Insubordinazione del lavoratore e licenziamento per giusta causa: il caso della guardia giurata
24 Settembre 2025
Massima Il caso Nel caso esaminato dalla Corte, un dipendente con mansioni di guardia giurata era stato licenziato dalla società datrice a seguito di diversi fatti contestati relativi a condotte reputate qualificati quali gravi atti di insubordinazione. Più nel dettaglio, il lavoratore era stato formalmente ammonito in quanto, come confermato anche dalle Corti di merito, lo stesso aveva prestato servizio senza la radio trasmittente, o comunque senza una radio funzionante, in tre diverse occasioni lavorative. In aggiunta, in una diversa circostanza, lo stesso aveva prestato servizio senza indossare, né disporre, nelle immediate vicinanze, del giubbotto antiproiettile, che pure gli era stato fornito in dotazione e, anzi, in quel caso, aveva tenuto sulla divisa mostrine e manette senza, tuttavia, essere a ciò stato autorizzato. A propria difesa, il dipendente licenziato ha impugnato il provvedimento espulsivo ritenendo che, diversamente, il CCNL di riferimento prevede per tali condotte negligenti delle semplici sanzioni conservative e che, dunque, la gravità di quanto contestato non fosse tale da giustificare l’immediata cessazione del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di prosecuzione, neppure temporanea. Se, in primo grado, il Tribunale adito non aveva ritenuto gli addebiti sufficientemente gravi, in concreto, per giustificare la sanzione espulsiva, la Corte d’Appello di Firenze, successivamente coinvolta nella vicenda, ha, diversamente, giudicato legittimo il licenziamento disciplinare intimato dalla società ex datrice di lavoro. A sostegno della propria tesi, la Corte territoriale ha evidenziato la gravità degli addebiti contestati (sei, in totale), sia dal punto di vista soggettivo, sia oggettivo e, per tale motivo, ritenendo integrassero, complessivamente considerati, la giusta causa di licenziamento. Più precisamente, tale gravità sarebbe confermata dal fatto che, proprio per la natura delle mansioni assegnate al dipendente in quanto guardia giurata, lo stesso non sarebbe nella condizione di assolvere adeguatamente i propri doveri in assenza delle necessarie dotazioni (tra cui, appunto, la radio trasmittente). Allo stesso modo, il mancato corretto utilizzo del giubbotto antiproiettile ha configurato una condotta “dettata dalla valutazione del tutto personale” rispetto alla modalità di esecuzione dell’attività lavorativa a lui assegnata, in palese contraddizione con le istruzioni datoriali al riguardo. In generale, la Corte d’Appello ha ritenuto che ciò che qualificasse le condotte del lavoratore come un’insubordinazione – tale da giustificare il provvedimento espulsivo ai sensi del CCNL - fosse il comune elemento della “deliberata indifferenza rispetto alle prescrizioni datoriali”, dell’iniziativa, del tutto personale del ricorrente, di anteporre le proprie valutazioni in contrasto con le istruzioni ricevute dal datore di lavoro. La questione La guardia giurata che disobbedisca a precise regole datoriali riguardo al corretto utilizzo degli strumenti dati in dotazione ai fini dell'esecuzione delle prestazioni tipiche di tale ruolo, integra una mera negligenza, o una ben più grave condotta insubordinata tale da giustificare il licenziamento per giusta causa? Le soluzioni giuridiche Incaricati di decidere sul caso, gli Ermellini hanno chiarito che il ricorso dell’ex guardia giurata non potesse essere accolto. Più nello specifico, la doglianza del lavoratore, secondo la quale la Corte d’Appello aveva commesso un error in iudicando rispetto alla mancata riconduzione delle condotte contestate nell’alveo delle sanzioni conservative, si traduce – secondo la Suprema Corte – inammissibilmente in un diverso apprezzamento dei fatti che hanno dato luogo al licenziamento. Tali condotte, peraltro, erano già state definite, da entrambe le Corti adite in primo e secondo grado (seppur con esiti decisionali diversi) non come frutto di una