I beni in comunione legale e la natura della dichiarazione del coniuge non acquirente

05 Settembre 2025

La pronuncia in commento ribadisce l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale sulla necessaria partecipazione nonché sul valore della dichiarazione resa, al momento dell’acquisto di beni immobili e mobili registrati, da parte dell’altro coniuge.

Massima

La dichiarazione del coniuge non acquirente opera sul piano probatorio, assumendo natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti quando risulti descrittiva di una situazione di fatto, ma non quando sia solo espressiva di una manifestazione di intenti; ne discende che la revoca della confessione stragiudiziale ai sensi dell'art. 2732 c.c. assume una sua utilità nell'economia della decisione della lite se la dichiarazione resa ha simili caratteristiche.

Il caso

La vicenda trae origine dalla sentenza con cui la Corte d'Appello, riformando la pronuncia del Tribunale di Venezia, aveva accertato la comunione legale sulla casa coniugale acquistata, in costanza di matrimonio, dal marito con denaro proveniente dalla vendita di beni personali.

In particolare, la decisione in commento ha qualificato la dichiarazione del coniuge non acquirente (richiesta dall'art. 179, comma 2, c.c. ai fini dell'entrata nel patrimonio personale dell'altro, in luogo del compendio comune), come «generico asserto qualificatorio» e «mera manifestazione di intenti» (e non già con portata confessoria), con conseguente accoglimento della domanda di accertamento della comunione legale rispetto a tale bene immobile, a prescindere dai limiti di cui all'art. 2732 c.c.

La questione

La riforma del 1975, come noto, ha introdotto la comunione dei beni (art. 159 c.c.; artt. 177 e 178 c.c.) quale regime patrimoniale legale della famiglia (salvo diversa convenzione), individuando (tassativamente) i beni che, invece, rientrano nel patrimonio personale di ciascun coniuge (art. 179 c.c.).

A tal fine, con riguardo ai beni immobili e mobili registrati, l'art. 179 comma 2 c.c. prevede che gli stessi (purché rientranti nelle categorie specificamente individuate nel comma 1 e, quindi, se di uso strettamente personale o se relativi all'esercizio della professione o, ancora, se acquistati con il prezzo ricavato dalla vendita di beni personali) non cadano in comunione (e, conseguentemente, siano «beni personali» del coniuge acquirente) laddove «tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge».

In tale contesto occorre domandarsi: quale natura giuridica assume la dichiarazione (o, secondo taluni, anche la mera partecipazione senza opposizione) del coniuge non acquirente? Ha natura negoziale e, dunque, vale come rinuncia all'entrata del bene (immobile o mobile registrato) nella comunione, ovvero ha carattere di mera manifestazione di intenti (o di dichiarazione di scienza a carattere ricognitivo)? E, inoltre, in quali casi alla dichiarazione può assegnarsi natura confessoria?

Le soluzioni giuridiche

Il caso esaminato, di assai frequente verificazione, ha consentito alla Corte di cassazione di ricordare e delimitare, tratteggiandolo sinteticamente ed in assoluta coerenza con il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, il perimetro applicativo dell'art. 179 comma 2 c.c.

Il discorso, peraltro, è particolarmente complesso ed ha impegnato, nel tempo, gli operatori del diritto che, infatti, hanno assunto prospettive e delineato soluzioni senz'altro eterogenee, spaziando, queste, dalla natura negoziale della dichiarazione del coniuge non acquirente alla natura ricognitiva della stessa, ritenuta efficace nella misura in cui il bene fosse effettivamente personale; il tutto, ovviamente, reso ancora più interessante dalle tesi che, ieri come oggi, intercettavano e si soffermavano sul diverso (ma, a ben vedere, connesso) profilo del c.d. rifiuto del coacquisto.

Nel primo senso (tesi della natura negoziale), in particolare, si sosteneva che i coniugi avrebbero potuto escludere, di volta in volta, singoli beni che altrimenti sarebbero entrati nella comunione legale, stante la contestuale dichiarazione di consenso a tale acquisto espressa dal coniuge non acquirente anche laddove non ricorrevano le ipotesi specificamente contemplate dall'art. 179, comma 1, lett. c, d, f, c.c. (Cass., sez. I, 2 giugno 1989, n. 2688).

Viceversa, è oggi pressoché unanimemente ritenuto (seppure con diverse argomentazioni) che la partecipazione alla stipula del coniuge non acquirente e la (eventuale) dichiarazione di assenso all'intestazione personale del bene (immobile o mobile registrato) all'altro coniuge, non hanno efficacia negoziale o dispositiva.

Al riguardo, non solo si specifica che la partecipazione e (eventualmente) la dichiarazione non assumono valore di rinuncia del diritto alla comunione incidentale sul bene acquisendo, ma si precisa soprattutto come le stesse non sono elementi di per sé sufficienti ad escludere l'acquisto dalla comunione; e ciò proprio in quanto il carattere ricognitivo degli effetti della dichiarazione presuppone la natura personale del bene, se ed in quanto questa oggettivamente sussista (Cass., sez. I, 27 febbraio 2003 n. 2954).

Secondo una impostazione ermeneutica, invero, alla esplicita conferma circa la natura personale del bene, espressa attraverso la dichiarazione, deve essere equiparata la mancata contestazione (intesa come «adesiva partecipazione all'atto»: Cass., sez. I, 24 settembre 2004, n. 19250), da parte del coniuge non acquirente, di quanto affermato dal coniuge paciscente (Cass., sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1917).

