La rilevanza della certificazione dei modelli per escludere la responsabilità da reato delle società

Ciro Santoriello
22 Settembre 2025

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte si è occupata del tema della responsabilità da reato delle società per i delitti di omicidio o lesioni colpose dipendenti da violazioni della normativa antinfortunistica.

Massima

In tema di responsabilità da reato delle società per i delitti di omicidio o lesioni colpose dipendenti da violazioni della normativa antinfortunistica, qualora la società sia dotata di un modello di organizzazione e gestione ex art. 30 d.lgs. n. 81 del 2008 definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL o al British Standard OHSAS 18001:2007, l'inadeguatezza del modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 può essere affermata solo in presenza di una compiuta dimostrazione dell'inadeguatezza sostanziale del sistema organizzativo adottato.

Il caso

In sede di merito più società erano condannate per l'illecito amministrativo da reato, ai sensi degli artt. 5 lett. a) e 25-septies del d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione al delitto di cui all'art. 589 c.p.

La dinamica del fatto, assai complessa, può essere ricostruita per quanto di interesse nei seguenti termini. Il decesso del dipendente era conseguente allo schiacciamento dovuto al crollo di una catasta di tubi. Il fatto si era verificato in un cantiere edile ove erano eseguiti lavori affidati dalla committente ad un'altra impresa, che aveva a sua volta affidato parte degli stessi ad un'impresa esecutrici; la gestione del piano della sicurezza era poi affidata ad un'altra società. La responsabilità dell'accaduto, con riferimento alle persone giuridiche coinvolte, era addebitata alla società cui era affidata a gestione della sicurezza ed anche alla ditta appaltatrice ed a quella subappaltatrice, in ragione del chiaro stato di incuria in cui versava la catasta di tubi crollata ed alla luce della giurisprudenza secondo cui nel caso diverse imprese assumano in appalto o in subappalto l'esecuzione di opere che, per la loro natura, impongano l'utilizzo di strutture già precedentemente installate, sussiste l'obbligo, per ciascun imprenditore, di controllare che l'installazione delle stesse risulti conforme alla vigente normativa antinfortunistica, posto che tale obbligo grava su tutti coloro ai quali compete la direzione dei lavoratori.

In sede di ricorso per cassazione, le società imputate lamentavano a vario titolo la insussistenza di interesse e vantaggio per l'ente, non avendo il giudice di merito specificato su quale elemento probatorio fosse fondata l'affermazione dell'interesse delle società al celere completamento dei lavori, eludendo le verifiche stabilite dal sistema normativo di riferimento. Parimenti indimostrato era il dedotto interesse al risparmio di spesa, connesso alla riduzione dei tempi di lavorazione.

In secondo luogo, era contestata la scelto di non riconoscere l'applicabilità dell'art. 30 d.lgs. 81 del 2008, nonostante la dimostrata idoneità ed efficace attuazione del modello 231. In particolare, il Sistema di Gestione Integrato HSE (per gli aspetti salute e sicurezza sul lavoro) della committente aveva ottenuto la certificazione ai sensi dello standard internazionale OHSAS 18001 (per gli aspetti salute e sicurezza sul lavoro), riconosciuta dal DNV, un Ente esterno accreditato ed il comma 5 del citato art. 30 del d.lgs. n. 81/08, fonda una presunzione di conformità ai requisiti dell'articolo stesso – peraltro confermata dalla relazione peritale prodotta in dibattimento. Inoltre, era stata dimostrata l'efficace attuazione del modello, essendo state effettuate diverse attività, tutte provate con documentazione acquisita, tra cui attività di reporting dalle funzioni apicali verso HSE di Business Unit ENI refining and marketing e da qui verso l'Organismo di Vigilanza, ed esecuzione di audit periodici, organizzati a diversi livelli dell'Organizzazione.

