Remissione di querela: la produzione in giudizio equivale alla mancata ricusa da parte del querelato
02 Ottobre 2025
Massima In tema di condizioni di procedibilità, la produzione in giudizio, da parte del querelato, della remissione della querela, finalizzata alla dichiarazione di estinzione del reato a lui ascritto, equivale, pur in assenza di formale accettazione, alla mancanza di ricusa, idonea a consentire siffatta declaratoria, posto che l'accettazione della remissione della querela si presume, a condizione che non sussistano elementi indicativi della volontà contraria del querelato, edotto della volontà del querelante e in grado di accettare o rifiutare. Il caso La Corte d'appello di Bari confermava la condanna di un imputato per il reato di cui all'art. 570 c.p. pronunciata dal giudice di primo grado. Nelle more del ricorso per cassazione, interposto dall'imputato per vizi di motivazione e di violazione di legge, sopravveniva atto di transazione tra le parti e la querelante sottoscriveva verbale di remissione di querela, tramesso alla Cassazione dalla difesa del ricorrente con memoria difensiva in cui si chiedeva l'estinzione del reato. Il P.G. della Cassazione, pur concludendo per l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, fondava la propria richiesta sull'estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione e non già per remissione di querela, trattandosi di ipotesi procedibile d'ufficio, sussumibile nella fattispecie inadempitiva di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., in quanto commessa anche in danno dei figli minori e non solo del coniuge remittente. La Cassazione, enunciando il principio sopra massimato, ha annullato senza rinvio, con conseguente revoca anche delle correlate statuizioni civili, la sentenza impugnata limitatamente alla condotta posta in essere dal condannato in danno del coniuge. La questione Con la sentenza annotata la Cassazione si sofferma sul tema giuridico della sufficienza, o meno, della produzione in giudizio dell'atto di remissione di querela al fine di ottenere la declaratoria di estinzione del reato in assenza della formale accettazione della stessa da parte del querelato, come pure richiesta dall'art. 155 c.p., alla stregua del quale: «La remissione non produce effetto, se il querelato l'ha espressamente o tacitamente ricusata. Vi è ricusa tacita, quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione. La remissione fatta a favore anche di uno soltanto fra coloro che hanno commesso il reato si estende a tutti, ma non produce effetto per chi l'abbia ricusata. Per quanto riguarda la capacità di accettare la remissione, si osservano le disposizioni dell'articolo 153. Se il querelato è un minore o un infermo di mente, e nessuno ne ha la rappresentanza, ovvero chi la esercita si trova con esso in conflitto di interessi, la facoltà di accettare la remissione è esercitata da un curatore speciale». La questione affrontata dalla Suprema corte prende le mosse dalla natura giuridica e dal perfezionamento dell'atto di remissione di querela (art. 340 c.p.p.), il quale comporta un “effetto-filtro” in itinere in quanto determina, nel giudizio di merito, la chiusura anticipata del procedimento, con inevitabile contrazione dei tempi processuali e, se sopravviene nel corso del giudizio di legittimità (come nella specie) opera anche in presenza di eventuali cause di inammissibilità del ricorso per cassazione (così, ad es., Cass. pen., n. 45594/2021, Vitucci, Rv. 282301-01). La norma codicistica di riferimento, di cui all'art. 152 c.p., è stata peraltro da ultimo modificata dall'art. 1, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 150/2022 (riforma “Cartabia”) che, in attuazione della direttiva di delega di cui all'art. 1, comma 15, lett. d), della legge n. 134/2021 («prevedere quale remissione tacita della querela l'ingiustificata mancata comparizione del querelante all'udienza alla quale sia stato citato in qualità di testimone»), nell'inedito comma 3 dà stabile rilievo alla remissione tacita (extraprocessuale) di querela: «1) quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all'udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone; […]», così consacrando iure positivo, a fini deflattivi, una prassi invalsa negli uffici giudicanti di merito – ed avallata dalla giurisprudenza di legittimità, anche massimamente nomofilattica – che ha ripetutamente affermato il principio di diritto secondo cui costituisce un'ulteriore causa di remissione tacita di ordine processuale – da affiancarsi a quella extraprocessuale prevista dall'art. 152, comma 2, c.p. – l'assenza del querelante all'udienza dibattimentale, purché