Superminimo, uso aziendale e limiti all’assorbimento: la Cassazione ribadisce il vincolo della prassi consolidata

18 Agosto 2025

Con l’ordinanza n. 16171/2025, la Corte di Cassazione si pronuncia in tema di assorbibilità del superminimo individuale alla luce dell’uso aziendale. La Suprema Corte chiarisce che l’erogazione costante e uniforme di tale emolumento, non assorbito in occasione di plurimi rinnovi contrattuali, è idoneo a generare un uso aziendale vincolante, che ne impedisce la successiva compensazione con aumenti contrattuali. Il datore, per modificare tale prassi, è tenuto a una disdetta formale, nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e trasparenza, motivata da un sopravvenuto e sostanziale mutamento delle circostanze rispetto all’epoca di formazione dell’uso.

Massima

L’erogazione generalizzata, costante e uniforme nel tempo di un superminimo individuale, non assorbito in occasione di plurimi rinnovi contrattuali, integra un uso aziendale idoneo a renderlo non assorbibile, anche in assenza di una pattuizione espressa. Una volta consolidato, tale uso vincola il datore di lavoro, che non può legittimamente modificarlo o revocarlo senza una formale e motivata disdetta, nel rispetto dei principi di correttezza, buona fede e trasparenza e con salvaguardia dei diritti quesiti.

Il caso

La società ricorrente aveva unilateralmente ridotto i superminimi individuali di alcuni dipendenti, assorbendoli a partire da gennaio 2018 mediante compensazione con gli aumenti dei minimi tabellari e con l’Elemento Retributivo Separato (ERS) previsto dall'Accordo di programma del 23 novembre 2017 per il rinnovo del contratto collettivo Telecomunicazioni. I lavoratori hanno contestato tale assorbimento, ottenendo una pronuncia favorevole, sia in primo grado che in appello, con condanna dell’azienda alla ricostituzione della voce retributiva goduta fino al gennaio 2018 e alla restituzione delle somme indebitamente assorbite/trattenute. L’azienda ha quindi proposto ricorso per cassazione, deducendo la legittimità dell’assorbimento del superminimo, l’insussistenza di un uso aziendale e di un comportamento concludente della società idoneo a escludere l’assorbimento degli emolumenti per cui è causa e sostenendo che, per escludere il meccanismo dell’assorbimento, occorre un vero e proprio accordo novativo volto a derogare al principio della generale assorbibilità del superminimo.

La questione

La Corte è chiamata a valutare se una prassi aziendale reiterata e generalizzata- consistente nel mancato assorbimento del superminimo in occasione dei rinnovi contrattuali- sia sufficiente, di per sé, a determinare una modifica in melius del trattamento economico dei lavoratori, oppure se occorra un’espressa manifestazione di volontà derogatoria rispetto al principio della generale assorbibilità del superminimo. Ulteriore profilo d’indagine è se l’uso aziendale possa essere modificato da un successivo accordo peggiorativo per i lavoratori.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel dichiarare infondati i motivi di ricorso, delinea alcuni principi fondamentali in tema di superminimo assorbibile e di rilevanza dell’uso aziendale.

La Corte ribadisce il proprio consolidato orientamento secondo cui l’uso aziendale appartiene al novero delle cosiddette fonti sociali, tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda. L’uso aziendale agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Si forma mediante una prassi uniforme, costante e generale nell’erogazione di determinati trattamenti economici o normativi e ha la capacità di incidere sulle condizioni individuali dei rapporti di lavoro, fino a modificare la natura stessa di alcune voci retributive. In particolare:

  • se il superminimo viene costantemente erogato senza assorbimenti anche in presenza di aumenti contrattuali;
  • e se ciò avviene nei confronti di una generalità di lavoratori (non occasionalmente o per premialità individuale);

Ricorrendo tali condizioni, si cristallizza una consuetudine aziendale che vincola il datore, rendendo la voce non più assorbibile senza una formale e motivata disdetta.

