Può il giudice d’appello applicare d’ufficio la pena sostitutiva ex art. 20-bis c.p.?
05 Settembre 2025
Massima In assenza di una specifica e motivata richiesta nell'atto d'appello, il giudice non può disporre d'ufficio la sostituzione della pena detentiva con le pene previste dall'art. 20-bis c.p., poiché tale sostituzione non rientra tra i benefici eccezionalmente esaminabili exart. 597, comma 5, c.p.p. Il caso La Corte d'appello de L'Aquila confermava la responsabilità di un imputato per la rapina aggravata a lui contestata, irrogandogli una pena pari a anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro settecento di multa. Contro la sentenza veniva proposto dal difensore ricorso per cassazione: fra i motivi proposti si deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione per non avere il giudice di secondo grado accolto, con motivazione apparente, la richiesta di applicazione delle pene sostitutive, senza, peraltro, tenere conto della attuale situazione del ricorrente e senza effettuare alcuna prognosi in ordine alla possibile ricaduta nel delitto. Le ragioni del ricorso sono state ribadite con memoria del 7 maggio 2025. La questione La Suprema Corte è chiamata a decidere se il giudice d'appello può disporre la sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive previste dall'art. 20-bis c.p. ex officio. Le soluzioni giuridiche Il Supremo Consesso ha dichiarato il dedotto motivo infondato aderendo a quell'indirizzo secondo il quale, in materia di richieste di sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive previste dall'art. 20-bis c.p. il giudice di appello non può disporre la sostituzione ex officio nel caso in cui, nell'atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall'art. 597, comma 5, c.p.p. che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell'appello (Cass. pen., sez. II, 25 marzo 2025, n. 14168). Il Collegio riafferma che il giudice d'appello non può disporre la sostituzione ex officio nel caso in cui, nell'atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall'art. 597, comma 5, c.p.p., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell'appello (Cass. pen., sez. II, 25 marzo 2025, n. 14168, omissis, Rv. 287820 – 01). Peraltro, si osserva, nel caso in esame la applicazione delle pene sostitutive è stata chiesta solo con i motivi aggiunti (dunque tardivamente) ed in modo generico. La Corte di appello, che ha comunque valutato la richiesta, ha escluso la possibilità della sostituzione (facendo riferimento, peraltro, al solo lavoro di pubblica utilità e non alle altre sanzioni) sulla base della ritenuta inidoneità della invocata sostituzione alla rieducazione dell'imputato: si tratta di una motivazione che non si presta a censure che offre una giustificazione al diniego del beneficio richiesto del tutto coerente con la genericità della richiesta (peraltro tardivamente proposta). Osservazioni Con una sentenza a numero, la Cassazione ha, dunque, dichiarato che il giudice d'appello non può applicare l'ufficio le pene sostitutive. Va detto che nel caso oggetto del ricorso seppur la difesa avrebbe presentato motivi aggiunti non nuovi, generici e tardivi, il giudice d'appello avrebbe comunque considerato l'applicabilità di alcune e non di tutte le sanzioni sostitutive. La conclusione è rafforzata, secondo la Cassazione, da quanto precisato dall'articolo 597 c.p.p., dove non è prevista l'applicazione delle pene sostitutive. L'articolo 597 c.p.p. dichiara infatti che, «L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. 2. Quando appellante è il pubblico ministero: a) se l'appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge; b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata; c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza. 3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado. 4. In ogni caso, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita. 5. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 c.p.». Invero, senza entrare nel merito del caso di specie, anche alla luce dei citati elementi, è il tema oggetto della decisione a rivestire un estremo interesse. Come è noto, l'articolo 554-bis c.p.p., introdotto dalla riforma Cartabia, prevedeva che Il fulcro della disciplina processuale relativa all'applicazione delle pene sostitutive è dato dall'art. 545-bis c.p.p.: la nuova previsione accogliendo una procedura decisionale bifasica ispirata ai paesi di common law (ma non del tutto estranea al nostro sistema processulpenalistico, si veda l'art. 33 d.lgs. n. 274/2000 per l'applicazione dei LPU da parte del Gdp), consente al Giudice della cognizione di giungere all'accertamento della responsabilità penale e soltanto all'esito valutare se sia possibile sostituire la pena detentiva della reclusione o dell'arresto con una pena sostitutiva. Più nel dettaglio, l'art. 545-bis c.p.p. prevedeva che, dopo l'applicazione di una pena detentiva non superiore a quattro anni (complessivi, tenuto conto degli aumenti e delle diminuzioni