Direttamente collegato a tale profilo era la censura circa l'indeterminatezza del capo di imputazione che per l'assenza della illustrazione della colpa di organizzazione. In particolare, si sosteneva che non è sufficiente dimostrare semplicemente che il dirigente o la persona in posizione apicale abbia commesso un reato nell'interesse o a vantaggio dell'azienda, dovendo provare che l'ente stesso abbia mancato ai propri obblighi organizzativi e gestionali, trascurando di di adottare e implementare efficacemente quei modelli organizzativi, quelle procedure di controllo e quelle misure preventive che la legge prevede negli articoli 6 e 7 del decreto 231. Solo quando si verifica questa doppia condizione - reato del dirigente più inadempimento organizzativo dell'ente - si può configurare la piena responsabilità amministrativa dell'organizzazione.

Ulteriori eccezioni dei gravami concernevano la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente.

La questione

Molteplici esaminate nella sentenza.

Con riferimento alla costituzione di parte civile contro gli enti in sede di processo ex d.lgs. n. 231 del 2001, la Cassazione – nonostante alcune resistenze della giurisprudenza di merito – è senz'altro schierata nel senso della sua inammissibilità (da ultimo, Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 2023 (dep. 26 gennaio 2024), n. 3211, secondo cui nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l'istituto non è previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001 che in ogni sua parte non fa mai riferimento alla parte civile o alla persona offesa, ciò che induce a ritenere che non si sia trattato di una lacuna normativa, quanto piuttosto di una scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica).

Il tema dell'interesse e vantaggio, invece, è stato sviluppato dalla giurisprudenza sotto più profili. Chiarito che i criteri di imputazione oggettiva dell'interesse e del vantaggio sono alternativi e concorrenti tra di loro - l'interesse è il criterio soggettivo (indagabile ex ante) consistente nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di arrecare un interesse all'ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato concretamente raggiunto o meno; di contro, la caratterizzazione del vantaggio è prettamente oggettiva ed opera ex post, per cui la responsabilità della persona giuridica può sussistere anche laddove il soggetto abbia agito prescindendo da ogni considerazione circa le conseguenze che in capo all'ente collettivo sarebbero derivate dalla sua condotta e sempre che fra le conseguenze del reato possa annoverarsi anche il maturare di un beneficio economico a favore dell'organizzazione collettiva (Cass. pen., sez. V, 28 novembre 2013, n. 10265) -, con riferimento ai reati colposi ed all'illecito dell'ente di cui all'art. 24-septies d.lgs. n. 231 del 2001 si è chiarito che i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono allorquando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, o qualora abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (partendo da Cass. pen., sez. un., 15 settembre 2014, n. 37122 Thyssenkrupp e da ultimo, fra le molte, Cass. pen., sez. IV, 26 ottobre 2020, n. 29854).

Quanto all'individuazione dell'interesse e vantaggio con riferimento ai delitti presupposto di cui agli artt. 589 e 590 c.p., la sussistenza di tali elementi viene individuata 1) nel risparmio di spesa inerente all'ammodernamento ed alla messa a norma degli impianti, 2) nella mancata adozione delle doverose misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni e malattie professionali (Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 2544), 3) nella prosecuzione dell'attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza, 4) nella accelerazione dei tempi di lavoro (Cass. pen., sez. II, 10 luglio 2015, n. 29512, in Mass. Uff., n.  264231; Cass. pen., sez. IV, c.c. 22 febbraio 2020 (dep. 5 maggio 2020), n. 13575).

Dove invece si riscontra un contrasto di giurisprudenza – seppur sottaciuto o di fatto negato dalla Cassazione – è nell'individuazione dei presupposti in presenza dei quali dal reato colposo possa effettivamente derivare un vantaggio o un interesse per la società.