L’ordinanza chiarisce che il datore non può unilateralmente disattendere un uso aziendale consolidato. Non basta, infatti, un cambiamento interno o un mutamento del contesto contrattuale collettivo a giustificare il venir meno del vincolo scaturente dall’uso. Occorre, invece, una formale disdetta da parte del datore di lavoro, giustificata da un sopravvenuto e sostanziale mutamento di circostanze rispetto all’epoca di formazione dell’uso. La disdetta deve essere comunicata in termini chiari e univoci, in modo da essere immediatamente percepibile dalla platea dei lavoratori interessati.

L’assenza di tale disdetta, nel caso di specie, ha determinato l’illegittimità dell’assorbimento, anche se formalmente ancorato a una clausola contrattuale collettiva. Questo punto è rilevante, poiché evidenzia il ruolo protettivo del principio di buona fede e correttezza: l’affidamento maturato dai lavoratori sulla stabilità della voce retributiva va tutelato contro comportamenti unilaterali e imprevisti del datore di lavoro, finalizzati a sottrarsi al vincolo scaturente dall’uso.

La Corte, nella pronuncia in commento, si pone in una prospettiva di bilanciamento tra esigenze datoriali e diritti dei lavoratori:

  • da un lato, riconosce che l’uso aziendale non può vincolare il datore di lavoro sine die;
  • dall’altro lato, stabilisce che la disdetta del datore di lavoro deve essere ispirata ai principi di correttezza e buona fede. Ciò significa che la disdetta deve essere formalizzata, mediante dichiarazione della parte datoriale che ne espliciti le ragioni.

La decisione, dunque, valorizza la dimensione fiduciaria del rapporto di lavoro e attribuisce al comportamento reiterato del datore un effetto giuridicamente vincolante a tutela dell’affidamento dei lavoratori nella deroga in melius del trattamento economico.

Osservazioni

Con l’ordinanza n. 16171/2025, la Suprema Corte chiarisce alcuni principi fondamentali in tema di uso aziendale e superminimo.

Anzitutto, la Corte afferma che il superminimo, sebbene astrattamente assorbibile, può diventare in concreto non assorbibile per effetto di un uso aziendale consolidato, ovvero una prassi costante, generalizzata e uniforme, che si traduce in un diritto acquisito del lavoratore, a prescindere da un’espressa pattuizione.

Una volta formatosi, l’uso aziendale vincola il datore, che non può recedere unilateralmente senza una formale e motivata disdetta, comunicata con chiarezza alla platea dei lavoratori interessati e rispettosa dei principi di correttezza e buona fede. L’eventuale assorbimento, in assenza di tali condizioni, è da ritenersi illegittimo.

La Corte valorizza, inoltre, il legittimo affidamento dei lavoratori sulla stabilità del trattamento economico percepito, escludendo che, ai fini della configurazione dell’uso aziendale, assuma rilievo l’elemento volontaristico, essendo sufficiente il fatto oggettivo della reiterazione costante e generalizzata di un comportamento del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in un trattamento economico o normativo più favorevole.

Sull’irrilevanza dell’elemento volontaristico ai fini della formazione dell’uso aziendale, si segnala una pronuncia di pochi mesi precedente (Cass., 13 gennaio 2025, n. 805) nella quale la Corte aveva espresso un orientamento difforme, sia pur con riferimento a una fattispecie diversa (bonus di fine anno).

In tale pronuncia la Corte aveva stabilito che l'uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, presuppone non già una semplice reiterazione di comportamenti, ma uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto lavorativo, precisando che nella individuazione di tale intento negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell'assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato”.

L’ordinanza in commento rappresenta, dunque, un’evoluzione significativa nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, privilegiando un approccio sostanzialistico fondato sulla tutela dell’affidamento del lavoratore e sull’oggettiva reiterazione della prassi aziendale.

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