettura strettamente letterale dell'art. 31 cit. nell'applicazione dei giudici partenopei non appare, a sommesso parere di chi scrive, del tutto peregrina.

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