Il problema – e le diverse posizioni giurisprudenziali – origina dalla circostanza che in giurisprudenza si è consapevoli del rischio che l'affermazione secondo cui anche in presenza di illeciti colposi può rivenirsi un beneficio per l'ente collettivo può aprire le porte ad una sorta di automatismo in base al quale ogni qualvolta si verifichi una violazione antinfortunistica da cui derivi una malattia o un infortunio del lavoratore possa per ciò solo dirsi dimostrata la circostanza che l'ente ha tratto dalla vicenda un vantaggio economico derivante dal risparmio dei costi o da una accelerazione dei tempi di lavoro ovvero si finisca per imputare automaticamente gli eventi della morte o delle lesioni finirebbero alla società tutte le volte in cui si accerti un suo interesse o vantaggio in relazione alla condotta imprudente della persona fisica che li ha causalmente determinati. Si discute di conseguenza, per l'appunto, circa l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali si può parlare di un interesse o vantaggio per l'ente in caso di lesioni subite da suoi dipendenti a cagione dell'inosservanza di prescrizioni antinfortunistiche.

L'orientamento prevalente è nel senso che il criterio di imputazione oggettiva dell'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un'iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente (Cass. pen., sez. IV, 12 giugno 2024, n. 26293). In sostanza, dal punto di vista prettamente probatorio, il connotato della sistematicità delle violazioni rappresenta un indizio dell'esistenza dell'elemento finalistico della condotta dell'agente ma il criterio dell'interesse è ravvisabile anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un'iniziativa estemporanea, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente; in ogni caso, in caso di violazioni occasionali occorre la prova dell'oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse, nonché dell'effettivo, apprezzabile vantaggio, consistente nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che può derivare anche dall'omissione di una singola cautela e dalla conseguente riduzione dei tempi di lavorazione (Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 2021, n. 22256).

In dottrina, Consorte, Responsabilità degli enti e vantaggio "apprezzabile", in Giur. It., 2021, 2752; Santoriello, Interesse e vantaggio della società in caso di infortuni sul lavoro. Le ultime pronunce della Cassazione ed alcune considerazioni critiche, in Riv. Amm. Resp. enti, 3/2021; Caravatta, Responsabilità dell'ente e infortuni sul lavoro: la Corte ridimensiona il ruolo della sistematicità della violazione, in Cass. pen., 2021, 867; Tripodi, Imputazione del reato all'ente e sistematica violazione della normativa antinfortunistica, in Giur. It., 2021, 938.

Si ricorda che il pubblico ministero deve specificare nella imputazione quale sia il vantaggio che la società ha ottenuto o l'interesse della medesima che è stato perseguito mediante la realizzazione del reato presupposto; quando tale elemento non sia presente nella contestazione, il giudice dovrà invitare il pubblico ministero ad integrare la contestazione ed in caso di mancato adempimento all'invito potrà dichiarare la nullità dell'atto di esercizio dell'azione penale e rinviare gli atti alla Procura per provvedere altrimenti (Cass. pen., sez. V, 29 settembre 2020, n. 30753).

Con riferimento alla colpa di organizzazione, altro requisito della responsabilità da reato dell'azienda, l'elemento in esame deve intendersi in senso normativo ed sussistente in presenza di un'inottemperanza, da parte dell'ente, all'obbligo di adottare le cautele organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli (Cass. pen., sez. IV, 15 febbraio 2022, n. 18413).

Quanto alla dimostrazione della sussistenza di tale colpa, non si può far discendere la responsabilità dell'ente esclusivamente sulla base della mancata adozione di modelli di organizzazione e gestione, i quali, infatti, costituiscono esclusivamente una condizione esimente della responsabilità, con la conseguenza che l'omessa adozione di questo modello non può costituire automaticamente una responsabilità dell'impresa, dovendosi individuare l'elemento soggettivo di responsabilità dell'ente nella colpa nella dimostrazione che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato. È il riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo (Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2024, n. 11390; Cass. pen., sez. IV, 28 marzo 2023, n. 21704; Cass. pen., sez. IV, 15 febbraio 2022, n. 18413).

