Espressioni del diritto all’affettività in carcere

19 Agosto 2025

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 3, ord. penit., nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina, né, riguardo all'imputato, ragioni giudiziarie.

Massima

A fronte della sussistenza dei presupposti individuati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 26 gennaio 2024, va ordinato alla Direzione dell'istituto penitenziario di provvedere con la massima urgenza alla predisposizione di spazi idonei allo svolgimento di colloqui intimi fra il detenuto e la persona ad egli legata da uno stabile vincolo affettivo, avendo cura di individuare questi luoghi secondo i parametri di cui alla citata sentenza costituzionale, anche attraverso soluzioni temporanee, in attesa di interventi più strutturati e definitivi.

Il caso

L'ordinanza in commento si iscrive nel dibattito inerente alla tutela della affettività, del detenuto inserito nel circuito Alta Sicurezza (A.S.). L'argomento è di particolare delicatezza perché presuppone il dialogo tra le esigenze di coltivare anche le più intime espressioni dell'affettività e le istanze di particolare rigore contenitivo sottese allo specifico grado di pericolosità sociale del condannato.

In particolare, la vicenda in esame prende le mosse dalla richiesta di un detenuto, inserito nel circuito A.S. a motivo della tipologia dei reati commessi rientranti nel novero dell'art. 4-bis l. 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, di seguito “ord. penit.”), di poter intrattenere colloqui intimi con la moglie, senza il controllo a vista della Polizia Penitenziaria; moglie con cui, peraltro, risultava ammesso regolarmente a colloqui visivi ordinari, non sottoposti a provvedimento di registrazione o di ascolto.

Con provvedimento del 9 aprile 2024, la Casa di reclusione di Parma non accoglieva la richiesta del detenuto, argomentando di essere in attesa di determinazioni da parte degli Uffici Superiori in ordine alle modalità operative in grado di rendere concreto il dictum della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 10/2024. In particolare, presso l'istituto penitenziario non sarebbero ancora stati creati i luoghi dedicati alla fruizione dei colloqui intimi tra la persona detenuta ed il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente.

Da qui il reclamo al Magistrato di Sorveglianza ai sensi degli artt. 35-bis e 69, comma 6 lett. b), ord. penit.

L'impugnazione del provvedimento della Direzione della casa di reclusione si fonda sulla presunta violazione dell'art. 27 Cost. che, per come interpretato dalla Corte costituzionale, si tradurrebbe anche nel divieto di comprimere il diritto di intrattenere colloqui, nel caso di specie di carattere innanzitutto intimo, con la persona legata al condannato da uno stabile vincolo affettivo.

Per verificare la sussistenza dei presupposti utili alla concessione del reclamo, il Magistrato di Sorveglianza avviava l'istruttoria, chiedendo in particolare alla Direzione dell'istituto penitenziario informazioni utili a chiarire: il contegno del recluso all'interno delle mura, l'identificazione della persona con cui il reclamante vorrebbe effettuare colloqui intimi (comprese eventuali indicazioni dell'Autorità giudiziaria impeditivi del contatto tra i due) nonché eventuali iniziative intraprese successivamente alla sentenza n. 10/2024 della Consulta per consentire ai detenuti di fruire di colloqui intimi.

La questione

Le questioni giuridiche sottese alla pronuncia del Tribunale di Sorveglianza di Reggio nell'Emilia sono le seguenti:

  • se la possibilità di utilizzare il tempo del colloquio con il/la partner per rapporti intimi anche di tipo sessuale, nei termini introdotti dalla sentenza costituzionale n. 10/2024, possano essere autorizzati nonostante l'inadeguatezza dei locali attualmente in uso ai singoli istituti di pena;
  • se l'ostatività del titolo di reato incida, oltre che sulla concessione dei benefici penitenziari, anche sulle modalità dei colloqui;
  • se la repressione della sfera sessuale del recluso inserito nel circuito Alta Sicurezza sia necessaria e giustificata in quanto strettamente connessa alle esigenze delle ordinarie regole trattamentali propria del circuito destinato a soggetti di elevata pericolosità sociale.

Le soluzioni giuridiche

Il 26 gennaio 2024 la Corte costituzionale con sentenza n. 10 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 3, ord. penit. (per contrasto con gli artt. 3, 27, comma 3, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU), nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina, né, riguardo all'imputato, ragioni giudiziarie.

È essenzialmente sulla base di questo dictum che il Magistrato di Sorveglianza accoglie, nel caso di specie, il reclamo del detenuto pur inserito nel circuito Alta Sicurezza, dando atto al contempo che il rifiuto espresso dalla Casa di Reclusione si fonda su argomentazioni affatto individualizzate, ossia mancanti di qualunque profilo soggettivo in base al quale il colloquio intimo non possa essere concesso al reclamante. Le criticità organizzative descritte nel corso dell'istruttoria dalla struttura penitenziaria – comunque aggravate dalle drammatiche difficoltà legate al sovraffollamento – non risultano essere state affrontate adeguatamente, atteso che la Direzione afferma di essere in attesa di determinazioni da parte di “Uffici Superiori”.