per le aggravanti, dell'aumento per la continuazione o per il cumulo giuridico, o della diminuzione per il rito), se non è stata disposta la sospensione condizionale della pena e ricorrono le condizioni soggettive ed oggettive per applicare una pena sostitutiva (artt. 53, 57, 58 e 61-bis) ne dà avviso alle parti. L'imputato personalmente o il difensore munito di procura speciale può acconsentire e il giudice, dopo aver sentito il P.M. e se non è possibile decidere subito, fissa una nuova udienza entro 60 gg dandone avviso alle parti e all'UEPE. Lo stesso art. 545-bis c.p.p. disponeva che il giudice avvisa le parti della possibilità di sostituire la pena detentiva irrogata “subito dopo la lettura del dispositivo”: la soluzione si pone in linea con la finalità complessiva della riforma volta ad accelerare e snellire il rito. Il comma 2 dell'art. 545-bis c.p.p. consente al giudice, nel momento in cui sospende il processo, di acquisire dall'UEPE e nel caso anche dalla P.G. (si pensi soprattutto all'aspetto relativo alla tutela della persona offesa) tutte le informazioni necessarie sulle condizioni di vita, salute, familiari, economiche e patrimoniali del condannato. Il giudice, altresì, richiede all'UEPE l'elaborazione del programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del LLPPUU con la relativa disponibilità dell'ente. Se sostituiva la pena detentiva con una pena sostituiva, integra il dispositivo, altrimenti, confermava il precedente dispositivo di condanna. Con il d.lgs. n. 31/2024 la disciplina applicativa delle pene sostitutive delineata è stata, tuttavia, modificata e attualmente la norma richiamata dispone che «Il giudice, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Quando non è possibile decidere immediatamente, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, sentite le parti, acquisito, ove necessario, il consenso dell'imputato, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti e provvede ai sensi del comma 3, ultimo periodo. Se deve procedere agli ulteriori accertamenti indicati al comma 2, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso. Al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva ai sensi dell'articolo 58 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall'ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell'imputato. Il giudice può richiedere, altresì, all'ufficio di esecuzione penale esterna, il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell'ente. Agli stessi fini, il giudice può acquisire altresì, dai soggetti indicati dall'articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero da gioco d'azzardo e il programma terapeutico, che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi. Le parti possono depositare documentazione all'ufficio di esecuzione penale esterna e, fino a cinque giorni prima dell'udienza, possono presentare memorie in cancelleria. Sembra, quindi, di poter dedurre che, nel condannare, il giudice possa d'ufficio applicare le pene sostitutive. Attualmente, infatti, non vi è più l'obbligo di avvisare e di coinvolgere gli interessati: la dialettica sulla sostituzione è solamente eventuale in quanto il giudice verifica motu proprio se ci sono i presupposti per apprezzare la sostituibilità della pena detentiva breve. Se la valutazione è praticabile e non servono controlli o accertamenti ulteriori, indipendentemente dell'esito positivo o negativo della stessa, il contraddittorio non si attiva. In altri termini, «il ridimensionamento del meccanismo di sentencing nel processo di cognizione» pare rafforzare l'idea che quello in esame sia un potere ufficioso spettante al giudice di primo grado e d'appello ex art. 593 c.p.p. In ogni caso, ciò non esclude che la difesa possa chiedere l'applicazione e il giudice possa pronunciarsi sul punto. Tutto ciò inevitabilmente finisce per incidere sul giudizio di secondo grado. È evidente che, in caso di richiesta di rigetto, ovvero in una decisione non condivisa della difesa, la decisione appellata imponga il giudice di pronunciarsi in materia e che successivamente la decisione sia ricorribile in cassazione. Nell'eventualità in cui l'imputato abbia impugnato la sentenza in relazione alla pena, si prospettano due situazioni: se vi è stata una richiesta di pena sostitutiva il giudice dovrà pronunciarsi nel merito della domanda; nel caso in cui non ci sia stata nessuna domanda, ma il punto pena ex articolo 543 c.p.p. sia stato impugnato, il giudice d'appello nel pronunciarsi potrà, ricorrendo nei presupposti, applicare la pena sostitutiva, in quanto ciò previsto nell'art. 545-bis c.p.p. In vero, l'articolo 597 c.p.p., relativo ai poteri d'ufficio, che non richiama l'applicazione della pena sostitutiva, ma quel vulnus è superato da quanto in generale previsto dal potere del giudice di applicare la pena, come emerge sia in caso di appello del pubblico ministero, sia in caso di appello dell'imputato, e ancor più in relazione a quanto disposto dal divieto della reformatio in peius. |