Violazione degli obblighi di assistenza familiare ed efficacia retroattiva della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio
12 Settembre 2025
Massima In tema di reati contro la famiglia, l'art. 570-bis c.p. punisce gli inadempimenti degli obblighi economici originati dal procedimento di separazione dei coniugi, tanto nei confronti dei figli, quanto nel caso in cui tali obblighi siano imposti in favore del coniuge separato, atteso che la disposizione incriminatrice non pone alcuna distinzione con riferimento ai soggetti beneficiari. In tema di delitti contro la famiglia, è configurabile il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione, previsto dall'art. 570-bis c.p., anche per il periodo antecedente alla sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del vincolo matrimoniale e fino al momento in cui quest'ultima diviene efficace per l'ordinamento italiano, a nulla rilevando la circostanza che la dichiarazione di nullità ha effetto ex tunc, posto che essa non travolge la condotta di inadempimento, penalmente rilevante, "medio tempore" verificatasi. Il caso Il Tribunale di Nola, con sentenza emessa in data 13 giugno 2022 condannava l'imputato alla pena di quattro mesi e trecento euro di multa per il reato ex artt. 570 e 570-bis c.p. A seguito dell'appello proposto dall'imputato, la Corte di Appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado rideterminava la pena in novecento euro di multa. Avverso tale Sentenza l'imputato proponeva ricorso per Cassazione chiedendone l'annullamento, adducendo sei motivi. In particolare, per quello che in questa sede interessa, con il primo motivo il ricorrente deduceva l'erronea applicazione dell'art. 570-bis c.p., sostenendo che tale fattispecie di reato non poteva essere applicata con riferimento alla violazione dei provvedimenti relativi agli obblighi di carattere economico imposti nel giudizio di separazione in favore dell'ex coniuge, ma solo in favore dei figli; il giudice, pertanto, non può applicare l'art. 570-bis c.p. nel caso di inadempimento degli obblighi economici imposti nel procedimento di separazione in favore del coniuge, in quanto, così facendo, estenderebbe l'ambito applicativo della fattispecie di reato oltre i limiti delineati dalla legge delega. Inoltre, rilevava che la Corte di Appello non aveva motivato in merito all'eccezione con la quale si rilevava l'inapplicabilità dell'art. 570 c.p. ai provvedimenti temporanei ed urgenti stabiliti dal Presidente del Tribunale nel giudizio di separazione. Con il secondo motivo deduceva l'erronea applicazione dell'art. 570-bis c.p., poiché tale fattispecie di reato non può essere applicata nei casi di annullamento del matrimonio dichiarato con sentenza rotale delibata e divenuta irrevocabile avente efficacia ex tunc. Questa sentenza, infatti, avrebbe accertato l'inesistenza originaria di un matrimonio valido tra i coniugi e avrebbe reso privo di giustificazione il provvedimento del Presidente del Tribunale adottato con riferimento ad un vincolo coniugale che in radice è tamquam non esset; il reato contestato, dunque, sarebbe insussistente. La Suprema Corte con la Sentenza di cui si tratta, ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La questione Le questioni prese in esame sono le seguenti: se la fattispecie prevista dall'art. 570-bis c.p. può essere applicata con riferimento alla violazione dei provvedimenti relativi agli obblighi di carattere economico imposti nel giudizio di separazione in favore dell'ex coniuge o solo in favore dei figli; se rileva l'efficacia retroattiva della Sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario ai fini della configurabilità del reato ex art. 570-bis c.p. Le soluzioni giuridiche La sentenza in commento ha rigettato il ricorso ritenendo infondati i motivi proposti sulla base delle seguenti interpretazioni. La Corte, nel ritenere infondato il primo motivo, dapprima ha ricostruito le vicende riguardanti l'articolo in esame; la disposizione dell'art. 570-bis c.p., collocata nel capo IV del titolo XI, dedicato ai delitti contro l'assistenza familiare, è stata inserita nel codice penale dall'art. 2 (Modifiche in materia di tutela della persona), comma 1 lett. c) del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2018 e rubricato “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale” a norma dell'articolo 1, comma 85, lett. q), della l. 23 giugno 2017, n. 103 (cosiddetta riforma Orlando), che ha fissato, appunto, il principio della riserva di codice, che consiste nell'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano ad oggetto la tutela di beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell'integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato. La norma riproduce, anche se non in modo letterale, le previgenti disposizioni penali contenute nell'art. 12-sexies (reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile) della l. 1 dicembre 1970, n. 898 (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”), introdotto dall'art. 21 della l. 6 marzo 1987, n. 74, che disponeva che al coniuge che si sottraeva all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della suddetta legge si applicavano le pene previste dall'articolo 570 c.p. e nell'art. 3 (reato di violazione degli obblighi di natura economica in caso di separazione dei coniugi) della l. 8 febbraio 2006, n. 54 (“Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli”), che disponeva che in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applicava l'articolo 12-sexies della l. 1 dicembre 1970, n. 898, norme che, conseguentemente, sono state espressamente abrogate dall'art. 7, lett. b) e d) del d.lgs. n. 21 del 2018. Nell'esaminare il primo motivo, la Corte ha rilevato che secondo alcune risalenti e minoritarie decisioni, la violazione degli obblighi di natura economica posti a carico del genitore separato, cui si applica la disposizione dell'art. 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, n. 898, stante il richiamo operato dalla previsione di cui all'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), riguarda unicamente l'inadempimento dell'obbligo di mantenimento in favore dei figli (minorenni e maggiorenni), dovendosi escludere invece l'inadempimento di analogo obbligo posto nei confronti del coniuge separato, cui è applicabile la tutela già predisposta dall'art. 570 c.p. (Cass. pen., sez. VI, n. 36263/2011). Secondo l'orientamento maggioritario, invece, l'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, di seguito trasfuso nel vigente art. 570-bis c.p., punisce gli inadempimenti degli obblighi economici originati dal procedimento di separazione dei coniugi, tanto nei confronti dei figli, quanto nel caso in cui tali obblighi siano imposti in favore del coniuge separato, atteso che la disposizione incriminatrice non pone alcuna distinzione con riferimento ai soggetti beneficiari (Cass. pen., sez. VI, n. 36205/2020). Le recenti pronunce hanno confermato questo secondo orientamento prevedendo, appunto, che l'art. 570-bis c.p. punisce gli inadempimenti degli obblighi economici originati dal procedimento di separazione dei coniugi, tanto nei confronti dei figli, quanto nel caso in cui tali obblighi siano imposti in favore del coniuge separato, atteso che la disposizione incriminatrice non pone alcuna distinzione con riferimento ai soggetti beneficiari (Cass. pen., sez. VI, n. 2098/2024). In merito alla contestazione mossa dal ricorrente relativa all'applicabilità dell'art. 570-bis c.p. ai provvedimenti temporanei ed urgenti di competenza del Presidente del Tribunale nel giudizio di separazione, la Corte ha rilevato che la formulazione letterale della disposizione ricomprende anche la violazione dell'assegno di mantenimento disposto in via interinale e provvisoria dal suddetto, in quanto l'art. 570-bis c.p. sanziona l'inadempimento dell'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio e di violazione degli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Tale orientamento è stato più volte confermato dalla Suprema Corte: in tema di violazione degli obblighi di natura economica posti a carico del genitore separato, il disposto di cui all'art. 12-sexies legge 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3, legge 8 febbraio 2006 n. 54) si applica all'inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento in favore dei figli, minorenni o maggiorenni non indipendenti economicamente, stabilito con l'ordinanza del Presidente del Tribunale (In motivazione la Corte ha escluso che detto principio di diritto possa mutare a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 570-bis c.p., inserito dall'art. 2, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in quanto tale disposizione non ha apportato alcuna modifica rilevante sul tema - Cass. pen., sez. VI, n. 24162/2018; in motivazione, la S.C. ha precisato che il citato art. 3 sanziona la violazione degli "obblighi di natura economica", senza operare alcuna distinzione quanto alla loro fonte – Cass. pen., sez. VI, n. 43341/2016). Sulla base di tali argomentazioni, quindi, il primo motivo è stato ritenuto infondato. In merito al secondo motivo, ovvero l'erronea applicazione dell'art. 570-bis c.p. nel caso