Funzione compensativo-perequativa dell’assegno divorzile e rilevanza del contributo familiare

29 Agosto 2025

La Corte di cassazione interviene sulla corretta applicazione dell’art. 5, comma 6, l. 898/1970 in tema di assegno divorzile, ribadendone la funzione compensativa e perequativa. È illegittima la revoca dell’assegno fondata sulla sola mancata prova di rinunce lavorative specifiche, ove risulti un rilevante squilibrio economico-patrimoniale causato dalla conduzione familiare condivisa e dalla dedizione alla cura della famiglia.

Massima

Ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, la funzione compensativo-perequativa impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti tenendo conto del contributo fornito dal coniuge richiedente alla vita familiare. Tale contributo rileva anche in assenza di una rinuncia espressa a opportunità professionali, qualora lo squilibrio patrimoniale risulti causalmente riconducibile a scelte condivise nella gestione del matrimonio e nella ripartizione dei ruoli.

Il caso

A seguito del divorzio tra St.Si. e Ma.Mi., il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 1353/2023, disponeva l'affido condiviso della figlia minore, l'assegnazione della casa coniugale alla ex moglie e poneva a carico del marito obblighi di mantenimento sia nei confronti della figlia che della ex coniuge, cui veniva riconosciuto un assegno divorzile pari a €500 mensili.

Contro tale decisione proponeva appello il marito, contestando in particolare la sussistenza dei presupposti per la corresponsione dell'assegno.

La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza n. 215/2024, revocava l'assegno divorzile, ritenendo che la ex moglie avesse riacquisito autonomia reddituale attraverso la ripresa dell'attività lavorativa e che non fosse stata fornita prova di una rinuncia a concrete opportunità professionali durante il matrimonio. Inoltre, la Corte riteneva che il trasferimento della quota della casa coniugale alla moglie – sebbene non dovuto – costituisse un elemento idoneo ad escludere ogni ulteriore esigenza perequativa.

La ex coniuge proponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'art. 5 l. 898/1970, in particolare per non aver la Corte d'Appello valutato correttamente il contributo personale ed economico fornito alla famiglia, nonché per la presenza di contraddizioni nella motivazione.

La questione

In assenza di una prova diretta della rinuncia a occasioni lavorative durante il matrimonio, può l’assegno divorzile essere riconosciuto sulla base della funzione compensativa e perequativa dell’art. 5 l. 898/1970, se lo squilibrio patrimoniale risulta causalmente connesso alla gestione familiare condivisa?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello. L’ordinanza valorizza l’interpretazione evolutiva dell’art. 5, comma 6, della L. 898/1970, secondo la quale l’assegno divorzile non ha soltanto funzione assistenziale, ma anche compensativa e perequativa, in attuazione del principio costituzionale di solidarietà coniugale.

La Corte chiarisce che il contributo fornito da un coniuge alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio dell’altro assume rilievo giuridico anche in assenza di accordi formali o di una rinuncia esplicita a opportunità professionali. Tale contributo, se inserito in un contesto di squilibrio patrimoniale post-divorzio, può giustificare l’attribuzione dell’assegno divorzile. Viene inoltre ribadito che la dedizione alla famiglia, anche quando non dichiaratamente pattuita, può configurarsi come una scelta comune tacitamente assunta dai coniugi, e che l’autoresponsabilità deve essere valutata in relazione all’intera storia coniugale, e non soltanto al momento della cessazione del vincolo.

La Corte di cassazione evidenzia, in conclusione, significativi vizi motivazionali nella sentenza impugnata, con particolare riferimento alla valutazione erronea della situazione patrimoniale degli ex coniugi. In particolare, la Corte d’Appello ha attribuito rilievo decisivo a un presunto trasferimento della quota di proprietà dell’ex casa coniugale da parte del marito in favore della moglie, qualificandolo come atto di liberalità a contenuto perequativo. Tuttavia, tale circostanza - come emerge dallo stesso contraddittorio processuale - non trova alcun riscontro negli atti.

Secondo la Corte di legittimità, questo errore di fatto e di qualificazione giuridica ha determinato una distorsione nella ricostruzione dell’equilibrio economico-patrimoniale tra le parti, inducendo il giudice d’appello a escludere erroneamente la necessità di un assegno divorzile a funzione compensativo-perequativa.

Osservazioni

La pronuncia in commento si inserisce nel solco della giurisprudenza più recente, contribuendo a consolidare l'orientamento secondo cui l'assegno divorzile deve essere inteso come uno strumento di riequilibrio sostanziale delle condizioni economico-patrimoniali tra gli ex coniugi, superando approcci formalistici fondati su mere prove documentali.

Nel contesto delle famiglie a ruoli differenziati, è frequente che il coniuge “debole” abbia investito risorse personali e tempo nella cura della famiglia, contribuendo in modo determinante alla costruzione del patrimonio familiare. Il riconoscimento dell'assegno in questi casi non può dipendere dalla disponibilità di prove circa specifiche rinunce professionali, ma deve fondarsi su una valutazione complessiva delle scelte condivise e del contributo alla formazione del patrimonio familiare. Subordinare tale riconoscimento a una prova diretta di sacrifici lavorativi documentati significherebbe ignorare il significato sostanziale delle dinamiche familiari e delle modalità, anche implicite, con cui i ruoli sono stati definiti e assunti all'interno del rapporto coniugale.

Le recenti decisioni della Suprema Corte (Cass. nn. 35434/2023 e Cass. 4328/2024) ribadiscono la centralità della funzione compensativo-perequativa dell'assegno, che impone al giudice una valutazione complessiva dell'intero vissuto matrimoniale, delle condizioni economiche delle parti e delle dinamiche interne al rapporto, anche attraverso il ricorso a elementi presuntivi e alla logica delle scelte di coppia.

In prospettiva applicativa, questa impostazione rafforza la posizione del coniuge che, a seguito del divorzio, si trovi in una situazione patrimoniale svantaggiata per essersi prevalentemente dedicato alla gestione della vita familiare e alla cura dei figli. Tuttavia, tale lettura impone anche a chi agisce in giudizio di articolare fin dall'inizio una ricostruzione completa della storia matrimoniale, fornendo puntuali elementi istruttori idonei a dimostrare la distribuzione dei ruoli, l'evoluzione delle rispettive condizioni reddituali e l'apporto fornito alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge.

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