Autonomia (presunta) del procedimento di prevenzione
21 Agosto 2025
Massima Il giudice della prevenzione è tenuto ad utilizzare gli elementi costituiti dai precedenti o dalle pendenze giudiziarie del proposto, con il preciso onere di sottoporre i relativi fatti, ivi compresi quelli che hanno dato luogo a pronunce assolutorie, a nuova ed autonoma valutazione, dando atto delle ragioni in virtù delle quali da tali fatti si ritiene di dovere desumere elementi sintomatici per un giudizio di pericolosità sociale. Il caso La Corte di appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione (Cass. pen., sez. I, 13 giugno 2023, n. 50828) del precedente decreto dell'8 novembre 2022, rigettava l'appello proposto nell'interesse dei proposti avverso il decreto del 21 marzo 2022 adottato dal Tribunale di Roma, che aveva applicato loro la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre (ridotta ad un anno) e relative prescrizioni, affermando ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. c), la pericolosità sociale dei due soggetti, ritenuti abitualmente dediti a traffici delittuosi. La questione La difesa dei proposti proponeva ricorso per cassazione con atto unitario, articolato in due motivi di impugnazione. Con il primo motivo la difesa lamentava violazione di legge in relazione al d.lgs. n. 159 del 2011, art. 1 e vizi di motivazione, affermando che la Corte di appello sarebbe incorsa nelle medesime carenze motivazionali censurate dal giudice di legittimità per ciò che concerne l'attualità della pericolosità. I ricorrenti lamentavano l'omessa valutazione del requisito dell'attualità della pericolosità tenuto conto del tempo trascorso dalla richiesta della misura di prevenzione ad oggi. Con il secondo motivo di ricorso la difesa censurava la motivazione del provvedimento impugnato, in quanto il giudice di appello avrebbe trattato congiuntamente le posizioni dei due ricorrenti, come se fossero un'unica persona, cioè senza operare le necessarie distinzioni in ordine all'applicazione della misura adottata. Con requisitoria scritta del 21.10.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Con note conclusive depositate il 31 ottobre 2024, i difensori dei ricorrenti insistevano per l'assenza dell'attualità della pericolosità, in assenza di elementi concreti per trarre la relativa prova, oltre che per la mancata differenziazione da parte della Corte di appello delle rispettive posizioni. Le soluzioni giuridiche Uno dei due ricorsi ha ottenuto parziale accoglimento: nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice ad quem per rispettare il principio di diritto è tenuto a motivare adeguatamente ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente (ex ceteris, Cass. pen., sez. II, 6 novembre 2020, n. 37407, PMT in proc. Tamburrino Rv. 280660). Nella fattispecie in esame, la pronuncia rescindente aveva annullato il decreto ponendo in rilievo l'inadeguatezza della motivazione dello stesso rispetto all'attualità della pericolosità sociale del proposto. Tale decisione aveva evidenziato l'esigenza che il giudice del rinvio fornisse argomentazioni idonee a giustificare la persistenza della pericolosità sociale del proposto, alla stregua del criterio di attualità. È richiesto un maggiore sforzo motivazionale proprio laddove emerga ictu oculi una discrasia temporale tra la realizzazione delle condotte illecite e l'applicazione della misura di prevenzione di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. c). A fronte di queste puntuali indicazioni della decisione di annullamento, il giudice del rinvio ha compiuto, ad avviso della suprema Corte, solo formalmente una valutazione del requisito dell'attualità della pericolosità sociale del proposto, in quanto le condotte illecite realizzate, opportunamente ritenute sintomatiche di una tendenziale dedizione ad attività illecite, si collocano in un arco temporale lontano rispetto al momento dell'applicazione della misura di prevenzione personale (circa due anni), basata sulla pericolosità prevista dall'art. 1, lett. c) del d.lgs. n. 159 del 2011. Il giudice di merito ha richiamato condanne e decreti che