mera condotta negligente, ma piuttosto di “una deliberata indifferenza rispetto alle prescrizioni datoriali, tanto da configurare una vera e propria insubordinazione”. Tali valutazioni, peraltro – hanno notato gli Ermellini – si inseriscono coerentemente in una nozione ampia di insubordinazione nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, “che non può essere limitata al rifiuto di adempimento alle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della riorganizzazione aziendale”. In quest’ottica, gli Ermellini hanno valutato che le condotte poste in essere dal lavoratore, poiché tutte collegate all’evidente volontà dello stesso di trasgredire arbitrariamente gli ordini ricevuti, legittimassero il licenziamento per giusta causa imposto dalla società datrice. Tale valutazione, peraltro, non può che basarsi sui giudizi delle corti di merito, che già in precedenza avevano esaminato il caso di specie. Come è noto, infatti, e come gli Ermellini hanno ulteriormente precisato, non è possibile domandare l’apprezzamento o la rivalutazione di fatti specifici alla corte di legittimità, che solo può esprimersi su quanto già statuito dai giudici che su di essi si sono espressi in precedenza. Pertanto, ove il ricorrente intenda devolvere alla Suprema Corte il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, questi è chiamato a denunciare l’omesso esame di un fatto che, ai fini della valutazione della proporzionalità, avrebbe assunto carattere determinante, nel senso che la sua omissione avrebbe condotto con certezza – e non solo con mera probabilità – a un diverso esito della controversia. Osservazioni L’ordinanza in esame offre alcuni spunti di rilievo che, ancorché già consolidati nella giurisprudenza di legittimità, ha il pregio di sottolineare con chiarezza. In primo luogo, la Corte ribadisce che la nozione di insubordinazione vada intesa in senso ampio: la stessa non si limita al rifiuto di eseguire ordini, ma comprende anche condotte reiterate e consapevoli di inosservanza delle regole aziendali, evidenziando, così, un principio che rafforza la tutela dell’organizzazione aziendale e la responsabilità del lavoratore. In secondo luogo, viene ribadito il concetto per cui la motivazione del giudice di merito resta centrale nella valutazione dei fatti di causa, potendo la Cassazione intervenire solo in presenza di vizi motivazionali gravi. Questo orientamento conferma la funzione di garanzia del giudizio di legittimità, che non può trasformarsi in un terzo grado di merito. In questo senso, gli Ermellini precisano, ancora una volta, l’onere del ricorrente in tema di proporzionalità, che rimane particolarmente stringente: per ottenere la cassazione della sentenza, non basta invocare una diversa valutazione degli elementi, ma occorre indicare un fatto decisivo trascurato dal giudice, che avrebbe certamente condotto a un esito diverso. La soluzione offerta dalla Corte di cassazione, dunque, a giudizio di chi scrive, è coerente con gli arresti giurisprudenziali più recenti. Tuttavia, vale la pena sottolineare il passaggio interpretativo, di sicuro rilievo, in base al quale, pur in presenza di una previsione collettiva che riconduca a una sanzione conservativa le singole condotte contestate al dipendente, il fatto che le stesse, complessivamente, denotino una generale insofferenza rispetto alle istruzioni datoriali, legittimi il licenziamento per giusta causa. Un’unica osservazione alle motivazioni rese dai giudici di legittimità potrebbe essere mossa nel senso che, nel caso di specie, la delicatezza del ruolo ricoperto dalla guardia giurata avrebbe potuto costituire un’ulteriore conferma alla legittimità del licenziamento comminato. Infatti, a parere di chi scrive, non è solo l’insubordinazione, nei termini sopra descritti, a giustificare una tale decisione, ma anche la gravità in re ipsa delle condotte perpetrate dal lavoratore, date le conseguenze legate alla sicurezza di luoghi e persone (oltre che di se stesso) che esse avrebbero potuto comportare. |