di annullamento del matrimonio disposto con sentenza rotale delibata e divenuta irrevocabile, la Corte ha ritenuto di poter applicare lo stesso principio affermato con orientamento costante dalla giurisprudenza di legittimità già con riferimento all'art. 570 c.p., ovvero che fino a quando il matrimonio non sia stato dichiarato nullo o annullato, i coniugi non perdono la loro qualità e continuano ad essere vincolati agli obblighi che derivano da esso compreso quello della reciproca assistenza (la dichiarazione di nullità del matrimonio non rimuove la sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti del coniuge divorziato per il periodo antecedente la dichiarazione stessa e fino al momento in cui la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del vincolo matrimoniale diviene efficace per l'ordinamento italiano, a nulla rilevando la circostanza che la dichiarazione di nullità abbia effetto ex tunc, poiché nel frattempo, con riguardo all'applicazione della norma penale, rimane integro il vincolo derivante dal rapporto di coniugio – Cass. pen., sez. VI, n. 43900/2016). La Corte, quindi, ha ritenuto configurabile il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, previsto dall'art. 570-bis c.p., anche per il periodo antecedente alla sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del vincolo matrimoniale e fino al momento in cui quest'ultima diviene efficace per l'ordinamento italiano, a nulla rilevando la circostanza che la dichiarazione di nullità ha effetto ex tunc, posto che essa non travolge la condotta di inadempimento, penalmente rilevante, "medio tempore" verificatasi. Tale principio, inoltre, trova le basi anche nell'art. 128 c.c. sul matrimonio putativo secondo il quale, al comma 1, se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede, oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi. Ad ulteriore conferma del principio espresso, la Corte rileva poi che, il secondo periodo dell'art. 8.2 dell'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana che apporta modificazioni al concordato lateranense (Accordo di Villa Madama) dispone che la Corte d'Appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia. La sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, quindi, non rimuove l'obbligo di corresponsione dell'assegno stabilito nel giudizio di separazione, ma impone al Giudice civile di verificare l'applicabilità o meno nel caso di specie della disciplina del matrimonio putativo ex art. 128 c.c. presumendo la buona fede dei nubendi nel momento della celebrazione del matrimonio; al contrario, qualora, il matrimonio debba considerarsi nullo anche sotto il profilo della putatività, provare l'inefficacia e la mala fede del nubendo spetterà a colui che ha asserito tale circostanza. Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha ritenuto infondato anche il secondo motivo. Osservazioni Con detta sentenza, la Suprema Corte ha ribadito alcuni principi già affermati precedentemente in tema di applicabilità dell'art. 570-bis c.p. Per chiarire meglio quanto argomentato dalla Corte, si ritiene utile specificare che la norma prevista dall'art. 570-bis c.p. è stata introdotta principalmente per assicurare una tutela penale nei confronti del coniuge beneficiario dell'assegno, in quanto la cessazione degli effetti civili del matrimonio determina il venir meno nei suoi confronti dei doveri di assistenza previsti dall'art. 570, comma 2 n. 2 c.p., pertanto, in assenza della previsione di cui all'art. 12-sexies della l. n. 898/1970, l'inadempimento del coniuge onerato sarebbe risultato penalmente irrilevante. Inoltre, mentre l'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. sanziona solo le condotte poste in essere ai danni dei figli minori o, comunque, inabili al lavoro, l'art. 12-sexies, invece, prevedeva come reato anche il mancato versamento dell'assegno stabilito in capo ai figli maggiorenni, a favore dei quali fosse stato riconosciuto tale obbligo di contribuzione in quanto non ancora autosufficienti. L'art. 3 della l. n. 54 del 2006 consentiva, con riguardo al diritto dei figli al mantenimento, il superamento della discrasia di trattamento che in precedenza si realizzava nel caso di obbligo gravante sul genitore separato rispetto a quello che sorgeva, con maggior incisività di tutela, a seguito della pronuncia di divorzio. Com'è evidente, quindi, l'art. 570-bis c.p. non ha modificato l'ambito applicativo delle suddette fattispecie di reato ma le ha semplicemente riordinate in un'unica norma; diversamente, procedendo ad una modifica in senso restrittivo o estensivo, si sarebbe avuta