dispongono il giudizio per reati contro il patrimonio quali estorsione, rapina, sequestro di persona, lesioni aggravate, furto, danneggiamento, violazioni edilizie, violazione fiscali, comprese in un arco temporale compreso tra il 1° gennaio 2016 ed il 21 agosto 2020. In ossequio a tali indicazioni, il giudice del merito, a seguito dell'annullamento, dovrà valutare se la pericolosità sociale del proposto persista, alla stregua del criterio di attualità. Viceversa, l'altro ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto costituisce ius receptum nella giurisprudenza della Corte di legittimità il principio secondo cui nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento. Siffatto principio, enunciato con riferimento alla disciplina previgente rispetto al d.lgs. n. 159 del 2011, è valido tuttora, in quanto l'art. 10, comma 3, di tale decreto, pure richiamato dall'art. 27, comma 2, per le misure reali, prevede espressamente che il ricorso in cassazione avverso il decreto della Corte di appello può essere presentato solo per violazione di legge. Ciò esclude che nel giudizio di legittimità possano essere dedotti meri vizi della motivazione, che si traducano in forme di illogicità ovvero in una diversa interpretazione degli elementi dimostrativi, valutati dai giudici di merito. Di contro, sono rilevanti solo quei vizi che concretizzino una ipotesi di motivazione del tutto assente ovvero apparente, intesa quest'ultima come motivazione "del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l'iter logico seguito dal giudice di merito", trattandosi di vizio che sostanzia una "inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali" (così, tra le tante, Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2014, n. 33451, Repaci, Rv. 260246). Le censure del proposto hanno investito sostanzialmente la motivazione del provvedimento impugnato, senza che possa rilevarsi alcuna carenza motivazionale giacché i giudici di appello hanno indicato analiticamente i precisi dati fattuali da cui desumere l'appartenenza del ricorrente alla categoria dei soggetti pericolosi ex art. 1, lett. c), d.lgs. n. 159 del 2011 che mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, destinatario della misura di prevenzione, ad avviso dei giudici di legittimità, la Corte di appello ha ampiamente motivato sia quanto alla ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura applicata, che quanto alla puntuale determinazione del requisito della pericolosità, in considerazione della sua delimitazione temporale, avendo motivatamente ritenuto la ricorrenza della pericolosità sociale sulla base di numerosi elementi di riscontro, affrontando specificamente le doglianze difensive su ogni punto dedotto plurime condanne e non per reati contro il patrimonio quali estorsione, truffa, usura, decreti che dispongono il giudizio per il delitti di rapina, sequestro di persona e lesioni, in un arco temporale che arriva al 30 novembre 2020, con la precisazione che nei suoi confronti è stata eseguita la pena, giusto decreto del 16 febbraio 2023 del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cassino (v. p. 11 del provvedimento impugnato). La Corte di appello ha anche vagliato il requisito della attualità della pericolosità sociale posto che in tema di misure di prevenzione personali, la valutazione del requisito di attualità della pericolosità sociale deve essere effettuata per tutte le categorie dei soggetti indicati nell'art. 4 del d.lgs. n. 159 del 2011, che possono essere assoggettati a misure di prevenzione personali, con la conseguenza che, non essendo ammissibile una(- presunzione di pericolosità derivante esclusivamente dall'esito di un procedimento penale, è onere del giudice verificare in concreto la persistenza della pericolosità del proposto, specie nel caso in cui sia decorso un apprezzabile periodo di tempo tra l'epoca dell'accertamento in sede penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione (Cass. pen., sez. VI, 11 novembre 2016, n. 50128, Aguì, Rv. 268215). La Corte territoriale, con motivazione valutata logicamente ineccepibile, ha ritenuto attuale la pericolosità del