Rigetto da parte del G.I.P. della richiesta di giudizio immediato nei confronti di imputato minorenne: provvedimento abnorme?

28 Agosto 2025

Non è abnorme l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale per i minorenni che rigetta l'istanza del Pubblico ministero volta all'emissione del decreto di giudizio immediato, in quanto trattasi di provvedimento che non determina una stasi processuale non altrimenti rimovibile, verificandosi una situazione di regresso fisiologico, non preclusivo dell'esercizio, da parte del Pubblico ministero, della facoltà di procedere all'esercizio dell'azione penale.

Massima

Non è abnorme l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale per i minorenni che rigetta l'istanza del Pubblico ministero volta all'emissione del decreto di giudizio immediato, in quanto trattasi di provvedimento che non determina una stasi processuale non altrimenti rimovibile, verificandosi una situazione di regresso fisiologico, non preclusivo dell'esercizio, da parte del Pubblico ministero, della facoltà di procedere all'esercizio dell'azione penale.

Il caso

Con ordinanza del 2 dicembre 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bologna rigettava l'istanza con la quale il Pubblico Ministero chiedeva l'emissione del giudizio immediato nei confronti dell'imputato, accusato del reato exart. 4 l. n. 110/1975 per avere portato fuori della propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltello a scatto con lama appuntita e lunghezza totale di 16 cm e lama di 7 cm. L'ordinanza evidenziava l'impossibilità di procedere a rito direttissimo o richiedere giudizio immediato, nel caso in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore, ai sensi dell'art. 25, comma 2-ter, d.P.R. n. 448/1988 ed affermava che al fine di compiere detta valutazione è prevista l'acquisizione delle informazioni di cui all'art. 9, d.P.R. n. 448/1988 che non risultavano acquisite e, pertanto, nessuna valutazione era stata svolta in merito e neppure il G.I.P., in assenza delle informazioni, poteva svolgere la valutazione richiesta.

Avverso tale Ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni proponeva ricorso per Cassazione adducendo un unico motivo ovvero vizio di abnormità del provvedimento impugnato.

Preliminarmente il Procuratore spiegava le ragioni che nel procedimento minorile portano alla scelta del giudizio immediato, ovvero l'esigenza di celerità, connessa all'obiettivo di sottrarre il minore al circuito penale, realizzandone il recupero e il trattamento educativo nel più breve tempo possibile.

Successivamente, lamentava l'abnormità del provvedimento emesso dal G.I.P. sotto il profilo strutturale e funzionale, definendola “decisione eccentrica ed estranea all'ordinamento”. Secondo il ricorrente, la valutazione dell'eventuale sussistenza di un grave pregiudizio per le esigenze educative del minore, doveva essere rimessa in via esclusiva al giudizio discrezionale prognostico del Pubblico e non del G.I.P. Inoltre, l'esigenza di salvaguardare il generale principio della rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale impone di effettuare una valutazione allo stato degli atti, senza necessità di acquisire le informazioni richiesta dall'art. 9; il ricorrente, evidenziava poi, che l'art. 25, comma 2 d.P.R. n. 448/1998 prevede lo svolgimento degli accertamenti previsti dall'art. 9 come condizione ostativa solo con riferimento al giudizio direttissimo, norma di cui non viene invece fatto richiamo all'art. 25, comma 2-ter, cit. in relazione al giudizio immediato. Per tali motivi riteneva che il provvedimento del giudice era “avulso, per singolarità e stranezza del contenuto, dall'ordinamento processuale, e perciò affetto da abnormità strutturale. In ogni modo, anche ove lo si volesse ritenere espressione di un potere astrattamente manifestato in maniera legittima, si tratterebbe, comunque, di un'esplicazione operata al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, con conseguente stasi del procedimento e impossibilità di relativa prosecuzione, così derivandone un atto viziato da abnormità funzionale”.

La Suprema Corte con la Sentenza di cui si tratta, ha dichiarato inammissibile il ricorso.

La questione

Le questioni prese in esame sono le seguenti: ai sensi dell'art. 25, comma 2 ter d.P.R. n. 48/1998, lo svolgimento degli accertamenti previsti dall'art. 9, sono condizione ostativa solo al giudizio direttissimo? È abnorme l'ordinanza di rigetto della richiesta di rinvio a giudizio immediato, con contestuale restituzione degli atti al Pubblico ministero?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento ha dichiarato inammissibile il ricorso, proposto in violazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione ex art. 568 c.p.p., non ritenendo sussistente il vizio di abnormità del provvedimento impugnato; a tal fine, ha offerto la seguente interpretazione.

