Il diritto del minore a (non) essere ascoltato quando l’audizione è fonte di ansia e turbamento
07 Agosto 2025
Massima Non è incoerente né censurabile in sede di legittimità la pronuncia che, in conformità all’art. 473-bis.4 c.p.c. e ai consolidati orientamenti giurisprudenziali in tema di obbligo di motivazione, rileva che i minori sono stati ascoltati anche nel giudizio di secondo grado, su incarico della Corte d’Appello, sia dai Servizi Sociali sia dalla Curatrice. Il giudice del gravame aggiunge che l’audizione diretta è stata ritenuta sconsigliabile, alla luce della situazione in cui versano i minori: essi, pur avendo iniziato a comprendere la gravità delle condotte del padre, provano ancora affetto nei suoi confronti e faticano a raccontare i fatti del passato, cercando — a modo loro — di non peggiorarne la posizione. In tali condizioni, l’audizione diretta risulterebbe fonte di ulteriore ansia e tensione per i minori. Il caso Il procedimento ha avuto inizio davanti al Tribunale di Bergamo, a seguito della domanda presentata da Tizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con Caia. In tale sede, Tizio aveva richiesto l’affidamento esclusivo dei figli minori con collocamento presso di sé, la revoca dell’assegnazione della casa coniugale a Caia e, subordinatamente, il riconoscimento di un diritto di visita per quest’ultima, previa valutazione della sua idoneità genitoriale mediante consulenza tecnica d’ufficio. Dopo una prima decisione che disponeva un affido super-esclusivo in favore di Caia, la CTU evidenziava in quest’ultima importanti criticità sul piano emotivo e della personalità, suggerendo l’affidamento dei minori ai Servizi Sociali. A seguito del monitoraggio effettuato dall’ente affidatario, che documentava un progressivo peggioramento nel rapporto tra i figli e la madre, veniva disposto l’allontanamento immediato dei minori dalla residenza familiare e il loro inserimento in una struttura comunitaria. Nel corso del procedimento emergeva anche, a carico di Tizio, una diagnosi clinica di disturbo delirante con tratti di grandiosità e persecuzione, inquadrata in una personalità narcisistica. In considerazione di tali elementi, il Tribunale confermava la limitazione della responsabilità genitoriale per entrambi i genitori, mantenendo l’affidamento ai Servizi Sociali e il collocamento dei minori presso la comunità educativa. Tizio impugnava la pronuncia di primo grado e adiva la Corte d’Appello di Brescia la quale, acquisiti aggiornamenti dai Servizi Sociali e ascoltato l’appellante, rigettava l’impugnazione principale proposta dal padre, accogliendo invece l’appello incidentale avanzato dalla madre. Con la nuova pronuncia, Tizio veniva dichiarato decaduto dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anche in ragione della sua condotta, che aveva dato luogo a un procedimento penale per maltrattamenti. Avverso tale decisione Tizio proponeva ricorso per Cassazione. Caia e la Curatrice dei minori resistevano con controricorso. La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili tutti i motivi dedotti; in particolare, quanto alla lamentata omessa audizione dei minori, la Corte ha rilevato che il motivo di ricorso non teneva conto della motivazione data dalla Corte territoriale, e lo ha dunque dichiarato inammissibile. Le soluzioni giuridiche La Corte d'Appello ha evidenziato la particolare gravità della condotta di Tizio, desumendola da tre diverse valutazioni cliniche, eseguite da specialisti indipendenti nell'arco di un triennio (2021–2024). Tutti i professionisti hanno rilevato la presenza di un disturbo psichico non riconosciuto dall'uomo, che, pur non compromettendo la sua capacità di mantenere una vita lavorativa regolare, aveva un impatto significativo e pregiudizievole sul rapporto con i figli. In particolare, il disturbo si manifestava attraverso la costruzione di convinzioni deliranti e ideologiche che avevano condotto il padre a mettere in atto comportamenti manipolatori: egli aveva condizionato profondamente i minori, approfittando della loro età e del legame affettivo per instillare in loro un'immagine distorta e ostile della madre, inducendoli a ribellarsi a lei e convincendoli che volesse loro del male. Nonostante la gravità di tali azioni, Tizio non mostrava alcuna comprensione del disvalore del proprio comportamento, neppure di fronte all'evidenza che proprio tale condotta aveva determinato l'allontanamento dei figli dal nucleo familiare e il successivo inserimento in comunità. I minori avevano progressivamente acquisito consapevolezza del malessere generato dai comportamenti paterni, il che aveva reso possibile, seppur gradualmente, la ripresa dei contatti con la madre. È proprio alla luce di questa complessa e delicata situazione che si colloca la decisione della Corte d'Appello di non procedere all'ascolto diretto dei minori. La doglianza sollevata dinanzi alla Corte di Cassazione sul punto è stata giudicata inammissibile, poiché non si confronta con la motivazione espressa in sentenza. La Corte territoriale aveva infatti chiarito che i minori erano già stati ascoltati, nel secondo grado di giudizio, sia dai Servizi Sociali sia dalla curatrice speciale. Tuttavia, un'audizione diretta è stata ritenuta inopportuna, poiché potenzialmente dannosa per il benessere psicologico dei ragazzi. I giudici hanno rilevato come, pur avendo iniziato a prendere coscienza delle gravi condotte paterne, i minori continuassero a provare affetto per il padre e faticassero a riferire episodi che avrebbero