Anche con riferimento alla colpa di organizzazione la giurisprudenza – per ora di merito – inizia a pretendere una indicazione chiara del contenuto della colpa rimproverata all'ente (Trib. Biella, Ordinanza 16 ottobre 2024, n. 133/2020, est. Moser; Trib. Milano, sez. III penale, 28 maggio 2025, n. 292/25, est. Arata; Giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Firenze, Ordinanza, 30 maggio 2025, Giudice Mancuso).

Sul tema della certificazione dei modelli si dirà dopo.

Le soluzioni giuridiche

I ricorsi sono stati dichiarati fondati.

Quanto al profilo concernente l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente responsabile, il gravame è stato rigettato in quanto le condanne al risarcimento che avevano coinvolto l'ente non erano conseguenti alla costituzione come parte civile nei confronti dello stesso, ma esclusivamente come responsabile civile e mentre la giurisprudenza consolidata esclude la possibilità di costituirsi parte civile direttamente contro un ente sottoposto al regime del decreto 231 del 2001, nulla impedisce che lo stesso ente possa essere chiamato in causa come responsabile civile o che, qualora sia già presente nel procedimento, nei suoi confronti venga estesa la domanda risarcitoria.

La Corte di cassazione ha effettivamente stabilito che nel processo penale instaurato per accertare la responsabilità amministrativa di un ente ai sensi del decreto 231, la costituzione di parte civile non è ammissibile. L'esclusione deriva da una precisa scelta del legislatore, che non ha previsto tale istituto nella normativa di riferimento (Cass. pen., sez. V, 9 aprile 2024, n.21868). Tuttavia, non è affatto escluso che una parte civile, regolarmente costituitasi nei confronti degli imputati, accusati di aver agito anche nell'interesse dell'ente, possa avanzare una richiesta risarcitoria verso l'ente medesimo; in tal caso, l'ente viene considerato responsabile civile per i danni causati dai propri dipendenti e risulta quindi obbligato in solido al risarcimento che si sta accertando nel processo penale.

Per quanto riguarda le modalità procedurali, la citazione del responsabile civile secondo l'art. 83 c.p.p. rappresenta un requisito imprescindibile solo quando l'ente non è ancora parte del procedimento e deve esservi richiamato. Al contrario, quando il responsabile civile è già presente nel giudizio, è sufficiente che le parti interessate formulino un'espressa richiesta nei termini stabiliti dall'art. 83 citato, specificatamente rivolta all'ente e nell'ambito del medesimo procedimento, al più tardi entro il dibattimento (Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2015, n. 46991).

È stata invece ritenuta fondata la censura relativa alla sussistenza del requisito dell'interesse o del vantaggio dell'ente secondo i criteri sopra delineati. Dopo aver ricordato che i due termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio oggettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante (Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615), la Cassazione ribadisce la compatibilità del modello di imputazione obiettiva previsto dall'art. 5 con il paradigma dei delitti colposi, in cui l'evento è involontario e che sono i reati presupposti richiamati dall'art. 25-septies. Al riguardo, la giurisprudenza ha elaborato il criterio per cui, nei delitti colposi, l'interesse o vantaggio per l'ente non deve riferirsi alla commissione dell'evento del reato, ma deve riguardare unicamente la condotta: è chiaro, infatti, che un interesse per l'ente può essere ottenuto dalla violazione delle norme antinfortunistiche solamente al momento della condotta ed al netto dell'evento, ad esempio grazie al risparmio di spesa o alla accelerazione e massimizzazione della produzione.

Nel caso in esame, la Corte territoriale si è limitata ad affermare genericamente che i dipendenti, con le loro omissioni, avevano consentito alla società di appartenenza di mantenere l'incarico ricevuto, sottolineando che questa scelta era stata condivisa a livello apicale dal vertice imprenditoriale e trovava ragione nell'interesse di assicurarsi e mantenere una commessa ricevuta da un committente che si voleva così compiacere. Tuttavia, questa argomentazione viene ritenuta apparente, essendo priva di significato dimostrativo di un interesse concreto, l'intenzione di compiacere la committenza: il mero "compiacere", privo di qualsiasi specificazione circa la natura e l'entità dell'utilità perseguita, si risolve in una formula vuota e generica, inidonea a soddisfare l'esigenza probatoria che il requisito dell'interesse impone – oltre a doversi considerare l'assenza di ogni dimostrazione relativamente alla partecipazione del vertice societario rispetto a tale intenzionalità.

