Delitti contro la P.A.: nessuna riparazione pecuniaria quando il danno è stato integralmente risarcito
07 Ottobre 2025
Massima Ai fini dell'applicazione dell'art. 322-quater c.p. la determinazione del profitto lucrato dal condannato deve essere operata al momento della pronuncia della sentenza, con riferimento al profitto ‘attuale' al momento della sua applicazione e, dunque, al netto delle restituzioni nel frattempo poste in essere dal reo in favore della vittima e da questa accettate, scorporando quella parte di utilità non più costituente illecito accrescimento patrimoniale; la riparazione pecuniaria, pertanto, non sarà dovuta ove, all'atto della pronuncia della sentenza di condanna, il profitto del reato sia stato integralmente restituito o risarcito. Il caso La Corte d'appello territoriale confermava la sentenza di primo grado, emessa in sede di giudizio abbreviato dal giudice dell'udienza preliminare, con la quale l'imputata era stata condannata alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di peculato (art. 314 c.p.), con applicazione delle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione e, ai sensi dell'art. 322-quater c.p., la condanna al pagamento di una somma all'ente pubblico a titolo di riparazione pecuniaria. L'imputata interponeva ricorso per cassazione denunciando, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., tra gli altri motivi, l'errata applicazione dell'art. 322-quater c.p., atteso che la condanna alla riparazione pecuniaria, a fronte dell'integrale risarcimento del danno avvenuto nel corso del giudizio, integrerebbe una indebita duplicazione sanzionatoria. La questione Secondo la tesi difensiva, avendo l'imputata provveduto al risarcimento del danno in un momento antecedente alla sentenza di primo grado, il profitto del reato era stato integralmente eliso e, pertanto, la riparazione pecuniaria non poteva trovare applicazione, sulla scorta di un'interpretazione costituzionalmente orientata. Nel medesimo motivo di ricorso, in subordine, veniva richiesto alla Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 322-quater c.p. per contrasto con l'art. 42 Cost. (‘proprietà'). La riparazione pecuniaria disposta in sentenza, pur a fronte dell'integrale risarcimento del danno, difatti, risultava irragionevole e creava una disparità di trattamento con la situazione del condannato che, senza aver risarcito alcun danno, sarebbe stato colpito dalla sola confisca del profitto del reato, stante il divieto, di matrice giurisprudenziale, di cumulo tra riparazione pecuniaria e confisca; diversamente, come nel caso in scrutinio, il condannato che aveva integralmente risarcito il danno, si vedeva gravato dall'obbligo di versare, a titolo di riparazione pecuniaria, la medesima somma già erogata a titolo di risarcimento del danno. Le soluzioni giuridiche 1. La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso. Partendo dal dettato normativo di cui all'art. 322-quater c.p. viene rilevato anzitutto che, per espressa volontà del legislatore, l'obbligo della riparazione pecuniaria non esclude, di per sé, la condanna dell'imputato al risarcimento del danno nei confronti delle eventuali parti civili costituite ma, anzi, si cumula allo stesso. Tuttavia, evidenzia la Corte, questa previsione deve essere interpretata in senso costituzionalmente orientato per scongiurare il rischio di duplicazioni nel ristoro della persona offesa – correttamente denunciato dalla ricorrente – e la violazione del divieto di ingiustificato arricchimento. 2. La riparazione pecuniaria, per costante orientamento della sezione decidente (vengono citate, Cass. pen., sez. VI, 25 gennaio 2023, n. 8959; Cass. pen., sez. VI, 5 febbraio 2020, n. 18098; Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2019, n. 16872), viene qualificata come «sanzione civile accessoria avente connotazione punitiva»; l'art. 322-quater c.p., difatti, delinea una forma di riparazione coattiva, di tipo non risarcitorio [restando impregiudicato il risarcimento dei danni], non affidata all'iniziativa volontaria del reo e neppure subordinata ad un'espressa richiesta della persona offesa (come, invece, accade, per esempio, nella riparazione civilistica prevista dall'art. 12 della l. 18.2.1948, n. 47 per i casi di diffamazione commessi col mezzo della stampa). Inoltre, la quantificazione dell'ammontare dovuto a titolo riparatorio non è rimessa all'apprezzamento del giudice, né viene commisurata ai pregiudizi complessivamente subiti dall'amministrazione di appartenenza, ma è forfettariamente calibrata sui proventi materiali indebitamente ricevuti (Cass. pen., sez. VI, n. 18098 citata sopra). Muovendo dalla natura sanzionatoria di questa previsione, quindi, la giurisprudenza di legittimità è giunta a stabilire che è illegittima l'applicazione cumulativa della confisca per equivalente del profitto del reato ex art. 322-ter c.p. e della riparazione pecuniaria prevista dal successivo art. 322-quater c.p., trattandosi di misure aventi medesimo oggetto ed analoga finalità afflittiva, il cui cumulo determina violazione del principio del ne bis in idem sanzionatorio (tra le ultime, Cass. pen., sez. VI, 5 marzo 2024, n. 23203). Del resto, la confisca del profitto del reato (art. 322-ter c.p.) non può esorbitare l'ammontare delle restituzioni o del risarcimento posto in essere dal condannato in quanto, a seguito delle condotte riparatorie post delictum, quelle utilità non costituiscono più illecito accrescimento patrimoniale (tra le tante: Cass. pen., sez. II, 18 ottobre 2022, n. 44189; Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 2020, n. 21353]. 3. Ebbene, muovendo da questi principi, il giudice di legittimità ha ritenuto che la riparazione pecuniaria non è dovuta allorquando l'imputato abbia, medio tempore, risarcito il danno cagionato dalla condotta illecita. Ai fini dell'applicazione dell'art. 322-quater c.p., difatti, la determinazione del profitto lucrato dal condannato deve essere operata al momento della pronuncia della sentenza, con riferimento al profitto ‘attuale' al momento della sua applicazione e, dunque, al netto delle restituzioni nel frattempo poste in essere dal reo in favore della vittima e da questa accettate, scorporando quella parte di utilità non più costituente illecito accrescimento patrimoniale (sul punto, per un'analoga soluzione in tema di confisca disposta ai sensi dell'art. 322-ter c.p., Cass. pen., sez. VI, 17 maggio 2023, n. 34290); la riparazione pecuniaria, pertanto, non sarà dovuta ove, all'atto della pronuncia della sentenza di condanna, il profitto del reato sia stato integralmente restituito o risarcito. La Corte, inoltre, specifica che a questa interpretazione non osta la clausola finale della disposizione di cui all'art. 322-quater c.p. («restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno») atteso che, questo inciso, non impone – come diversamente ritenuto dai giudici del merito – una generalizzata duplicazione della riparazione pecuniaria e del risarcimento del danno allorquando il danno, all'atto della pronuncia della sentenza di condanna, sia stato già integralmente risarcito, in quanto questo esito si porrebbe in insanabile e irragionevole contrasto con il divieto di ingiustificato arricchimento. Questa clausola, invece, opera nei casi di restituzione [o risarcimento] solo parziale del profitto del reato, nei quali la riparazione pecuniaria può concorrere con il risarcimento del danno, sino alla realizzazione dell'una o dell'altra pretesa, nel limite massimo costituito dall'ammontare originario del prezzo o del profitto del reato. 4. In conclusione, la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio, limitatamente alla riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater c.p., che deve essere eliminata in quanto dal giudizio di merito risultava che l'imputata aveva integralmente ripianato il danno cagionato all'ente pubblico. |