una violazione dei principi espressi dalla Legge Orlando. Alla luce di tali principi, negli anni, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l'ampia formulazione della norma e, in particolare, il riferimento della sanzione penale ad “ogni tipologia di assegno dovuto” anche in caso di separazione, ricomprende anche l'assegno spettante al coniuge separato e non solo previsto in favore dei figli. Per fare ancora maggiore chiarezza, è bene analizzare la differenza che sussiste tra il reato previsto dall'art. 570 c.p. e il reato previsto dall'art. 570-bis c.p. Mentre il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare tutela la posizione del discendente di età minore ovvero inabile al lavoro, dell'ascendente e del coniuge separato (art. 570, comma 2 c.p.) ai quali vengono fatti mancare i mezzi di sussistenza, il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, si configura semplicemente con la mancata corresponsione dell'assegno divorzile o di separazione stabilito dal Giudice e non rilevano in alcun modo le condizioni economiche dell'avente diritto. L'art. 570-bis c.p. sanziona il mero inadempimento dell'obbligo di versamento dell'assegno periodico, mentre l'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. presuppone che l'inadempiente non garantisca neppure i mezzi di sussistenza e, quindi, ingeneri nella persona offesa uno stato di bisogno. Nei confronti dei figli, il reato previsto dall'art. 570-bis c.p. è integrato dall'omesso versamento dell'assegno periodico stabilito dal giudice civile per il mantenimento, educazione e istruzione dei figli anche maggiorenni studenti o non indipendenti economicamente; diversamente, l'art. 570 c.p. punisce la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minorenni o maggiorenni inabili al lavoro. L'introduzione dell'art. 570-bis c.p. ripropone la questione concernente l'ammissibilità del concorso formale, ovvero dell'assorbimento, nel caso in cui all'inadempimento dell'obbligo di versare l'assegno periodico si assommino anche gli ulteriori elementi costitutivi del più grave reato previsto dall'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. Secondo una parte della giurisprudenza, sussiste concorso formale eterogeneo, e non rapporto di consunzione, fra il delitto previsto dall'art. 570-bis c.p. e quello previsto dall'art. 570, comma 2 n. 2 c.p., in quanto il primo postula esclusivamente la mancata corresponsione dell'assegno divorzile o di separazione, mentre il secondo presuppone che tale inadempimento si sia tradotto nel fare mancare al figlio minore i mezzi di sussistenza; ne consegue che, in caso di concorso tra tali fattispecie, può essere applicata la disciplina della continuazione ai sensi dell'art. 81, comma 2 c.p. in considerazione del medesimo interesse tutelato (Cass. pen., sez. V, n. 12190/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 18572/2019; Cass. pen., n. 10772/2018; Cass. pen., n. 55064/2017; Cass. pen., n. 12307/2012 e Cass. pen., n. 34736/2011). Si è, infatti, affermato che il mancato versamento dell'assegno stabilito in sede di divorzio o di separazione integra il reato di cui all'art. 570 bis c.p., ma, qualora il genitore divorziato o separato faccia anche mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore, tale condotta realizza anche la diversa fattispecie di cui all'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. Le due fattispecie pur potendo, in astratto, riferirsi al medesimo fatto storico, individuabile nell'inadempimento alle obbligazioni economiche da parte del genitore non affidatario, presentano degli elementi specializzanti che non consentono di ravvisare una progressione criminosa delle condotte, atteso che per il reato di cui all'art. 570, comma 2 n. 2 c.p., si richiede la verificazione dello stato di bisogno del creditore, mentre, nel caso dell'art. 570 bis c.p., occorre la sentenza di separazione o di divorzio. Secondo altra parte della giurisprudenza, invece, l'omissione del versamento dell'assegno di mantenimento ex art. 570 c.p., qualora determini anche l'insorgere dello stato di bisogno, deve ritenersi assorbita nel più grave reato previsto dall'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. (Cass. pen., sez. VI, n. 32039/2024, Cass. pen., n. 45103/2023, Cass. pen., n. 20013/2022, Cass. pen., n. 44629/2013, Cass. pen., n. 6575/2008; Cass. pen., n. 7824/2000). In particolare, la Suprema Corte (Cass. pen., sez. VI, n. 57237/2017) ha ravvisato un concorso apparente di reati ritenendo che il delitto di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori ex art. 570, comma 2 n. 2 c.p., implica