Infine, è stata ritenuta manchevole la motivazione in ordine alla sussistenza di una colpa di organizzazione – intesa quale elemento tipico dell'illecito amministrativo e che essere ritenuta distinta dalla colpa dei soggetti autori del reato, caratterizzando la tipicità dell'illecito amministrativo (Cass. pen., sez. IV, 15 febbraio 2022, n. 18413). In particolare, secondo la Cassazione, i giudici di merito non avevano considerato che le imprese erano dotate di documenti di organizzazione e gestione di cui all'art. 30 d.lgs. n. 81 del 2008: è vero che tali documenti hanno natura e funzione diversa rispetto ai documenti di valutazione dei rischi di cui alla normativa antinfortunistica - il sistema introdotto dal d.lgs. n. 231/2001 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore a quello previsto dalla normativa antinfortunistica (Cass. pen., sez. IV, 15 febbraio 2022, n. 18413) -, ma è altresì vero nel caso di specie il reato presupposto era, per l'appunto, rappresentato da un omicidio conseguente a violazioni antifortunistiche sui luoghi di lavoro e rispetto a tali illeciti i modelli di organizzazione aziendale previsti dal d.lgs. n. 81 del 2008 hanno una immediata ed evidente rilevanza per cui gli obblighi di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 possono essere adempiuti anche mediante l'adozione di tali strumenti di governance.

Inoltre, nel caso di specie i modelli adottati dalle società erano contenutisticamente conformi alle Linee guida UNI-INAIL o al British Standard OHSAS 18001: 2007 e l'art. 30, comma 5, d.lgs. n. 81/2008, che stabilisce una presunzione di conformità per i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL o al British Standard OHSAS 18001: 2007, introducendosi così un meccanismo presuntivo di adeguatezza che, pur non determinando un'automatica efficacia esimente, costituisce un elemento di valutazione di particolare pregnanza nell'ambito dell'accertamento della colpa organizzativa. Orbene, la sentenza di merito presentava una inammissibile sottovalutazione della certificazione del modello organizzativo mentre tale circostanza, pur non determinando automaticamente l'esenzione da responsabilità, doveva essere oggetto di una valutazione più approfondita alla luce della presunzione di conformità di cui all'art. 30, comma 5, d.lgs. n. 81/2008.

Quanto all'osservazione, presente nella sentenza impugnata, secondo cui «poco conta in questo contesto che il modello di organizzazione fosse basato sullo standard BS OHSAS 18001: 2007 e fosse stato certificato», la stessa era, a dire della Cassazione, erronea in diritto. L'esistenza di un modello certificato secondo standard internazionali riconosciuti, infatti, secondo i giudici di legittimità costituisce un elemento che deve essere superato da una compiuta dimostrazione dell'inadeguatezza sostanziale del sistema organizzativo adottato. Nel caso di specie, la dimostrazione di tale inidoneità non poteva dirsi raggiunta sulla base della sottolineatura della matura generica delle procedure di sicurezza PS 4.3.1. e 4.2.4, definite in termini di genericità o di mero monito – le quali, secondo i giudici di merito, avevano «la formulazione letterale di mero monito (“nessun lavoratore si dovrà mai trovare a svolgere un lavoro che non sia stato oggetto di valutazione dei rischi ... controllare qualsiasi cambiamento che può avere effetti o impatti sui pericoli e rischi per la salute”) e non conten[evano] alcuna indicazione su come tali aspetti devono essere controllati». Infatti, il modello di organizzazione e gestione, per sua natura e struttura, non può e non deve scendere nel dettaglio operativo specifico, ma deve limitarsi a delineare i principi, le procedure generali e i flussi informativi necessari per prevenire la commissione di reati. La specificità operativa è demandata ai documenti di valutazione dei rischi, alle istruzioni operative e alle procedure tecniche di dettaglio, che costituiscono strumenti distinti e complementari rispetto al modello organizzativo. In sostanza, il modello organizzativo ex d.lgs. n. 231/2001 ha una funzione di governance e di controllo dei processi decisionali, non di dettaglio tecnico-operativo e le procedure ivi contenute devono necessariamente avere un carattere generale e sistematico, poiché la loro funzione è quella di assicurare che le decisioni operative vengano assunte secondo criteri di legalità e nel rispetto dei flussi informativi e di controllo predefiniti.