proposto in considerazione della contiguità temporale tra i delitti prima richiamati e l'adozione della misura di prevenzione avvenuta il 21 marzo 2022, nonché della reiterazione di condotte delittuose di particolare allarme sociale in un arco di tempo assai considerevole. Secondo quanto si legge nella sentenza in commento, emerge quindi dalla semplice lettura del provvedimento impugnato che la Corte di appello ha svolto un attento giudizio sulla pericolosità sociale del prevenuto valorizzando i suoi precedenti penali, unitamente ad altri elementi acquisiti nel procedimento di prevenzione e rappresentati dalle intercettazioni, e dai verbali di udienza, valutandoli congiuntamente in una prospettiva diversa rispetto a quella a cui è rivolto il processo penale e pervenendo, all'esito, alla formulazione del giudizio di pericolosità sociale. Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici, in primo e secondo grado, sono state valutate pienamente conformi all'orientamento costante della Corte di legittimità, che ha teorizzato l'autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale; in tal senso il giudice della prevenzione è tenuto ad utilizzare gli elementi costituiti dai precedenti o dalle pendenze giudiziarie del proposto, con il preciso onere di sottoporre i relativi fatti, ivi compresi quelli che hanno dato luogo a pronunce assolutorie, a nuova ed autonoma valutazione, dando atto delle ragioni in virtù delle quali da tali fatti si ritiene di dovere desumere elementi sintomatici per un giudizio di pericolosità sociale (Cass. pen., sez. V, 8 ottobre 2019, n. 48090, Ruggeri, Rv. 277908; Cass. pen., sez. II, 25 gennaio 2023, n. 15704, Ruffini, Rv. 284488). Osservazioni Apparentemente verrebbe da dire, ricordando il titolo di un celebre romanzo di Leonardo Sciascia, Una storia semplice: il giudice della prevenzione è tenuto ad utilizzare gli elementi costituiti dai precedenti o dalle pendenze giudiziarie del proposto, con il preciso onere di sottoporre i relativi fatti, ivi compresi quelli che hanno dato luogo a pronunce assolutorie, a nuova ed autonoma valutazione, dando atto delle ragioni in virtù delle quali da tali fatti si ritiene di dovere desumere elementi sintomatici per un giudizio di pericolosità sociale. Occorre però domandarsi se questa conclusione trovi riscontri nel diritto positivo. A parere di chi scrive tale conclusione si pone in contrasto con le norme del d.lgs. n. 159 del 2011 che all'art. 29,Indipendenza dall'esercizio dell'azione penale, si limita a prevedere che l'azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale, dopo aver enunciato all'art. 28, Revocazione della confisca, che la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta, b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca. L'art. 12 delle preleggi, Interpretazione della legge, dispone che nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Ed aggiunge che «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato». Ad avviso di scrive l'applicazione della sopra ricordata norma del codice civile in alcun caso consente la ricostruzione operata dal giudice di legittimità, dovendosi viceversa optare per la prevalenza della decisione assunta in sede penale. I motivi di tale valutazione sono per altro esposti, in maniera assai più autorevole di quanto possa fare lo scrivente, in altra coeva sentenza del Supremo collegio, Cass. pen., sez. VI, 30 ottobre 2024, n. 45280, secondo cui «deve darsi continuità all'orientamento secondo cui il giudice della prevenzione, in sede di verifica della pericolosità generica del soggetto proposto per l'applicazione di misura ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non può ritenere rilevanti, in base al principio della "valutazione autonoma", fatti per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di assoluzione. Preme riportare la parte motiva della sentenza: tale soluzione interpretativa appare vieppiù condivisibile perché in linea con il principio della presunzione di innocenza, direttamente desumibile dall'art. 6 par. 2 CEDU. La Corte Edu ha affermato in plurime sentenze che "il principio della presunzione di