Preliminarmente, la Suprema Corte ha chiarito la necessità o meno di compiere gli accertamenti previsti dall'art. 9 nel caso di specie, stabilendo che, dalla lettura e interpretazione delle norme previste dal D.P.R. n. 448/1988 e prese in esame, si debba ritenere che, con riferimento al rito immediato nel processo minorile, l'art. 25, comma 2-ter stabilisce che il Pubblico ministero non possa fare richiesta di tale rito alternativo (o del giudizio direttissimo) “nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore”; tale valutazione può essere effettuata dal Pubblico Ministero esaminando gli atti che ha a disposizione, non dovendo, invece, compiere obbligatoriamente gli accertamenti sulla personalità del minore come previsto dall'art. 9; tale strumento processuale, può essere utilizzato dal Pubblico ministero qualora egli lo ritenga necessario, ma tale scelta è rimessa alla sua completa e totale discrezionalità, in quanto la norma non gli impone tale procedura se non quando si voglia procedere nelle forme del giudizio direttissimo come, invece, previsto dal comma 2 dell'art. 25 (“Art. 25 Procedimenti speciali: 1. Nel procedimento davanti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie non si applicano le disposizioni dei titoli II e V del libro VI del codice di procedura penale. 2. Le disposizioni del titolo III del libro VI del codice di procedura penale si applicano solo se è possibile compiere gli accertamenti previsti dall'articolo 9 e assicurare al minorenne l'assistenza prevista dall'articolo 12”). Erroneamente, quindi, con l'ordinanza impugnata, il giudice per le indagini preliminari aveva stabilito quale obbligo posto a carico del P.M. ai fini della richiesta del giudizio immediato per il minore il preventivo espletamento dell'istruttoria ex art. 9 d.P.R. n. 448/1988, in quanto, lo svolgimento di tale adempimento istruttorio è previsto obbligatoriamente per il solo rito direttissimo, come si evince dal combinato disposto dell'art. 25, commi 2 e 2-ter del citato d.P.R.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha ritenuto non sussistente il lamentato vizio di abnormità, né strutturale, né funzionale. In particolare, ha escluso il primo in quanto l'ordinamento riconosce al giudice delle indagini preliminari il vaglio di ammissibilità sulla richiesta del Pubblico Ministero di procedere con rito immediato nei confronti dell'indagato, non versandosi, quindi, nel caso di esercizio di un potere non attribuito dall'ordinamento (carenza in astratto), né nell'ipotesi di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo del modello legale, quale esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge (carenza di potere in concreto).

Ha escluso, poi, l'abnormità funzionale poiché non si era realizzata un'irrimediabile stasi del procedimento con conseguente impossibilità di prosecuzione, in quanto il giudice per le indagini preliminari non aveva imposto al Pubblico Ministero un adempimento che originava un atto nullo; anzi, il Pubblico Ministero poteva senza dubbio procedere con diverse modalità di esercizio dell'azione penale quali la citazione a giudizio dell'imputato o una nuova richiesta di giudizio immediato dopo aver svolto gli accertamenti previsti dall'art. 9; pertanto, nel caso di specie, si era verificata una situazione di regresso consentito anche se i presupposti che ne legittimavano l'emanazione erano stati ritenuti erroneamente sussistenti, traducendosi nell'emanazione di un atto illegittimo, ma non abnorme.

Sulla base di questi motivi, la Suprema Corte di cassazione, ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto proposto al di fuori delle ipotesi espressamente consentite, in violazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all'art. 568 c.p.p.

Osservazioni

Con detta sentenza, la Suprema Corte ha affermato nuovamente un principio in tema di abnormità ormai pacifico.

Il provvedimento abnorme è quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale; l'abnormità, più che rappresentare un vizio dell'atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra - sempre e comunque - uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall'ordinamento.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha esaminato molteplici fattispecie, delineando la distinzione tra abnormità strutturale e abnormità funzionale.

L'abnormità strutturale va limitata al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di macro-deviazione del provvedimento giudiziale rispetto al proprio modello legale, nel senso di esercizio di un potere astrattamente previsto dall'ordinamento, ma in concreto esercitato del tutto al di fuori dei casi consentiti ed al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).

L'abnormità funzionale, è invece, da individuarsi nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo e va limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al Pubblico Ministero il compimento di un atto nullo (rilevabile come tale nel corso futuro del procedimento).

