L’assegno di mantenimento nella separazione: redditi adeguati al tenore di vita
14 Agosto 2025
Massima La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento in favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio. Il caso Nell'ambito di una separazione giudiziale con addebito in capo al marito, quest'ultimo veniva onerato dell'obbligo di versare un contributo al mantenimento dei figli, oltre al 50% delle spese straordinarie, e un assegno di mantenimento in favore della moglie (€ 600,00). E ciò, in presenza di consistenti patrimoni di entrambi i coniugi. La Corte d'appello di Venezia, tra le altre statuizioni, confermava l'assegno di mantenimento in favore della moglie aumentandolo leggermente (€ 800,00). Nel corso della CTU era emerso come il patrimonio netto delle parti fosse pressoché analogo (€ 2.000.000,00 per la moglie ed € 1.800.000,00 per il marito), ma quello della moglie - investito in beni immobili e in una partecipazione di minoranza in una società immobiliare - non fosse agevolmente liquidabile, mentre la casa di proprietà era adibita ad abitazione principale della medesima. Peraltro, la moglie era priva di reddito da lavoro mentre il marito percepiva annualmente importanti somme (circa € 450.000,00) tali da consentire alla famiglia di mantenere un tenore di vita corrispondente. Il marito proponeva ricorso per Cassazione sulla base del presunto “omesso esame di un fatto decisivo” con il quale individuava tutti quelli che, a suo dire, erano gli elementi che la Corte d'appello non avrebbe adeguatamente valutato e considerato. Il ricorrente lamentava che la moglie fosse titolare di un patrimonio personale, produttivo di un ottimo reddito disponibile, che le consentiva non solo la piena autonomia economica, ma anche di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; faceva rilevare, altresì, come costei godesse di importanti contributi, provenienti dalla famiglia di origine, e non si fosse mai attivata per reperire un'attività lavorativa retribuita confacente alle sue abitudini. La Corte, dopo aver chiarito di non avere il potere di riesaminare e valutare nel merito la causa - ma solo di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito - rigettava il ricorso. La questione Nella separazione, i "redditi adeguati" ai quali va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento in favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono ancora legati al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio? Le soluzioni giuridiche Con la pronuncia in esame la Cassazione ha ribadito che, in mancanza di addebito a carico del coniuge richiedente il contributo economico, i “redditi adeguati” ai quali va rapportato l'assegno di mantenimento sono quelli necessari a conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio. Il ragionamento trae origine da una differenza sostanziale tra la separazione ed il divorzio che consiste nella permanenza del vincolo coniugale. Se con lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio tale legame viene reciso - residuando solo una solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio - con la separazione il vincolo coniugale resta in essere, con tutte le conseguenze sul piano degli obblighi. Dalla separazione deriva, infatti, la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, mentre resta in vita il dovere di assistenza materiale (Cass. n. 4327/2022). Tale dettato è in linea con l'orientamento prevalente sul tema e conferma principi già enunciati in passato per cui la persistenza del vincolo coniugale, nella separazione, comporta il permanere del dovere di assistenza, con la conseguenza che il coniuge economicamente più debole ha diritto a conservare il precedente tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. n. 12196/2017). Osservazioni La pronuncia in esame conferma il principio per il quale, in tema di riconoscimento dell'assegno di mantenimento in sede di separazione, l'inadeguatezza dei redditi propri deve essere parametrata al tenore di vita goduto durante il matrimonio, ribadendo una distinzione essenziale rispetto ai presupposti fondanti l'assegno divorzile. L'art. 156, commi 1 e 2, c.c., stabilisce che: “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato”. Dunque, nella separazione il coniuge economicamente più forte sarà tenuto a versare un contributo mensile di mantenimento, in favore del coniuge più debole, sulla base di due presupposti: la mancanza di responsabilità nella rottura del sodalizio coniugale (mancato addebito al richiedente) e la mancanza di “adeguati redditi propri”, da intendersi come le risorse necessarie a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. E ciò, in virtù del fatto che è ancora attuale (nella separazione) il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione. La