Unioni civili: alla Consulta la decisione riguardo al riconoscimento della pensione di reversibilità ante Cirinnà
08 Agosto 2025
Massima È rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 36 e 38 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, nella parte in cui, limitando il diritto al coniuge, non consente l’attribuzione della pensione di reversibilità in favore del partner superstite, in caso di decesso, verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, dell’altro componente della coppia omosessuale, nonostante l’avvenuta formalizzazione del vincolo all’estero. Il caso Una coppia aveva contratto matrimonio a New York nel novembre 2013 e l’atto era stato trascritto in Italia come unione civile a inizio ottobre 2016, quando già si era verificata la morte di uno dei partner risalente a poco prima della fine del 2015. Sempre negli Stati Uniti la coppia aveva avuto un figlio, nel 2010, nato da fecondazione assistita e tale nascita era stata registrata in Italia nello stesso anno, con attribuzione della paternità a uno solo dei due uomini. Successivamente al decesso erano stati trascritti, nel maggio 2017, anche la sentenza statunitense del luglio 2016 che aveva accertato la paternità in capo al de cuius, nonché l’atto di nascita del figlio, che era stato aggiornato e che teneva conto del riconoscimento nel frattempo ottenuto in sede giudiziale. Nel luglio 2017, il partner superstite aveva presentato all’INPS domanda di attribuzione della pensione, in relazione alla quale l’istituto previdenziale non aveva adottato alcun provvedimento, nemmeno a seguito del ricorso al Comitato provinciale. A fronte, quindi, di tale “silenzio” il partner superstite decideva di agire in giudizio asserendo che il diniego della prestazione previdenziale integrasse una discriminazione diretta o per associazione per motivo di genere e orientamento sessuale e chiedendo la disapplicazione della normativa italiana, vigente ratione temporis, laddove esclude, in caso di decesso di assicurato INPS, il diritto alla pensione indiretta del superstite dello stesso genere e del figlio minore di coppia omogenitoriale. In primo grado era stato escluso il carattere discriminatorio del diniego, perché motivato non da ragioni di sesso o orientamento sessuale, bensì dalla insussistenza, al momento del decesso del congiunto, dei requisiti richiesti dalla legge, posto che, a quella data, da un lato, l’ordinamento italiano non aveva ancora riconosciuto le unioni civili, dall’altro non risultava accertata la paternità del de cuius. In sede di appello, invece, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dal partner superstite, in proprio e quale esercente la potestà sul figlio minore, la corte di merito aveva dichiarato il diritto degli appellanti alla pensione indiretta in quanto superstiti del de cuius e condannato l’INPS al pagamento dei ratei maturati con decorrenza dal novembre 2015. La vicenda giunta, quindi, in cassazione a seguito del ricorso promosso dall’INPS, con ordinanza interlocutoria del 21 agosto 2024, n. 22992, veniva assegnata alle Sezioni Unite, stante la complessità e la rilevanza delle questioni dibattute. La questione La pensione di reversibilità può essere riconosciuta al partner superstite di una coppia omosessuale unitasi civilmente prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016 (c.d. legge Cirinnà)? Le soluzioni giuridiche La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone un breve digressione in merito all'istituto della pensione di reversibilità e alla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. L'istituto della pensione di reversibilità è tuttora disciplinato dalla sua legge istitutiva, ossia dal richiamato r.d.l. n. 636/1939, il quale, all'art. 13, nel prevedere che nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché per quest'ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all'art. 9, n. 2, lett. a), e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, riconosce il diritto in favore del “coniuge”. La disposizione, quindi, valorizza il rapporto coniugale, il quale non può essere pienamente assimilato alla situazione di convivenza, seppure stabile, e presenta elementi di diversificazione anche rispetto al vincolo che ha fonte nell'unione civile (cfr. sul punto Corte cost., 22 aprile 2024, n. 66 e Cass. civ., sez. un. 27 dicembre 2023, n. 35969). Di conseguenza, in presenza di una norma che fa univoco riferimento al coniuge, non è consentito all'interprete fornirne un'esegesi che ne estenda l'ambito di applicazione anche al convivente more uxorio o al soggetto che risulti parte di un rapporto diverso da quello di coniugio. Solo con la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina della convivenza) il