La giurisprudenza successiva (Cass., sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755), peraltro, ha definitivamente chiarito, per un verso, come l'art. 179 comma 2 c.c. condiziona l'effetto limitativo della comunione alla «natura realmente personale» del bene, attribuendo all'intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola «funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti» (e, quindi, una funzione «di necessaria documentazione della natura personale del bene»); e sotto altro aspetto, che l'intervento adesivo del coniuge non acquirente è comunque una «condizione necessaria dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge».

Ebbene, il tratto caratterizzante la vicenda in commento riguarda proprio la natura giuridica e i limiti di efficacia della dichiarazione del coniuge non acquirente, che abbia partecipato all'atto di compravendita, perché la stessa si atteggia diversamente a seconda delle varie fattispecie considerate.

E, così, quando la personalità del bene dipende dal pagamento del prezzo con i proventi del trasferimento di beni personali (art. 179 comma 1, lett. f), si ritiene che la dichiarazione assuma il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell'esclusione del bene dalla comunione (che, dunque, può essere qualificata come confessione stragiudiziale, come tale revocabile negli stretti limiti di cui all'art. 2732 c.c.); all'opposto, se emerge una mera manifestazione di intenti, come avviene nelle ipotesi relative alla dichiarazione circa la (futura) destinazione del bene all'esercizio della professione dell'acquirente (art. 179 comma 1, lett. d) «occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente» (Cass., sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755; Cass., sez. II, 14 novembre 2018, n. 29342).

Così inquadrato il discorso, però, una ulteriore precisazione si impone con riferimento ai beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio.

In particolare, occorre altresì distinguere l'ipotesi in cui la dichiarazione del coniuge non acquirente confermi un fatto riscontrabile (i.e.: «utilizzo di denaro proveniente dalla vendita di determinati beni personali») da quella in cui si affermi sic et simpliciter che il denaro con cui si è adempiuta l'obbligazione del pagamento del prezzo era personale. Solo nel primo caso, infatti, alla dichiarazione potrebbe assegnarsi natura confessoria, a differenza del secondo, ove ciò che emerge è, a ben vedere, un mero generico asserto qualificatorio (i.e.: il denaro utilizzato era personale), onde – emergendo, appunto, non un fatto, bensì una qualificazione giuridica – si è al di fuori del perimetro della confessione stragiudiziale (Cass., sez. II, 24 ottobre 2018, n. 26981).

Ne deriva che, in definitiva, per assegnare alla dichiarazione del coniuge non acquirente valore di confessione di un fatto storico (pagamento del prezzo con il ricavato del trasferimento di beni personali) «è necessario che sia fornita una indicazione precisa della provenienza dei fondi utilizzati per l'acquisto dal prezzo ricavato dal trasferimento di beni personali ai sensi delle lettere a), b), c), d), e) ed f) dell'art. 179 c.c., comma 1» (Cass., sez. II, 29 novembre 2022, n. 35086).

Osservazioni

A cinquant'anni dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, l'evoluzione giurisprudenziale in materia di beni personali e di quelli che entrano nella comunione legale permette di rinvenire, nello specifico ambito considerato (vale a dire quello della dichiarazione del coniuge non acquirente) sicuri punti di riferimento.

Certamente, a fronte di pacifici indirizzi ermeneutici, non mancano comunque pronunce di segno contrario (talvolta correttamente riformate) né tantomeno audaci tesi difensive che, però, ove adeguatamente impostate, possono favorire (anche se non accolte) la circolazione delle idee; ciò permette di riflettere sui temi classici alla luce del mutato contesto sociale, il quale mostra con tutta evidenza l'emergere e lo svilupparsi – anche nell'ambio familiare – di sempre più ampi margini concessi all'autonomia privata che coesistono con le esigenze di tutela del coniuge non acquirente.

Da tale angolo visuale emerge, in particolare, il senso e la rilevanza della partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, ritenuta condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento, da parte dei coniugi, della natura personale del bene medesimo ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione, tassativamente indicate dall'art. 179 c.c. (Cass., sez. II, 16 dicembre 2021, n. 40423); con la conseguenza che l'eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando preclusa tale domanda dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto di acquisto per aderirvi (Cass., sez. II, 12 marzo 2019, n. 7027).

Per escludere il bene dalla comunione, invero, è indispensabile, come detto, la contemporanea presenza tanto della sussistenza di uno dei presupposti codicisticamete previsti, quanto la dichiarazione del coniuge acquirente relativa alla natura personale del bene (e, dunque, la volontà di escluderlo dalla comunione legale) al pari della adesione alla suddetta dichiarazione dell'altro coniuge (del quale, pertanto, si richiede la partecipazione al compimento dell'atto). In tale prospettiva, si ribadisce, specularmente, come la natura personale del bene non è di per sé sufficiente ad escludere la comunione se non è accompagnata dal consenso all'acquisto esclusivo manifestato in atto dal coniuge non intestatario.

Tale interpretazione risulta assolutamente prevalente; eppure, anche di recente, attenta dottrina ha mostrato perplessità ed ha assunto un atteggiamento particolarmente critico, affermando che «la partecipazione dell'altro coniuge non è necessaria ai fini dell'acquisto personale del bene», in quanto la diversa opinione «contrasta con il dettato della norma» (nella parte in cui prevede che l'acquisto è escluso dalla comunione quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto “se” di esso sia stato parte anche l'altro coniuge) e «con l'esigenza di salvaguardare l'autonomia dei compartecipi della comunione legale, autonomia che risulterebbe gravemente lesa se i loro acquisti personali dovessero dipendere dall'intervento di chi non è né autore né destinatario dell'acquisto» (C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, Milano, 2017).

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