Imposta di registro ed ammontare dei conguagli divisionali

25 Agosto 2025

Ai fini dell'imposta di registro, l'eccedenza derivante al condividente dall'assegnazione ad esso di beni di valore superiore a quello spettantegli sulla massa comune è considerata, per effetto della presunzione assoluta iuris et de iure di cui all'art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 , alla stregua di una compravendita, senza che rilevi l'assunzione a conguaglio, da parte sua, di un'obbligazione pecuniaria, in favore degli altri condividenti, di ammontare corrispondente con funzione compensativa, atteso che la mutevole funzione delle pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti è neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell'unicità di trattamento tributario.

Massima

Ai fini dell'imposta di registro, l'eccedenza derivante al condividente dall'assegnazione ad esso di beni di valore superiore a quello spettantegli sulla massa comune è considerata, per effetto della presunzione assoluta iuris et de iure di cui all'art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 , alla stregua di una compravendita, senza che rilevi l'assunzione a conguaglio, da parte sua, di un'obbligazione pecuniaria, in favore degli altri condividenti, di ammontare corrispondente con funzione compensativa, atteso che la mutevole funzione delle pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti è neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell'unicità di trattamento tributario.

Il caso

A seguito alla dichiarazione di esecutività del progetto divisionale emessa in data 26 maggio 2016 dal giudice istruttore presso il Tribunale di Cosenza in seno al giudizio di divisione ivi incardinato (a seguito della declaratoria di parziale inefficacia di disposizioni testamentarie di modo che ad un coerede era stata riconosciuta la quota di legittima), la competente Agenzia delle Entrate emetteva avviso di liquidazione relativo, in particolare, all'imposta di registro.

Nello specifico, dato che i lotti assegnati ai singoli condividenti erano di valore diseguale e che, conseguentemente, era previsto in capo ad alcuni di essi l'obbligo di versare un conguaglio agli altri, l'Agenzia delle Entrate liquidava l'imposta di registro dovuta nella misura dell'1% sulla massa divisionale depurata del conguaglio e del 9% sull'importo nominale dello stesso.

Tale avviso veniva impugnato presso la competente Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza che accoglieva il ricorso in base al convincimento, per quanto ricavabile dalla breve ricostruzione effettuata dagli Ermellini, che il conguaglio in questione fosse riconducibile non alla funzione perequativa di cui all'art. 728 c.c. bensì attributiva nel contesto dell'art. 720 c.c. (norma che regola la divisione degli immobili non comodamente divisibili, sancendone la ricomprensione nella porzione del coerede avente diritto alla quota maggiore, ma con addebito dell'eccedenza a suo carico); contro la citata decisione della Commissione Tributaria Provinciale, l'Agenzia delle Entrate promuoveva appello che la Commissione Tributaria Regionale della Calabria accoglieva facendo leva esclusiva sulla differenza di valore dei lotti assegnati, tale da legittimare – in quanto tale – l'imponibilità dell'inevitabile conguaglio.

Avverso detta sentenza, il contribuente soccombente ricorreva per Cassazione fondando le proprie doglianze su tre motivi: con il primo, denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (di qui in seguito, t.u.r.), per essere stata erroneamente ritenuta dal giudice di secondo grado legittima l'aliquota del 9%, dovuta per i trasferimenti immobiliari ad una fattispecie in cui i coeredi tenuti al conguaglio nulla avevano in più ricevuto rispetto alla quota di legittima; con il secondo, denunciava l'omesso esame del contenuto del provvedimento divisionale per ragioni fondamentalmente analoghe a quelle esposte nel primo motivo; con il terzo, denunciava la nullità della sentenza per essere stato omesso dal giudice di secondo grado ogni esame del fondamento dei sottostanti motivi impugnatori dell'avviso di accertamento.

La questione

La vertenza in commento pone fondamentalmente la seguente questione: la tassazione del conguaglio nelle divisioni è sempre soggetta all’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari o vi sono delle eccezioni?

