Istanza di ricusazione a mezzo PEC, ma la sottoscrizione deve essere autenticata dal difensore
08 Settembre 2025
Massima La dichiarazione di ricusazione di un giudice, in forza dell'art. 1, comma 9, d.m. n. 206 del 2024, emesso ai sensi dell'art. 87 d.lgs. n. 150 del 2022, può essere presentata anche a mezzo PEC, ma la sottoscrizione della parte deve essere autenticata dal difensore, che deve essere comunque munito di un mandato specifico. Il caso La Corte d'appello ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione di un giudice di Tribunale per l'inosservanza della forma di cui all'art. 38 c.p.p., in quanto l'atto era stato trasmesso a mezzo posta elettronica certificata. Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione. Con uno dei motivi è stata dedotta la violazione degli artt. 38 e 192, comma 2, c.p.p., lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto che l'istanza di ricusazione non fosse stata promossa con le formalità di legge, sebbene proposta dallo stesso imputato, con l'invio personale di una PEC alla cancelleria della Corte d'appello. La questione L'art. 38, comma 4, c.p.p. prevede che la dichiarazione di ricusazione possa essere proposta personalmente dall'interessato ovvero a mezzo del difensore o di un procuratore speciale. Tale dichiarazione può essere trasmessa a mezzo posta elettronica certificata? Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte ha osservato che, in tema di ricusazione, qualora la relativa causa sia sorta nel corso dell'udienza, la parte ha solo l'onere di formulare la dichiarazione di ricusazione prima del termine dell'udienza, con esplicita riserva di formalizzare tale dichiarazione nel termine di tre giorni, previsto dall'art. 38, comma 2, c.p.p., non potendo essere imposto alla parte di abbandonare l'udienza per presentare la dichiarazione di ricusazione, con i relativi documenti, nella cancelleria competente (Cass. pen., sez. un.,26 giugno 2014, n. 36847, Rv. 260096 - 01). Nel caso in esame, l'istanza di ricusazione è stata proposta tempestivamente, essendo stata trasmessa, tramite pec del difensore, alla cancelleria della Corte di appello, entro tre giorni dalla data in cui era sorta la causa, che aveva dato origine alla stessa. L'utilizzo della posta elettronica certificata per il deposito dell'istanza, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di appello, non è contrasto con la previsione di cui all'art. 38 c.p.p. Sebbene il d.lgs. n. 150 del 2022 abbia previsto, quale ordinaria modalità di deposito degli atti penali, ivi comprese le istanze di ricusazione del giudice, l'utilizzo del portale del processo penale telematico ex art. 87, comma 6-ter, del menzionato decreto, l'obbligatorietà di tale disciplina è stata rinviata, per quanto attiene a talune tipologie di atti, tra i quali l'istanza di ricusazione, prima dai d.m. emessi in data 4 e 18 luglio 2023, poi dal d.m. del 29 dicembre 2023 e, da ultimo, dal d.m. n. 206 del 27 dicembre 2024, intitolato "Regolamento concernente modifiche al decreto 29 dicembre 2023, n. 217, in materia di processo penale telematico" (pubblicato sulla G.U. 30.12.2024, n. 304). In particolare, l'art. 1, comma 9, del d.m. 206 del 2024 ha stabilito che «Rimane consentito ai difensori il deposito mediante posta elettronica certificata, come disciplinato dall'articolo 87-bis del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, per tutti i casi in cui il deposito può avere luogo anche con modalità non telematiche». Considerato che, con riferimento agli atti e alle istanze da depositare presso la Corte di appello, il comma 5 dello stesso art. 1 citato ha previsto l'obbligatorietà del deposito tramite modalità telematiche, ai sensi dell'art. 111-bis c.p.p., solo a partire dal 1° gennaio 2027, l'invio dell'istanza di ricusazione da parte del ricorrente poteva avvenire tramite posta elettronica certificata, avvenuto entro tre giorni dalla scoperta del (presunto) motivo di "incompatibilità" (genericamente intesa) del giudicante a decidere della vicenda processuale, sottoposta al suo vaglio, poteva ritenersi corretto. L'istanza di ricusazione, peraltro, può essere proposta personalmente dall'interessato ovvero a mezzo del difensore o di un procuratore speciale. Nel caso di specie, è stata presentata dalla parte personalmente. In tale caso, la sottoscrizione della parte deve essere autenticata dal difensore, il quale deve essere munito di procura speciale. Il giudice, infatti, può essere ricusato soltanto dalla parte, per cui è da escludere - salvo il caso del latitante o dell'evaso che per legge sono rappresentati a tutti gli effetti dal difensore - un'autonoma, parallela legittimazione di quest'ultimo, il quale, pur potendo validamente proporre l'atto di