legislatore ha consentito il riconoscimento della pensione di reversibilità anche a favore del superstite dell'unione civile, dettando la disposizione, di carattere generale, contenuta nell'art. 1, comma 20, secondo cui, ferme le eccezioni previste dalla legge medesima: “Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”. Successivamente, poi, con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7, emanato in forza della delega conferita dall'art. 1, comma 28, della sopracitata legge n. 76/2016, è stato anche inserito nel testo della legge 21 maggio 1995, n. 218, l'art. 32-bis che riconosce, nell'ordinamento interno, al matrimonio contratto all'estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso, gli effetti dell'unione civile che, però, in assenza di una disciplina transitoria che si esprima nel senso della retroattività, non possono che operare per il futuro, ossia in relazione a situazioni sorte successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa. Secondo, infatti, il noto principio generale di irretroattività, la nuova norma non può essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si voglia attribuire allo stesso una capacità produttiva di diritti non consentita dalla disciplina vigente ratione temporis. Orbene, nel caso in esame viene in rilievo il diritto alla pensione di reversibilità, il quale sorge al momento del decesso dell'assicurato, che ne costituisce il fatto generatore, con la conseguenza che la spettanza o meno dello stesso va verificata sulla base della normativa vigente alla data di quell'evento. Ciò posto, quindi, secondo le Sezioni Unite non solo l'unica disciplina applicabile è quella che si rinviene nell'art. 13, r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, la quale, per come formulata, non può essere interpretata estendendone l'ambito di operatività anche al superstite della coppia omosessuale, ma neppure si può pervenire al riconoscimento del diritto, qui in discussione, esercitando il potere di disapplicazione della normativa interna, al fine di garantire la primazia del diritto dell'Unione ad efficacia diretta, e, in particolare, della direttiva 2000/78/CE concernente la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nella parte in cui fa divieto di trattamenti discriminatori fondati sull'orientamento sessuale. Pertanto, la questione devoluta alle Sezioni Unite va decisa sulla base della disciplina dettata dall'art. 13, r.d.l. n. 636/1939, nel testo applicabile ratione temporis alla data di decesso dell'assicurato (8 ottobre 2015), che non consentiva di estendere il diritto riservato al coniuge al partner superstite della coppia omoaffettiva che, pur avendo contratto matrimonio all'estero, si trovava all'epoca nella giuridica impossibilità di ottenere nell'ordinamento italiano il riconoscimento degli effetti del vincolo formalmente instaurato, nel rispetto delle regole di altro ordinamento. Tuttavia, sebbene escluso che la normativa interna contrasti con il diritto unionale e convenzionale, a detta delle Sezioni Unite potrebbe profilarsi, però, un contrasto della disciplina applicabile ratione temporis, con gli artt. 2,36 e 38 Cost., in ragione dell'impegno assunto dalla Repubblica di tutelare all'interno delle formazioni sociali i diritti inviolabili della persona e di garantire l'attuazione della dimensione solidaristica che caratterizza lo Stato sociale. Nella fattispecie de qua, infatti, viene in rilievo il diritto alla pensione di reversibilità, ossia un diritto che si colloca nell'alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in quanto partecipa della funzione previdenziale propria del trattamento pensionistico. Un diritto che, quindi, può essere ricondotto nell'alveo di quelli fondamentali, in presenza dei quali diviene recessiva la diversità con la famiglia fondata sul matrimonio, tanto da giustificare, secondo la Suprema Corte, proprio in ragione della natura del diritto del quale si discute, l'intervento da parte della Corte costituzionale finalizzato a rendere omogenea la condizione della coppia omosessuale con quella coniugata, nel caso in cui alla prima sia stato impedito, in ragione della normativa vigente ratione temporis, il riconoscimento del vincolo contratto all'estero. Osservazioni Alla luce di quanto appena ripercorso, un intervento da parte della Consulta è quanto mai necessario in ragione della complessità e della rilevanza delle questioni dibattute, suscettibili di riproporsi in una pluralità di controversie, che investono la disciplina intertemporale dettata dalla legge n. 76 del 2016, la tutela dei figli nati da maternità surrogata e la stessa latitudine della tutela antidiscriminatoria nelle sue interrelazioni con l’attuazione della legge. |