Sul punto, il Magistrato di Sorveglianza richiama i poteri attribuiti dall'ordinamento penitenziario, ed in particolare dall'art. 69, comma 6, lett. b, ord. penit. che consente la sindacabilità in sede giurisdizionale dei provvedimenti dell'amministrazione contra legem che comportino un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti del detenuto o dell'internato.

Rispetto alla concedibilità dei colloqui intimi, la Corte costituzionale ha precisato che il Direttore dell'istituto ha il compito di verificare sia l'esistenza di eventuali divieti dell'autorità giudiziaria che impediscano i contatti tra il detenuto e l'altra persona interessata, sia il presupposto della sussistenza di uno stabile legame affettivo evincibile dalla pregressa esperienza di convivenza. Occorre, inoltre, verificare che non vi siano ragioni di sicurezza o di mantenimento dell'ordine e della disciplina o, comunque, giudiziarie che siano ostative. Assume, così, particolare rilevanza il comportamento del detenuto e la sua adesione al programma trattamentale proposto.

Ebbene, nel caso che qui ci occupa l'équipe di osservazione descrive il reclamante come un detenuto dalla condotta “assolutamente regolare”, “consapevole del disvalore delle azioni commesse” tanto da aver risolto i problemi di dipendenza e da essersi dissociato dal contesto criminale di origine; infine viene posta attenzione sulla piena adesione all'offerta trattamentale e sullo svolgimento dell'attività lavorativa che consente allo stesso non solo di mantenersi ma anche di versare periodicamente una somma sul fondo per le vittime di reati di mafia.

In questi termini, l'ubicazione del reclamante all'interno del circuito Alta Sicurezza non rappresenta un elemento ostativo all'accoglimento della richiesta di colloqui intimi, atteso che gli unici impedimenti normativi riguardano i reclusi al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit. o al regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis ord. penit.

Per questi motivi, il Magistrato di Sorveglianza di Reggio nell'Emilia ha accolto il reclamo presentato dal detenuto ordinando alla Direzione della Casa di Reclusione di Parma di provvedere ad individuare locali, anche provvisori, utili allo svolgimento del colloquio intimo, con «garanzie minime di riservatezza, e dunque senza controllo da parte del personale di Polizia Penitenziaria, da preservarsi, in ogni caso, per lo svolgimento del colloquio, in attesa di interventi strutturali più significativi e definitivi che, allo stato, non sono ancora stati avviati».

Osservazioni

Come si è già osservato in occasione del contributo pubblicato in questa Rivista relativo all'ordinanza 12 febbraio 2020 del Mag. Sorv. Verona (a cui si rinvia), dietro alla specificità del caso di specie si racchiude un tema quanto mai delicato e, come tale, meritevole di essere posto in luce: l'affettività del detenuto.

Come riconosciuto dalla Consulta, «l'idea che la restrizione della libertà personale possa comportare per conseguenza il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona e dei suoi diritti» (C. cost., 8 febbraio 1999 (dep. 11 febbraio 1999), n. 26).

In questi termini, il volto costituzionale della pena prevede che una sofferenza aggiuntiva al detenuto sia legittima in quanto venga inflitta nella misura minima necessaria e giustificata da esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina, ovvero, nei confronti degli imputati, da fini giudiziari. Nel controllo a vista di tutti i colloqui, disposto indipendentemente da specifiche esigenze di sicurezza, non si ravvisa giustificazione, tanto meno la norma appare rispettosa del principio del “minimo mezzo”.

Così, la sentenza costituzionale n. 10 del 2024 stabilisce che «la prescrizione del controllo a vista sullo svolgimento del colloquio del detenuto con le persone a lui legate da stabile relazione affettiva, in quanto disposta in termini assoluti e inderogabili, si risolve in una compressione sproporzionata e in un sacrificio irragionevole della dignità della persona, quindi in una violazione dell'art. 3 Cost., sempre che, tenuto conto del comportamento del detenuto in carcere, non ricorrano in concreto ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina, né sussistano, rispetto all'imputato, specifiche finalità giudiziarie». Ebbene, con questa sentenza additiva di principio la Consulta rimette all'azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell'amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze, il compito di percorrere un'ulteriore del percorso di svelamento del volto costituzionale della pena. 

Rispetto all'argomento che qui ci occupa, si pensi che in ben 31 dei 47 Stati aderenti al Consiglio d'Europa sono state adottate procedure che consentono visite affettive ai detenuti. Per esempio, in Spagna, la comunità della Catalogna conosce le “visitas intimas”, che implicano lo svolgimento di incontri non sorvegliati due volte al mese, in apposite strutture attrezzate per accogliere familiari e amici; Madrid, invece, si è organizzata con l'istituzione di camere, all'interno dei penitenziari, fornite di servizi, “per le relazioni affettive”. Ancora, in Belgio e in Francia esistono le “Unitès de Vie Familiale” (UVF), appartamenti dove i detenuti possono ricevere partner, familiari e amici per un periodo prolungato di tempo e senza controllo. In Germania, alcuni Lander consentono ai condannati a pene lunghe di incontrare i propri cari in appositi appartamenti. Allo stesso modo, in Norvegia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi, sono disponibili piccoli appartamenti dove i detenuti – senza distinzioni basate sulla posizione giuridica – possono permanere per un'ora senza il controllo a vista del personale preposto alla sorveglianza. In Danimarca sono poi permesse visite settimanali della durata di un'ora e mezza, mentre in Olanda gli incontri possono avvenire in locali appositi o addirittura nelle celle stesse.