ricusazione, deve avere indefettibilmente ricevuto, a tal fine, apposito mandato, anche se non necessariamente nelle forme della procura speciale, ma pur sempre tale da rivelare l'espressa volontà della parte mirante alla ricusazione del giudice (Cass. pen., sez. I, 7 dicembre 1999, n. 6965, dep. 2000, Bruno e altro, Rv. 215234). È esclusa la sufficienza del generico mandato defensionale, il difensore non munito di procura speciale deve essere investito da un mandato specifico (Cass. pen., sez. I, 26 maggio 2009, n. 24099, Bruschi e altro, Rv. 243969). Il difensore, dunque, non è legittimato a proporre la dichiarazione di ricusazione se non quando egli ne abbia ricevuto mandato dalla parte (Cass. pen., sez. un., 5 ottobre 1994, n. 18, dep. 1995, Battaggia, Rv. 199805). Nel caso di specie, la sottoscrizione della dichiarazione di ricusazione presentata dall'imputato non è stata autenticata dal difensore. Non risulta neanche soddisfatto l'onere, in capo al difensore, di munirsi di un mandato specifico del ricusante, che non risulta allegato. La firma digitale del difensore, nello spazio in cui è apposta, riguarda soltanto l'atto trasmesso e non costituisce autenticazione della sottoscrizione del ricusante. L'istanza, pertanto, è stata dichiarata correttamente inammissibile. Osservazioni 1. L'art. 3, comma 9, del d.m. n. 217 del 2023, come modificato dall'art. 1 del d.m. n. 206 del 2024, stabilisce che rimane consentito ai difensori il deposito mediante posta elettronica certificata come disciplinata all'art. 87-bis del d.lgs. n. 150 del 2022 per tutti i casi in cui il deposito può aver luogo anche con modalità non telematiche (di recente, Cass. pen., sez. V, 14 febbraio 2025, n. 7478). Considerato che l'istanza di ricusazione deve essere depositata alla Corte di appello e che, con riferimento agli atti e alle istanze da depositare presso tale ufficio, il comma 5 dello stesso art. 1 del d.m. n. 206 del 2024 ha previsto l'obbligatorietà del deposito tramite modalità telematiche, ai sensi dell'art. 111-bis c.p.p., solo a partire dal 1° gennaio 2027, la Corte di cassazione ha ritenuto che l'invio dell'istanza di ricusazione da parte del ricorrente potesse avvenire tramite posta elettronica certificata. 2. Una istanza inviata a mezzo PEC non necessariamente deve essere sottoscritta con firma digitale dal difensore. Tale sottoscrizione, infatti, non è prevista, a differenza del deposito dell'impugnazione, per l'invio di altri atti a mezzo PEC con valore legale (Cass. pen., sez. VI, 24 gennaio 2023, n. 46791). L'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137 del 2020 e, successivamente, l'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150 del 2022, inoltre, limita la disciplina delle ipotesi di inammissibilità solo a taluni specifici casi relativi al deposito dell'impugnazione. Ne discende che, in assenza di una previsione sanzionatoria, il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nelle norme citate non determina necessariamente l'inammissibilità dell'atto depositato a mezzo PEC, dovendo evitarsi formalismi avulsi dalle esigenze di certezza cui la normativa tecnica è preordinata (Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 2023, n. 12986). In linea con la giurisprudenza europea (Corte Edu 9 giugno 2022, Xavier Lucas c. Francia; Corte Edu 28 ottobre 2021, Succi c. Italia), invero, il diritto ad accedere al processo deve essere concreto ed effettivo: tanto impone alle autorità interne di evitare eccessi di formalismo capaci di tradursi in un sostanziale diniego di giustizia. Va privilegiato, pertanto, «un approccio che ripudia un rigido formalismo, e che risponde alla necessaria verifica della tutela dei valori che le prescrizioni formali introdotte intendono presidiare» (Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 2023, n. 12986). 3. Secondo l'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, inoltre, «il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati 3 e pubblicato sul Portale dei servizi telematici». Al riguardo, deve escludersi, in forza della specifica previsione normativa citata, che l'atto inviato a un indirizzo diverso da quello indicato nel richiamato provvedimento sia idoneo a sostituire il deposito previsto dall'art. 121 c.p.p. (Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2023, n. 28757). In mancanza della previsione di una specifica causa di inammissibilità – invero prevista dall'art. 87-bis, comma 7, lett. b), solo per l'impugnazione, quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui al comma 1 - l'eventuale invio ad un indirizzo diverso, tuttavia, non determina l'applicazione di tale sanzione processuale, essendo possibile che la parte provi l'avvenuta conoscenza da parte dell'autorità