Congedo di paternità e coppie omogenitoriali: un altro sì dalla Corte costituzionale
01 Agosto 2025
Massima È costituzionalmente illegittimo l'art. 27-bis, d.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della l. 8 marzo 2000, n. 53), come inserito dall'art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. 30 giugno 2022, n. 105, recante "Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio", nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile. Il caso Il caso deciso dalla Consulta trae origine da una causa collettiva che Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI (di seguito solo R. L.) ha patrocinato nell'interesse di tutte quelle coppie dello stesso sesso che risultavano genitori nei registri dello stato civile e questo ben prima che la stessa Corte costituzionale si esprimesse circa la legittimità di tali atti. R.L. promuoveva il giudizio exartt. 2 e 3 d.lgs. n. 215/2003, 28 d.lgs. 150/11 e 281-decies e ss. c.p.c. davanti al Tribunale di Bergamo, lamentando la differenza di trattamento riservato alle coppie dello stesso sesso rispetto alle coppie sesso diverso da parte dell'Inps. In particolare R.L. riferiva che il trattamento discriminatorio consisteva nell'adozione da parte dell'ente di previdenza di un sistema informatico che non consentiva alle coppie omogenitoriali, pur essendo riconosciute come tali nei registri dello stato civile, di presentare domanda per gli istituti del congedo di paternità obbligatorio di cui all'art. 27-bis d.lgs. 151/2001, del congedo di paternità alternativo ex art. 28 e ss. d.lgs. 151/2001, entrambi anche in relazione a quanto disposto dagli artt. 26 e 31 d.lgs. 151/2001, del congedo parentale ex art. 32 e ss. D.lgs. 151/2001, dei periodi di riposo exartt. 39 e 40 e ss. d.lgs. 151/2001, delle indennità di maternità exartt. 64 e ss. e 66 e ss. d.lgs. 151/2001. Il Tribunale di Bergamo accoglieva il ricorso di R.L., ritenendo che ci fosse una discriminazione a danno dei genitori dello stesso sesso, e ordinava quindi all'Inps di modificare nel termine di due mesi il proprio sistema informatico di ricezione delle domande amministrative così da rendere possibile alle coppie, che fossero risultate genitori dai registri di stato civile, inserire i loro codici fiscali e ogni altro dato rilevante a prescindere dal sesso, condannando l'Inps anche al pagamento di una somma di € 100,00 per ogni giorno di ritardo. Detta decisione veniva impugnata dall'Inps che chiedeva altresì l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa. La Corte d'Appello di Brescia, una volta disposta la sospensione del provvedimento del Giudice di prime cure, sosteneva tuttavia, che, limitatamente al tema del congedo di paternità richiesto dalla seconda madre nel caso della coppia di donne (ossia della donna che non aveva partorito), di non poter decidere secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, né disapplicando la stessa in favore dell'art. 4 della Direttiva 2019/1158 che prevede il congedo di paternità obbligatorio in favore del secondo genitore equivalente. Con l'ordinanza n. 234 del 04.12.2024 la Corte d'Appello di Brescia trasmetteva quindi gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 bis D.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori nei registri dello stato civile, ciò per contrasto con l'art. 3 Cost. e con l'art. 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 Direttiva 2000/78 e all'art. 4 Direttiva 2019/1158. La questione Posto che nel nostro ordinamento giuridico le famiglie omogenitoriali composte da due madri esistono e sono riconosciute la questione che è stata posta alla Corte costituzionale era la seguente: è legittimo precludere a una delle due madri (quella che non ha partorito, per intenderci) il congedo che viene riconosciuto in una coppia eterosessuale ai padri? Le soluzioni giuridiche Per il Giudice di primo grado la discriminazione in base all’orientamento sessuale era palese in virtù di tre elementi:
Il Tribunale bergamasco aveva quindi accolto il ricorso promosso dall’associazione R.L. e lo aveva fatto richiamando due direttive europee: la Direttiva Congedi (Direttiva 2019/1158/UE) che, riconoscendo la piena parità di trattamento per i genitori dello stesso sesso quando menziona il secondo genitore equivalente, di fatto esplicita il divieto di discriminazione per orientamento sessuale e tutela così i figli nati (o riconosciuti) da coppie omosessuali, nonché la Direttiva 2000/78/CE che vieta la discriminazioni fondate sulle tendenze sessuali per quanto concerne le condizioni di lavoro (poiché i congedi/permessi rientrano necessariamente in tali ipotesi). Difformemente dal Giudice di prime cure, la Corte d’Appello di Brescia aveva ritenuto di non poter decidere secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma perché il tenore letterale inequivocabile dell’art. 27- bis, d.lgs. n. 151/2001, che fa esclusivo riferimento al “padre”, non avrebbe consentito interpretazioni diverse, né aveva ritenuto di poter disapplicare la norma di legge interna in favore dell’art. 4 della Direttiva 2019/1158 