La critica mossa al modello per la loro formulazione "generica" equivale, quindi, a rimproverare al modello organizzativo di avere quella caratteristica che ne costituisce l'essenza e la ragion d'essere. Un modello organizzativo che scendesse nel dettaglio tecnico-operativo specifico non solo eccederebbe le proprie funzioni, ma risulterebbe inadeguato proprio sotto il profilo sistematico e organizzativo.

Osservazioni

Come detto, la sentenza della Cassazione in commento presenta molteplici spunti di riflessione ma l'aspetto decisamente più interessante è rappresentato alle considerazioni che la Corte di legittimità sviluppa con riferimento alla rilevanza che hanno, quando la potenziale responsabilità dell'ente abbia come reato presupposto i delitti di omicidio o lesioni colpose conseguenti a violazioni della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, i modelli di organizzazione e gestione previsti dall'art. 30 d.lgs. n. 81 del 2008.

Questi modelli possono essere considerati al pari dei modelli organizzativi di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 e quindi avere efficacia esimente purché efficacemente attuati, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi: a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria; e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori; f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate; i) alla registrazione dell'avvenuta effettuazione delle attività ora menzionate. Inoltre, devono prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell'organizzazione e dal tipo di attività svolta, 1) un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio; 2) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; 3) idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate (il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico).

Nel caso di specie, il modello aziendale adottate dalle aziende imputate presentava un contenuto conforme alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007. In presenza di tale circostanza, il citato art. 30 prevede che tali modelli si debbano presumere idonei rispetto alla loro finalità e quindi anche idonei ad escludere la responsabilità dell'azienda anche ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001. La decisione conferma l'assoluta rilevanza di tale previsione ribadendo che la conformità del contenuto del modello organizzativo rispetto a determina linee guida deve imporre particolare cautela nell'accertamento della colpa di organizzazione.

Il principio era stato già affermato con riferimento alle linee guida di Confindustria. Cass. pen., sez. VI, 15 giugno 2022, n. 23401, infatti, ha affermato che le linee-guida elaborate dagli enti rappresentativi di categoria non possono rappresentare la regola organizzativa esclusiva ed esaustive per la predisposizione dei modelli organizzativi, il cui contenuto deve essere frutto di un processo di auto-normazione, in cui è l'impresa, anche tenendo presenti le indicazioni delle associazioni di categoria, che individua le cautele da porre in essere all'interno della propria struttura (di cui vanno considerate le caratteristiche, come dimensioni, tipo di attività, evoluzione diacronica, ecc.). In presenza di un modello organizzativo conforme ai codici di comportamento del settore, tuttavia, il giudice sarà tenuto specificamente a motivare le ragioni per le quali possa ciò nonostante ravvisarsi la "colpa di organizzazione" dell'ente, individuando la specifica disciplina di settore, anche di rango secondario, che ritenga violata o, in mancanza, le prescrizioni della migliore scienza ed esperienza dello specifico ambito produttivo interessato, dalle quali i codici di comportamento ed il modello con essi congruente si siano discostati, in tal modo rendendo possibile la commissione del reato.

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