D'altra parte, pure in realtà molto difficili e pericolose come le esperienze detentive in Brasile (qui ogni recluso ha diritto, ogni settimana, ad un incontro affettivo di un'ora con chi desidera, indipendentemente da precedenti rapporti di convivenza riconosciuti dallo Stato), India, Israele e Messico le visite intime sono ammesse.
 

Questa analisi comparata della gestione delle esperienze affettive all'interno degli istituti di pena evidenzia ancor di più l'attuale aporia del sistema in base al quale ad oggi in Italia l'intervento del Magistrato di sorveglianza rappresenta la via privilegiata, se non unica, per rendere effettivo il diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024.

Difatti, nonostante le numerosissime richieste e nonostante sia passato più di un anno dalla pubblicazione della sentenza costituzionale, in nessun istituto carcerario è stata svolta una visita intima.

A fine ottobre 2024, il Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza (CONAMS) chiedeva l'attuazione della sentenza della Corte: «il tempo, non breve, ormai decorso dal 31.1.2024 senza che in alcun istituto penitenziario del Paese sia stata data esecuzione alla decisione della Consulta, di per sé dotata di immediata efficacia dalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ci impone, dunque, di porre all'attenzione dell'Amministrazione penitenziaria tale tema, auspicando un pronto adeguamento della stessa ai dettami costituzionali».

Sull'argomento è poi intervenuta anche la Cassazione, sollecitata a seguito di un'ordinanza di inammissibilità pronunciata dal Magistrato di Sorveglianza di Torino, che ha riaffermato la forza e la portata dei principi affermati dalla Consulta: «non può ritenersi che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari, e possono essere negati, secondo l'esplicito dettato della sentenza citata, solo per «ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina», ovvero per il comportamento non corretto dello stesso detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato» (Cass. pen., sez. I, 11 dicembre 2024 (dep. 2 gennaio 2025), n. 8).

Ebbene, con riguardo alle restrizioni all'affettività familiare presupposte dai regimi di cui agli artt. 14-bis e 41-bis ord. penit., anche la Corte EDU ha affermato che l'ingerenza nella vita familiare e privata (art. 8, § 2 CEDU) del detenuto non viola la Convenzione, essendo tali limitazioni proporzionate allo scopo legittimo perseguito dall'art. 41-bis ord. penit., consistente nel «recidere i legami esistenti tra la persona interessata ed il suo ambiente criminale di origine, al fine di ridurre al minimo il rischio di utilizzazione dei contatti personali di tali detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di appartenenza» (Corte EDU, sez. II, 28 settembre 2000, Messina c. Italia, ric. n. 25498/94). Così, il divieto di incontri intimi per i detenuti sottoposti ai regimi differenziati non sembra destare problemi di compatibilità con l'attuale assetto ordinamentale.

Tanto esposto, non si può non tener conto del fatto che, pur in assenza di una organizzazione interna agli istituti che consenta di espletare colloqui intimi, il combinato disposto dell'attuale art. 18, comma 3 primo periodo, per come integrato dal dettato costituzionale, e secondo («I locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio […]») già consente di effettuare colloqui “riservati”, e quindi intimi. Pertanto, l'amministrazione che non vi provveda dovrà considerarsi inottemperante e la persona detenuta potrà esperire ogni rimedio utile al fine di vedere garantito il proprio diritto.

Nel caso di specie, la visita intima potrebbe avvenire nei sessanta giorni indicati dal Magistrato di sorveglianza, anche in locali provvisori. Se così non fosse, qualora l'amministrazione non adempia, la persona detenuta (o il suo difensore munito di procura speciale) potrebbe dover attivare lo strumento del giudizio di ottemperanza di cui al quinto comma dell'art. 35-bis ord. penit.

L'intervento amministrativo e/o legislativo, al fine di rendere praticabile il diritto all'affettività in carcere, si fa dunque quanto mai urgente, anche tenuto conto del clima di tensione che si respira nelle carceri italiane, causato principalmente dal sovraffollamento, dalla carenza del personale e dall'inefficienza dell'assistenza sanitaria intramuraria (E. Banchi). L'uniforme applicazione del diritto all'affettività in carcere nei termini riconosciuti dalla Consulta potrebbe, in questo senso, contribuire a percepire l'esperienza detentiva come un'occasione di riscatto, morale e materiale, in cui la dignità del detenuto è promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità.

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