previamente ed espressamente avvertito dal giudice dell'interpretazione che sarebbe derivata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela (Cass. pen., sez. un., n. 31668/2016, P.G. in proc. Pastore, Rv. 267239-01; Cass. pen., sez. un., n. 27610/2011, Marano, Re. 250201-01; cfr. Cass. pen. n. 42334/2022, P.G. c. De Luca; Cass. pen. n. 5801/2021, P.M. c. Statuetta, Rv. 280484-01; Cass. pen. n. 12186/2016, P.G. in proc. D'Orazio, Rv. 266374-01). Le soluzioni giuridiche La Sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza in commento, nell'enunciare il principio di diritto sopra massimato, afferma che la produzione in giudizio (anche di legittimità) del verbale di remissione di querela anche in assenza della (produzione del verbale della) sua formale accettazione da parte del querelato equivale ad una mancanza di ricusa, come tale idonea a consentire la declaratoria di estinzione per tale causa. La Suprema corte prende le mosse in parte motiva da quanto già affermato – a livello massimamente nomofilattico (Cass. pen., sez. un., n. 27610/2011, Marano, Rv. 250201) – a proposito della mancata comparizione in udienza del querelato posto a conoscenza della intervenuta rimessione della querela, allorché ha statuito, prima della riforma “Cartabia”, che, in tal caso, siffatto comportamento integra, ai sensi dell'art. 155, comma 1, c.p., la mancanza di ricusa idonea a legittimare la pronuncia di estinzione del reato; principio, come detto, poi codificato con la suddetta novella introdotta dal d.lgs. n. 150/2022. Analoga “interpretazione” comportamentale viene oggi declinata dalla Corte regolatrice con riguardo alla accettazione della remissione, dandosi analogo rilievo a fatti concludenti, non positivi (id est: di formale accettazione, nella specie mancante) bensì negativi, di rifiuto. Ciò in quanto – bene spiega la decisione in esame – nonostante la rubrica dell'art. 155 c.p. sia intitolata «Accettazione della remissione», ciò che normativamente si richiede, al comma 1, è che il querelato non abbia ricusato la remissione, espressamente o tacitamente attraverso il compimento di «fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione». Il comportamento concludente considerato dall'art. 155, comma 1, c.p. non è, dunque, quello attraverso cui si renda percepibile una adesione del querelato alla remissione di querela ma attiene ad una tacita manifestazione di volontà diretta ad impedirla. In breve, l'accettazione di querela si presume purché (come verificatosi nella vicenda al vaglio della Corte) non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato, pienamente edotto della volontà del querelante e che si trovi in grado di accettare o rifiutare. Osservazioni Alla base della divisata soluzione giurisprudenziale v'è, anzitutto, la considerazione della remissione di querela quale atto giuridico unilaterale che si perfeziona con la sua manifestazione, sicché essa non necessita – come già affermato dalla Cassazione, nella sua più autorevole composizione – di accettazioni o adesioni del querelato, il quale può solo rifiutare e quindi rendere inefficace la remissione, impedendo la declaratoria di improcedibilità (v., ancora, Cass. pen., sez. un., n. 27610/2011, cit.). In secondo luogo, v'è la valorizzazione del dato testuale dell'art. 155, comma 1, c.p., il quale laddove afferma che «la remissione non produce effetti se il querelato l'ha espressamente o tacitamente ricusata», non richiede in effetti l'accettazione ai fini dell'efficacia della volontà del querelato, ritenendo sufficiente l'inesistenza di un rifiuto espresso o tacito. Vero è che, sul versante processuale, l'art. 340 c.p.p. – prevedendo al comma 1, la remissione «accettata personalmente o a mezzo di procuratore speciale, con dichiarazione ricevuta dall'autorità procedente o da un ufficiale di polizia giudiziaria che deve trasmetterla immediatamente alla predetta autorità»; ed al comma 2, che «la dichiarazione di remissione e quella di accettazione sono fatte con le forme previste per la rinuncia espressa alla querela» – sembrerebbe contraddire la disciplina sostanziale. In realtà l'art. 340 c.p.p., come già il previgente art. 14 c.p.p. 1930, si riferisce alla sola ipotesi in cui il remittente espliciti la propria volontà di non dare seguito al procedimento, e, quindi, si riferisce e disciplina la remissione e l'accettazione cd. espresse, nulla disponendo in ordine a quella tacita e nemmeno – secondo una prospettiva più corretta – al rifiuto tacito, previsto dalla disciplina sostanziale. Si tratta, pertanto, di ambiti diversi, donde la piena condivisibilità del principio di diritto sopra massimato. |