Le soluzioni giuridiche

Nel contesto divisionale, tanto giudiziale quanto contrattuale, ben può accadere che la massa comune abbia caratteristiche tali da non potere essere suddivisa in porzioni esattamente corrispondenti alla quota di spettanza di ciascun coerede. Ad esempio, se un asse ereditario del valore complessivo di euro 300.000 – da dividere tra due eredi in parti uguali – è composto da due terreni agricoli del valore di euro 30.000 e 70.000, da due terreni edificabili del valore di euro 40.000 e 60.000 e da due crediti del valore di euro 45.000 e 55.000, nessuna possibile combinazione di beni nella formazione delle porzioni consentirebbe di averne due dell'egual valore di euro 150.000. Sul punto soccorre, allora, l'art. 728 c.c. che – per il caso in cui non sia possibile addivenire a quote di egual valore – sancisce che la loro diseguaglianza debba essere compensata mediante conguaglio in denaro la cui funzione è, quindi, quella di consentire il trattamento equalitario dei condividenti (chiarissima in tal senso è Cass., sez. II, 23 gennaio 2017, n. 1656, per cui «la sentenza che, nel disporre la divisione della comunione, pone a carico di uno dei condividenti l'obbligo di pagamento di un somma di denaro a titolo di conguaglio, persegue il mero effetto di perequazione del valore delle rispettive quote, nell'ambito dell'attuazione del diritto potestativo delle parti allo scioglimento della comunione»; nello stesso senso, Cass., sez. II, 24 ottobre 2006, n. 22833). È assodato, inoltre, che si tratti di debito di valore e non di valuta (Cass., sez. II, 10 agosto 2023, n. 24361; Cass., sez. II, 8 aprile 2016, n. 6931; Cass., sez. I, 15 giugno 2012, n. 9845; Cass., sez. II, 3 maggio 2010, n. 10624). Ad ogni modo, affinché la dazione di denaro rivesta tale funzione perequativa è, però, indispensabile, che lo stesso provenga dal patrimonio del condividente e non dalla massa comune dato che, se così non fosse, lo stesso verrebbe assegnato quale vera e propria componente della porzione e non al fine di compensare le differenze di valore tra i lotti (chiaro in tal senso, M.R. Morelli, La comunione e la divisione ereditaria, in  Giurisprudenza sistematica civile e commerciale fondata da W. Bigiavi, Torino, Utet, 1986, 443; sul punto, però, la giurisprudenza tributaria è meno netta ove afferma che – per la debenza dell'imposta sul conguaglio, circa la quale si avrà modo di meglio dire in seguito – non rileverebbe che la somma corrisposta a titolo di conguaglio provenga o meno dalla massa ereditaria, in quanto la norma fiscale non si riferisce alla provenienza dei beni, ma unicamente al loro valore, così Cass., sez. V, 30 maggio 2018, n. 13637; Cass., sez. V, 28 marzo 2018, n. 7606; Cass., sez. V, 14 luglio 2017, n. 17512; Cass., sez. V, 16 novembre 2012, n. 20119; Cass., sez. V, 30 luglio 2010, n. 17866).