Si è, in particolare, affermato che la categoria dell'abnormità presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, sancito dall'art.568 c.p.p., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103, ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell'art. 177 c.p.p. È, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l'ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti. La sua eccezionalità e residualità nel panorama delle forme di tutela accessibili impone di distinguerne l'ambito concettuale, da un lato, dalle anomalie dell'atto irrilevanti perché innocue, dall'altro, dalle situazioni di contrasto del pronunciamento giudiziale con singole norme processuali, la cui violazione sia rinforzata dalla previsione della nullità. Sotto il primo profilo, è ininfluente e non riconducibile all'abnormità quell'atto, pur compiuto al di fuori degli schemi legali o per finalità diverse da quelle che legittimano l'esercizio della funzione, sia superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l'interesse alla sua rimozione. Quanto al secondo aspetto, l'incompatibilità della decisione con una o più disposizioni di legge processuale vizia l'atto per mancata applicazione o errata interpretazione del referente normativo e ne determina l'illegittimità, che, se ciò sia prescritto, viene sanzionata in termini di nullità. In questa situazione la violazione sussistente non travalica nell'abnormità se l'atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento. Resta, dunque, escluso che possa invocarsi la categoria dell'abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità o comunque sgraditi e non condivisi (Cass. S.U., n. 33/2000), perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall'art. 568, comma 1, c.p.p.

Alla luce di tali argomentazioni, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha più volte ribadito che la corretta applicazione dei principi processuali ai rapporti tra Giudice e Pubblico Ministero impone di limitare, dunque, l'ipotesi di abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).

L'abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al Pubblico Ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Solo in tali ipotesi il Pubblico Ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice.

Secondo le Sezioni Unite, quindi, non è caratterizzante dell'abnormità la regressione del procedimento, nel senso di "ritorno" dalla fase del dibattimento a quella delle indagini preliminari. In alcune occasioni, l'esercizio legittimo dei poteri del giudice può comportare tale regressione. Se si consente, però, al Pubblico Ministero di invocare il sindacato della Cassazione in ogni caso in cui essa è stata disposta dal Giudice, si rende possibile tale sindacato avverso tutti i provvedimenti di questo tipo, eludendosi così il principio di tassatività delle impugnazioni. Infatti, la regressione e/o il rallentamento non rientrano nella nozione di stasi processuale, poiché con questa espressione si fa riferimento a una vera e propria paralisi del procedimento, che non potrebbe avanzare se non in forza dell'intervento della Corte di cassazione, che rimuove l'atto paralizzante con il suo annullamento. Invero, solo in siffatta ipotesi il Pubblico Ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi egli è invece tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice. Deve, quindi, ribadirsi che, se l'atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall'ordinamento, si è in presenza di un regresso "consentito", anche se i presupposti che ne legittimano l'emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme. Tanto più quando, come nel caso di specie, l'atto sia espressione di una prerogativa attribuita dal legislatore al giudice e da questi correttamente esercitata.

Sulla base di tali presupposti le Sezioni Unite hanno, anche di recente, affermato il pacifico principio secondo il quale " non è abnorme il provvedimento del giudice emesso nell'esercizio del potere di adottarlo se ad esso non consegua la stasi del procedimento per l'impossibilità da parte del P.M. di proseguirlo senza concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del procedimento" (Cass. S.U. n. 25957/2009; Cass. S.U. n. 20569/2018; Cass. S.U. n. 42603/2023; Cass. S.U. n. 10869/2025).

Con la sentenza in commento la Suprema Corte non si è discostata dai suddetti principi, ma ne ha fatto corretta applicazione nel caso di specie, che assume rilevanza e merita attenzione nel punto in cui rileva la illegittimità dell'ordinanza del G.I.P., in quanto si evidenzia che, da una corretta lettura del contesto normativo, emerge che per il minore il preventivo espletamento dell'istruttoria ex art. 9, d.P.R. n. 448/1988 è previsto obbligatoriamente per il solo rito direttissimo e non anche per il rito immediato; il Pubblico Ministero può anche svolgere accertamenti sulla personalità del minore come previsto dall'art. 9, ma la scelta è rimessa alla sua completa e totale discrezionalità (in senso conforme si sono espresse: Cass. sez. V, n. 20236/2025; Cass. sez. IV, n. 17797/2025, che parlano di un giudizio prognostico allo stato degli atti da parte del p.m.).

Peraltro, altra giurisprudenza, pur formulando le medesime conclusioni in ordine alla non abnormità dell'ordinanza in questione, sottolinea l'importanza degli accertamenti di cui all'art. 9 , d.P.R. n. 448, tanto da ritenere che “la discrezionalità del pubblico ministero sul punto resta ugualmente compressa anche in caso di giudizio immediato, qualora non siano state espletate sufficienti indagini” (Cass. II, n. 20987/2025).

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