potuto aggravare la sua posizione. In tale quadro, l'audizione diretta avrebbe rappresentato per i ragazzi un'ulteriore fonte di ansia e tensione, e per questo è stata esclusa, in conformità all'art. 473-bis.4 c.p.c., che consente di omettere l'ascolto del minore qualora esso contrasti con il suo interesse. La motivazione della Corte d'Appello si pone in linea con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'ascolto del minore può essere omesso, purché adeguatamente motivato (cfr. Cass. nn. 24626/2023 e 437/2024). Al contrario, il ricorso del padre si è limitato a denunciare l'omesso ascolto come fatto decisivo senza, però, sviluppare una concreta e argomentata valutazione in merito, traducendosi così in una censura meramente assertiva e inammissibile sul piano della legittimità. Osservazioni Il diritto del minore (capace di discernimento) di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano ha solide basi internazionali. L'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea riconosce tale diritto, imponendo che l'opinione sia considerata in relazione all'età e alla maturità. Analogamente, l'art. 12 della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia garantisce al minore la possibilità di esprimersi su ogni questione che lo coinvolga. Nei procedimenti giudiziari, i minori non sono parti formali, poiché non sono titolari di legittimazione processuale secondo la legge. Tuttavia, sono parti sostanziali, in quanto portatori di interessi propri, spesso distinti o contrapposti rispetto a quelli dei genitori. L'ascolto del minore è disciplinato dagli artt. 473-bis.4 e 473-bis.5 c.p.c. Il primo stabilisce che il minore di almeno 12 anni (o anche più giovane, se capace di discernimento) deve essere ascoltato, a pena di nullità, salvo specifiche eccezioni. Il giudice può omettere l'audizione solo con provvedimento motivato, quando questa risulti contraria all'interesse del minore, superflua, fisicamente o psicologicamente impossibile, o se il minore si oppone. L'473-bis.5 c.p.c., invece, regola le modalità dell'ascolto, imponendo garanzie come la registrazione e l'uso di ambienti adeguati. Questa disciplina è in linea con il Regolamento (UE) 1111/2019, che lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire chi ascolta il minore e con quali modalità. L'ascolto è, quindi, un diritto fondamentale, espressione del contraddittorio e del giusto processo, ma non ha carattere assoluto. La giurisprudenza ha chiarito che l'obbligatorietà dell'ascolto può essere derogata solo con motivazione rigorosa e documentata. In particolare, l'audizione è stata ritenuta non necessaria quando le opinioni del minore risultavano già acquisite da relazioni psico-sociali, consulenze tecniche o tramite il Curatore speciale. L'ascolto può inoltre essere omesso se rischia di esporre il minore a ulteriore conflittualità familiare, se gli reca pregiudizio, o se egli manifesta la volontà di non essere ascoltato. Sul punto, in Cass. civ., n. 4561/2025 si evidenzia che “Le novità della Riforma Cartabia rafforzano le tutele, ma non eliminano la discrezionalità del giudice nel decidere caso per caso […] sulla base di una espressa e specifica motivazione, articolata su vari aspetti (manifesta superfluità, ascolto già effettuato da esperti, contrasto con l'interesse dei minori), così come consentito e come ammesso dalla giurisprudenza di questa Corte per derogare ad un adempimento altrimenti ritenuto essenziale ed ineliminabile (v. Cass. 1474/2021, Cass. 1471/2021, Cass. 16569/2021; cfr. Cass. 16410/2020, Cass. 23804/2021, Cass. 9691/2022; Cass. n. 2001/2023).” Questa pronuncia fornisce un'importante interpretazione sui limiti all'ascolto del minore, chiarendo quando tale diritto può essere compresso nel rispetto del suo superiore interesse. In materia di provvedimenti relativi alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l'omessa audizione del minore impone al giudice un obbligo di specifica motivazione. Tale obbligo sussiste non solo nei casi in cui il giudice ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento, ovvero l'ascolto manifestamente superfluo o contrario al suo interesse, ma anche quando si decida di sostituire l'ascolto diretto con quello effettuato nel corso di indagini peritali o affidato a un esperto al di fuori di tali indagini. È quanto avvenuto, peraltro, nel caso di specie. La tutela del minore, nei procedimenti famigliari, si attua attraverso la previsione del suo ascolto. Pertanto, la mancata audizione configura una violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore, qualora non sia accompagnata da una motivazione espressa sull'assenza di capacità di discernimento, idonea a giustificarne l'omissione (cfr. Cass. civ., nn. 12018/2019 e 16410/2020). Sull'obbligo del giudice di fornire una motivazione rigorosa ed esaustiva in caso di omissione dell'ascolto, si veda anche Cass. civ., n. 16569/2021. La questione affrontata dalla sentenza in commento riveste un'importanza significativa, anche in considerazione della frequenza con cui, nei procedimenti familiari, si verifica il coinvolgimento – spesso problematico – dei minori. Ammettere che il giudice possa imporre l'ascolto del minore, a prescindere dalle sue condizioni soggettive, equivarrebbe a trasformare il suo diritto all'ascolto in un obbligo di esprimersi, snaturandone la funzione di garanzia. Tale interpretazione non può essere accolta, soprattutto nei casi in cui emergano elevati fattori di rischio per il benessere psicologico del minore. |