Una volta inquadrata concettualmente la natura del conguaglio, occorre – però – calarsi nella sua concreta operatività, al fine di stabilire a quali parametri debba attenersi il Giudice nella sua quantificazione nel caso concreto. Al riguardo è consolidata l'idea per cui il maggior contenimento possibile dell'entità del conguaglio debba essere il criterio ispiratore in materia, al fine di evitare un eccessivo squilibrio nella formazione delle porzioni (Cass., sez. II, 23 gennaio 2025, n. 1686; Cass., sez. VI, 30 giugno 2020, n. 12965; Cass., sez. II, 15 gennaio 2018, n. 726; Cass., sez. II, 11 luglio 2011, n. 15212; Cass., sez. II, 21 maggio 2003, n. 7961); se è vero che l'imposizione dell'obbligazione pecuniaria è di per sé sempre idonea a “uguagliare” le porzioni, è altrettanto intuitivo che più aumenta il suo importo più le attribuzioni in natura saranno fisiologicamente squilibrate. Un esempio numerico può aiutare: si immagini una massa complessiva di euro 200.000 – da dividere tra due eredi in parti uguali – composta da due terreni agricoli del valore di euro 90.000 e 30.000 e da due terreni edificabili del valore di euro 50.000 e 30.000. In ossequio al principio di omogeneità sancito dal combinato disposto dagli articoli 718 e 727 c.c., la porzione del singolo condividente dovrebbe essere composta da un terreno agricolo e da uno edificabile; in questo scenario il Giudice – in base al principio appena esposto – dovrebbe formare due porzioni, una del valore di euro 120.000 (cioè 90.000 + 30.000) ed una di euro 80.000 (cioè 30.000 + 50.000), ancorchè sarebbe matematicamente possibile anche formarne una del valore di euro 140.000 (cioè 90.000 + 50.000) ed una di euro 60.000 (cioè 30.000 + 30.000), in quanto con la prima combinazione di porzioni (120.000 e 80.000) si determina un conguaglio minore (euro 20.000) rispetto alla seconda combinazione (140.000 e 60.000) che determina un conguaglio maggiore (euro 40.000).

Passando ai profili fiscali, l'art. 3 della Tariffa - parte I allegata al t.u.r. dispone che per gli «atti di natura dichiarativa» sia dovuta l'imposta di registro nella misura dell'1%: in tale categoria il contratto di divisione è stato tradizionalmente ricompreso (su tutte, Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 18/E, par. 2.2.1, in data 29 maggio 2013, successivamente confermata dalla Circolare n. 2/E, par. 1.2, in data 21 febbraio 2014 emessa a seguito delle modifiche apportate - con effetto dall'1 gennaio 2014 - dall'art. 10 del d. lgs. 14 marzo 2011, n. 23 e s.m.i. all'art. 1 della Tariffa - parte I allegata al t.u.r.); per completezza, si noti che principio di dichiaratività del negozio divisionale è stato ribadito dall'Agenzia delle Entrate (Risposta a interpello n. 534/2020 dell'Agenzia delle Entrate in data 6 novembre 2020; Risposta a interpello n. 30/2020 dell'Agenzia delle Entrate in data 6 febbraio 2020; Risposta a interpello n. 526/2019 dell'Agenzia delle Entrate in data 13 dicembre 2019; ma così pure, Cass., sez. V, 3 dicembre 2020, n. 27692), anche dopo l'autorevole arresto delle Sezioni Unite in tema di possibile costitutività del negozio divisionale (Cass., Sez. Un., 7 ottobre 2019, n. 25021). Tuttavia, l'art. 34 del t.u.r. stabilisce che in presenza di conguaglio eccedente il 5% (della quota di fatto rispetto alla quota di diritto) tale ammontare sia assoggettato al trattamento tributario valevole per i trasferimenti (e non per gli atti dichiarativi), in quanto in un'ottica “economica” colui che versa il conguaglio è come se – fondamentalmente – stesse acquistando la corrispondente porzione da colui che lo riceve. Ancora due esempi numerici per chiarire: 1) Tizio e Caio sono comproprietari 1/2 ciascuno di un appartamento a Milano del valore di euro 104.000 e di un appartamento a Bari del valore di euro 96.000: la massa è di euro 200.000, ma colui che si vedrà assegnato l'appartamento di Milano dovrà versare a chi si vedrà assegnato l'appartamento di Bari un conguaglio di euro 4.000; per quanto detto l'operazione sarà assoggettata comunque all'aliquota dell'1% da calcolarsi su euro 200.000, in quanto il conguaglio di euro 4.000 è inferiore al 5% sulla quota di diritto (che sarebbe di euro 5.000 a fronte di una quota di diritto pari ad euro 100.000, cioè la metà dell'asse ereditario); 2) Tizio e Caio sono comproprietari 1/2 ciascuno di un appartamento a Milano del valore di euro 106.000 e di un appartamento a Bari del valore di euro 94.000: la massa è sempre di euro 200.000, ma colui che si vedrà assegnato l'appartamento di Milano dovrà versare a chi si vedrà assegnato l'appartamento di Bari un conguaglio di euro 6.000; in questo caso il conguaglio di euro 6.000 è superiore al 5% sulla quota di diritto (che sarebbe di euro 5.000 a fronte di una quota di diritto pari ad euro 100.000, cioè la metà dell'asse ereditario) e quindi il valore di euro 194.000 (data dalla massa di euro 200.000 depurata del conguaglio di euro 6.000) sarà assoggettata all'aliquota dell'1%, mentre il conguaglio – essendo come detto legalmente assimilabile ad un acquisto – sarà soggetto al prelievo dovuto per i trasferimenti immobiliari (nell'ottica fiscale, infatti, chi riceve l'appartamento Milano è come se stesse acquistando dal coerede quella porzione di immobile che eccede il valore di euro 100.000).