innocenza sancito dal paragrafo 2 dell'articolo 6 figura fra gli elementi del processo equo richiesto dal paragrafo 1 della stessa disposizione (Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, par. 62, serie A n. 168) e che esso non si limita a una semplice garanzia procedurale in materia penale. La sua portata è più ampia ed esige che nessun rappresentante dello Stato o di un'autorità pubblica dichiari che una persona è colpevole di un reato prima che la sua colpevolezza sia stata accertata da un Tribunale (Allenet de Ribemont c. Francia, 10 febbraio 1995, parr. 35-36, serie A n. 308; Viorel Burzo c. Romania, nn. 75109/01 e 12639/02, par. 156, 30 giugno 2009; Moullet c. Francia (dee.), n. 27521/04, 13 settembre 2007) (Corte Edu, 14 gennaio 2014, Stefanelli c/ Italia)…Ciò premesso, la Corte Edu ha rilevato che allo scopo di garantire effettività al diritto garantito dall'art. 6 par. 2 CEDU occorre "evitare che i soggetti che hanno beneficiato di un'assoluzione o di una sospensione delle imputazioni vengano trattati da pubblici ufficiali o autorità come se fossero effettivamente colpevoli del reato loro imputato (Alien, sopra citata, par. 94)" (par. 84). Invero, ove non si predisponesse tale forma di tutela le garanzie di cui all'art. 6 par. 2 CEDU rischierebbero di diventare puramente teoriche. Il che vale anche una volta concluso il procedimento penale per tutto ciò che attiene alla reputazione dell'interessato e al modo in cui viene percepita dal pubblico. Ritiene la Corte europea che, in una certa misura, la protezione offerta dall'art. 6 par. 2 CEDU può sovrapporsi a quella offerta dall'art. 8 CEDU e si richiama, sul punto, la precedente giurisprudenza europea: si veda, ad esempio, Zollman c. Regno Unito (dee.), n. 62902/00, CEDU 2003- XII, e Taliadorou e Stylianou c. Cipro, nn.39627/05 e 39631/05, parr. 27 e 56-59, 16 ottobre 2008. In tale ottica, ogniqualvolta si pone la questione dell'applicabilità dell'art. 6 par. 2 nell'ambito di un procedimento successivo, è fondamentale la dimostrazione di un nesso tra il tra il procedimento penale concluso e l'azione giudiziaria susseguente (par. 85), un nesso che può consistere anche nei collegamenti processuali, quale quello di aver esaminato gli atti del fascicolo principale ed avere fondato la decisione successiva proprio sul contenuto di tale decisione. È agevole rilevare, anche alla stregua della interpretazione tassativizzante dell'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 cit. non solo che l'accusa nel procedimento penale e quella nel procedimento di prevenzione si fondano sulla medesima contestazione in fatto, in quanto entrambi i procedimenti presuppongono, in via diretta o indiretta, la responsabilità penale relativa ad un reato ma che, nel caso in cui il proposto sia stato sottoposto a procedimento penale, la "condanna per delitto" costituisce il presupposto stesso dell'applicazione della misura di prevenzione e, applicando lo stabile principio della Corte EDU ne deriva che una volta che una sentenza di assoluzione è diventata definitiva - anche se si trattasse di assoluzione con il beneficio del dubbio - non è solo lesivo del principio di non contraddizione dell'ordinamento assumere un fatto, negato dalla sentenza di assoluzione, come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità ma che è incompatibile con il principio di presunzione di innocenza, come innanzi ricostruito, che decisioni giudiziarie successive disconoscano, deliberatamente, il precedente proscioglimento dell'accusato». La sentenza – Cass. pen., sez. VI, 30 ottobre 2024, n. 45280 – è giunta alla conclusione secondo cui non possono, essere valutate ai fini della riconducibilità del proposto alla categoria tipica di riferimento quelle condotte che il giudice penale nell'esercizio della sua funzione cognitiva ha ritenuto non conformi al tipo o addirittura insussistenti nella loro dimensione fattuale o giuridica, conclusione da cui di discosta la sentenza in commento ignorando non solo la consolidata giurisprudenza della Corte Edu, ma anche il chiaro disposto degli artt. 28 e 29 del d.lgs. n. 159 del 2011 sopra ricordati. |