giudiziaria destinataria dell'atto. Secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, infatti, l'invio di una istanza a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo di posta elettronica ordinaria dell'ufficio di cancelleria del giudice procedente comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi dell'omesso esame della stessa, di accertarsi della regolare ricezione della e-mail da parte del predetto ufficio (Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 2023, n. 31802; Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2023, n. 28757, cit.). In difetto di valore legale del deposito effettuato dal difensore mediante l'invio tramite PEC a un indirizzo non compreso in quello determinato dal provvedimento del direttore generale sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia in data 9 novembre 2020, emanato ai sensi dell'art. 24, comma 4, del d.l. n. 137, del 28 ottobre 2020, spetta alla parte che intende valersi dell'atto fornire la prova della effettiva conoscenza, in capo al giudice, dell'istanza che è stata avanzata in modo irregolare (Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 2023, n. 31802; Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2023, n. 28757). Neppure il mancato rispetto delle specifiche tecniche fissate nel provvedimento DGSIA comporta l'inammissibilità dell'istanza inviata a mezzo PEC. Come si vedrà meglio nel prosieguo, per esempio, secondo un indirizzo giurisprudenziale, non è inammissibile l'istanza di trattazione orale trasmessa a mezzo PEC, inviando in allegato un documento word e non un documento in formato PDF. Infatti, «in assenza di una previsione sanzionatoria e non ricorrendo, nel caso concreto, esigenze di immodificabilità del contenuto della richiesta, peraltro esplicitato nell'oggetto del messaggio di posta elettronica, la ritenuta inammissibilità della richiesta stessa finisce per tradursi in un formalismo del tutto avulso dalle esigenze di certezza cui la normativa tecnica è preordinata» (Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 2022, n. 700, dep. 2023). 4. L'art. 3, comma 9, del decreto ministeriale n. 217 del 2023, come modificato dall'art. 1 del d.m. n. 206 del 2024, nondimeno, consente “ai difensori” il deposito mediante posta elettronica certificata come disciplinata all'art. 87-bis del decreto legislativo n. 150 del 2022 per tutti i casi in cui il deposito può aver luogo anche con modalità non telematiche. La norma limita espressamente al difensore l'utilizzo della PEC, escludendone l'uso da parte dei privati. 5. La dichiarazione di ricusazione, tuttavia, può essere proposta personalmente dall'interessato, oltre che presentata a mezzo del difensore o di un procuratore (art. 38 c.p.p.). Ciò non significa che l'interessato possa depositare personalmente l'istanza di ricusazione a mezzo PEC, in quando, come si è visto, l'utilizzo dello strumento telematico è riservato ai difensori. La Corte di cassazione, pertanto, ha ritenuto inammissibile l'istanza di ricusazione proposta dall'interessato a mezzo PEC (Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2025, n. 31245). La Corte ha precisato che la dichiarazione contenente l'indicazione dei motivi e delle prove deve essere proposta con atto scritto ed essere presentata assieme ai documenti nella cancelleria del giudice competente a decidere (art. 38, comma 3, c.p.p.). Al contrario, «non vi è norma di legge primaria, ne disciplina integrativa di natura secondaria … che … prevedesse espressamente la facoltà del privato cittadino di presentare validamente, ai sensi e nel rispetto dell'art. 38, comma 3, c.p.p., una istanza di ricusazione presso il giudice competente a decidere attraverso il suo personale indirizzo di posta elettronica certificata» (Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2025, n. 31245). 6. Con la pronuncia in esame, la Corte ha aggiunto che l'istanza di ricusazione può essere presentata personalmente dalla parte tramite il proprio difensore. In questo caso, il difensore può utilizzare la PEC per il deposito dell'atto. L'istanza, peraltro, deve essere sottoscritta dalla parte ed il difensore deve autenticare la sottoscrizione dell'interessato. La firma digitale eventualmente posta dal difensore in calce alla PEC non equivale alla autenticazione della sottoscrizione, ove non ricorrano specifiche indicazioni in tal senso. Il difensore, inoltre, deve essere munito di specifico mandato per la presentazione di un atto che proviene direttamente dal suo assistito. Il difensore, dunque, non è legittimato a proporre la dichiarazione di ricusazione se non quando egli ne abbia ricevuto mandato dalla parte (Cass. pen., sez. un., 5 ottobre 1994, n. 18, dep. 1995, Battaggia, Rv. 199805). |