Il ricorso in esame è essenzialmente imperniato su un assunto in sé corretto ma – a parere della Suprema Corte e, per quanto possa valere, anche del sottoscritto – totalmente irrilevante ai fini della qualificazione tributaria dell'operazione e cioè che «tutte le volte che i condividenti, sia pure destinatari di conguagli, hanno ottenuto comunque né più né meno la quota corrispondente al valore delle rispettive quote si è in presenza di una divisione dichiarativa, con conseguente applicazione dell'imposta di registro dell'1%». Ebbene, se tale affermazione fosse plausibile, l'art. 34, comma 2, del t.u.r. sarebbe norma completamente inutile, poiché da un punto di vista ontologico non può esistere divisione in seno alla quale ogni condividente non riceva una porzione (quota di fatto) corrispondente all'astratta spettanza (quota di diritto): ovviamente la composizione qualitativa di quanto assegnato può mutare e, come detto, richiedere il correttivo del conguaglio, ma la causa del fenomeno divisionale resta inalterata nello scioglimento della comunione mediante apporzionamento di ogni comunista con beni in titolarità esclusiva in luogo della quota che gli competeva sul tutto.

A questo punto, la Corte di Cassazione chiarisce: da un lato che la previsione di cui al comma 1 dell'art. 34 del t.u.r. – ai sensi del quale la divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente – costituisce una «presunzione assoluta iuris et de iure» che, in quanto tale, non ammette prova contraria; dall'altro, che la debenza dell'imposta maggiorata per i trasferimenti opera sia nel contesto del conguaglio “tradizionale” ex  art. 728 c.c. sia in quello scaturente dalla fattispecie dell'immobile non comodamente divisibile di cui all'art. 720 c.c. Secondo la Suprema Corte, allora, la sentenza impugnata si è uniformata ai suddetti principi, avendo ritenuto che «poiché, dunque, nella "nostra" divisione ereditaria vi è stata assegnazione di beni per un valore eccedente rispetto a quelli spettanti, tale assegnazione eccedente è considerata vendita». Per quanto esposto, il ricorso è stato rigettato.

Osservazioni

La pronuncia in commento si inserisce in una tradizionale interpretazione della fiscalità della divisione nel contesto dell’art. 34 del t.u.r., tale per cui la presenza di conguaglio (ovviamente se rilevante nella percentuale di legge eccedente il 5%) fa scattare la debenza dell’imposta di registro tipica dei trasferimenti a discapito di quella agevolata per le fattispecie dichiarative. Punto interessante è l’aver chiarito che, nella valutazione tributaria, non rileva il contesto nel quale si è formato il conguaglio (generico ex art. 728 c.c. o specifico ex art. 720 c.c.). In sostanza la mutevole fisiologia del negozio divisionale in nessun modo può scalfire l’unicità del contesto impositivo in cui viene calato. È utile anche ribadire che la generale natura dichiarativa della divisione in sé continua ad essere principio tralatizio nella giurisprudenza nonostante il sopra citato arresto delle Sezioni Unite.

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