l'omesso versamento dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice della separazione. Secondo questo orientamento giurisprudenziale, qualora la condotta del genitore separato faccia anche mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, al fine di evitare il bis in idem sostanziale, la violazione meno grave dell'omesso versamento dell'assegno di mantenimento, deve ritenersi assorbita nel più grave reato previsto dall'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. Tale contrasto, però, ancora non è stato risolto. Per tutto quanto argomentato, quindi, è chiaro e pacifico che sia sulla base delle normative di riferimento che sulla base degli orientamenti espressi dalla Suprema Corte, l'interpretazione dell'art. 570-bis c.p. debba essere intesa in senso ampio ed esteso e debba, quindi, essere ritenuta applicabile agli inadempimenti degli obblighi economici originati dal procedimento di separazione dei coniugi, tanto nei confronti dei figli, quanto nel caso in cui tali obblighi siano imposti in favore del coniuge separato, atteso che la disposizione incriminatrice non pone alcuna distinzione con riferimento ai soggetti beneficiari. In merito all'applicazione dell'art. 570-bis c.p. nel caso di annullamento del matrimonio disposto con sentenza rotale delibata e divenuta irrevocabile è pacifico che, sia sulla base delle normative di riferimento delle diverse branche del diritto interessate dall'argomento e sia sulla base dell'orientamento costante espresso, la Suprema Corte abbia correttamente ribadito che la dichiarazione di nullità del matrimonio non rimuove la sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti del coniuge separato per il periodo antecedente la dichiarazione stessa e fino al momento in cui la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del vincolo matrimoniale diviene efficace per l'ordinamento italiano, in quanto non ha alcuna rilevanza il fatto che la sentenza ecclesiastica di nullità abbia effetto ex tunc e che tale effetto si manifesti nell'ordinamento giuridico statuale in seguito al procedimento di delibazione, poiché, nel frattempo, con riguardo all'ambito di applicazione della norma penale, rimane del tutto integro il vincolo derivante dal rapporto di coniugio. Tale principio deriva, quindi, dal fatto che, fino a quando il matrimonio non viene dichiarato nullo o annullato i coniugi non perdono la loro qualità e continuano ad essere vincolati agli obblighi che da esso discendono compresi quelli della coabitazione e della reciproca assistenza. Tale ragionamento seguito dalla Suprema Corte per la fattispecie esaminata è in linea con quanto espresso dalle Sezioni Unite in tema di successione di leggi penali; in tale caso, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva (nella specie, la Corte ha ritenuto che l'adesione della Romania all'Unione europea, con il conseguente acquisto da parte dei rumeni della condizione di cittadini europei, non ha determinato la non punibilità del reato di ingiustificata inosservanza dell'ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato commesso dagli stessi prima del 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del Trattato di adesione, in quanto quest'ultimo e la relativa legge di ratifica si sono limitati a modificare la situazione di fatto, facendo solo perdere ai rumeni la condizione di stranieri, senza che tuttavia tale circostanza sia stata in grado di operare retroattivamente sul reato già commesso; nella motivazione della sentenza si legge: «alla diversa qualità della persona si collegano due statuti diversi (anche per quanto riguarda il trattamento penale) e al cambiamento della qualità consegue il cambiamento dello statuto, il quale non può operare retroattivamente», «se si dovesse ritenere il contrario, rispetto ai cittadini degli Stati in attesa di entrare a far parte dell'Unione Europea si verificherebbe una situazione paradossale, che darebbe luogo a procedimenti penali inutili, per reati destinati a venire meno nel momento in cui diventerebbe efficace l'adesione. Inoltre … la consapevolezza dell'agente che di lì a breve il proprio Stato entrerà nella CE lo indurrebbe a trasgredire senza timore alcuno l'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, confidando poi nella successiva abolitio criminis» - Cass. pen., sez. un., n. 2451/2008). In definitiva, si può affermare il principio generale secondo il quale, se la qualità del soggetto dipende da norme extrapenali che non sono integratrici di quelle penali, tale qualità deve essere valutata con riferimento al tempo in cui il fatto è stato commesso. |