norma conserva in sé la originaria visione del legislatore, il quale ha concepito la separazione come una fase transitoria, di passaggio dal matrimonio alla cessazione del coniugio, necessariamente destinata a trasformarsi ed essere assorbita nel divorzio oppure, talvolta, ad annullarsi nella ricomposizione del legame coniugale. In tema di divorzio, invece, lo scioglimento del matrimonio in via definitiva fa sì che l'assegno divorzile sia svincolato anche dagli eventuali obblighi di mantenimento previsti nella separazione. L'art. 5 comma 6 della legge sul divorzio (l. 898/1970 come modificata dalla l. n. 74/1987) statuisce, infatti, che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il tribunale disponga l'obbligo per un coniuge di corrispondere periodicamente, a favore dell'altro, un contributo economico qualora quest'ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, tenendo in considerazione le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare nonché alla formazione patrimoniale (individuale o comune), il reddito di entrambi e la durata del matrimonio. In passato la Cassazione a Sezioni Unite aveva fornito un'interpretazione della predetta norma del tutto sovrapponibile a quella operante nella separazione (art. 156 c.c.), affermando che il presupposto per il riconoscimento dell'assegno divorzile fosse costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio (Cass. nn. 11490/1990 e 11492/1990). Successivamente, nel 2017, talune note pronunce (Cass. n. 11504/2017 – cd. Sent. Grilli) avevano portato la riflessione sul tema dell'autoresponsabilità economica di ciascun ex coniuge, quale persona singola inserita in un determinato contesto storico e sociale, considerando dirimente, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica del coniuge richiedente. In sostanza, se il coniuge che lo richiedeva aveva raggiunto una indipendenza economica, a prescindere da qualsiasi raffronto con la situazione economica dell'altro, il diritto all'assegno divorzile veniva meno così da evitare “una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. Tuttavia, anche tale visione presentava talune criticità atteso che il requisito dell'indipendenza economica rischiava di violare il diritto di quanti avevano sacrificato le proprie ambizioni lavorative e professionali per avere cura della famiglia. Con un intervento dirimente, la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. n. 18287/2018) ha chiarito la natura composita dell'assegno divorzile che svolge una funzione assistenziale e, nel contempo, compensativa e perequativa; pertanto, per l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici dell'ex istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, sarà necessaria una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione di tutti i criteri equiordinati di cui al dato normativo, essendo questi i parametri per decidere sia sull'attribuzione sia sulla quantificazione. La nuova funzione composita dell'assegno divorzile comporta che si debba tener conto, dunque, non soltanto del raggiungimento di un grado di autosufficienza economica, ma in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare, alla luce delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente. In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la natura perequativo-compensativa “discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex-coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. civ. sez. I, n. 17098/2019). In forza di tale orientamento, che ha rappresentato un cambio di rotta fondamentale sul tema dell'assegno divorzile, non sono mancate pronunce della Cassazione che hanno uniformato la separazione al divorzio, stabilendo che, anche dopo la separazione, la funzione dell'assegno “non è più quella di realizzare un tendenziale ripristino del tenore di vita goduto da entrambi i coniugi nel corso del matrimonio, ma invece quella di assicurare un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare” (Cass. civ. sez. VI n. 16405/2019; Cass. civ. n. 26084/2019). Secondo tali pronunce, nella determinazione dell'assegno di mantenimento per il coniuge richiedente, sia nella separazione che nel divorzio, occorre fare riferimento agli stessi principi dettati dalle S.U. nel 2018, senza alcuna distinzione tra le due fasi ed eliminando definitivamente il criterio del tenore di vita. Come emerge dall'analisi della pronuncia qui esaminata, tuttavia, la Giurisprudenza prevalente sul punto è ancora orientata, sulla base di una differenza normativa sostanziale tra i due istituti, a richiamare il “tenore di vita” come criterio cardine per la determinazione dell'assegno di mantenimento nella separazione; criterio divenuto ormai del tutto irrilevante, invece, per l'attribuzione dell'assegno divorzile. |