che prevede il congedo di paternità obbligatorio in favore del secondo genitore equivalente, ove riconosciuto nell’ordinamento interno. Ad avviso dei giudici della Corte territoriale, solo la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 bis citato, avrebbe permesso, ove ve ne fossero stati presupposti, di rimuovere la discriminazione accertata, al fine di consentire in futuro a tutte le coppie omogenitoriali risultanti dai registri dello stato civile di godere di congedi e permessi ex d.lgs. 151/2001. A tal proposito la Corte territoriale denunciava la violazione di due parametri costituzionali: artt. 3 e 117 Cost.. La violazione del primo parametro si doveva al fatto che nonostante la madre partoriente e la madre d’intenzione fossero equivalenti in termini di assunzione di responsabilità, di condivisione di un progetto di vita familiare, etc., esse ricevevano un trattamento differenziato rispetto ad una coppia etero; la violazione dell’art. 117 Cost. era invece determinato dal contrasto con gli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE, che affermano il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nonché con l'art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, il quale stabilisce che, ove in base all'ordinamento nazionale sia stato riconosciuto un "secondo genitore equivalente", questi ha diritto al congedo obbligatorio di dieci giorni. Con la sentenza n. 115/2025 la Consulta, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata dalla Corte d’Appello, dichiarava infine l’illegittimità costituzionale dell'art. 27-bis d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della l. 8 marzo 2000, n. 53), come inserito dall'art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. 30 giugno 2022, n. 105, recante "Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio", nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile. La decisione della Consulta risponde all'interesse del minore, un elemento ormai centrale nel nostro ordinamento e in quello sovranazionale, ed è in ragione di tale interesse che il diritto al congedo, quale espressione della titolarità genitoriale, va riconosciuto anche alla madre c.d. d’intenzione. Osservazioni La pronuncia della Corte costituzione n. 115/2025 si pone nel solco tracciato dalla precedente sentenza n. 68 del 22.05.2025, con cui la Consulta ha finalmente affermato che il minore nato da una PMA eterologa praticata all'estero da due donne è figlio di entrambe, e rappresenta la giusta conclusione che ci si attendeva dalla vicenda in esame. Il nostro ordinamento giuridico non aveva e per certi versi non ha ancora fatto i conti con il fatto che le famiglie genitoriali esistono, essendo ad oggi tarato su un modello di famiglia rigorosamente eterosessuale. Il Parlamento italiano non è intervenuto – soprattutto dopo la sentenza n. 68/2025 – colmando le lacune normative che non consentono alle coppie dello stesso sesso di esercitare in modo pieno tutti i diritti connessi alla genitorialità, nonché di essere rappresentate correttamente rispetto alla loro formazione familiare. È sufficiente pensare al momento del rilascio della carta di identità elettronica (d'ora in poi solo c.i.e.) dei figli di coppie omogenitoriali per comprendere la trasversalità del problema: il decreto Salvini che nel 2018 ha introdotto per la c.i.e. la dicitura “padre/madre” in luogo di quella prevista per la versione cartacea che riportava la formula più inclusiva “genitori o chi ne fa le veci”, fa sì che, ad oggi, nel caso di coppia di madri, sotto la voce padre venga, per esempio, indicata la madre d'intenzione. L'assenza del diritto al congedo era dunque solo uno dei tanti ostacoli che si frapponevano rispetto all'esercizio della genitorialità nel caso di coppie same sex. La procedura informatica per la presentazione delle domande per i congedi parentali e permessi predisposta dall'Inps rifletteva anch'essa l'impostazione della normativa nazionale in base alla quale solo le coppie di genitori di sesso diverso possono accedere agli istituti exd.lgs. n. 151/2001. Con l'ordinanza sollevata dalla Corte d'Appello di Brescia si è finalmente presentata l'occasione – in mancanza di un intervento spontaneo del nostro legislatore - di concretizzare i diritti connessi alla genitorialità delle famiglie c.d. arcobaleno, in particolare di quelle composte da due donne: essere riconosciute come madri non è sufficiente, se poi solo una delle due ha a disposizione l'istituto del congedo e dei permessi e l'altra no; occorre invece che entrambe possano esercitare tutti i diritti di cui godono le coppie eterosessuali. Le famiglie omoaffettive con due madri esistono da anni nel nostro paese, ma solo negli ultimi dieci hanno iniziato ad essere riconosciute attraverso istituti di vario genere: a seguito di trascrizione di atti di nascita/provvedimenti di adozione stranieri (cfr. Cass. civ. 19599/2016), per adozione ex art. 44 lett. d) l. 184/1983 (Cass. civ. 12962/2016) e, da ultimo, per formazione di atto di nascita in Italia a seguito di PMA eterologa effettuata all'estero (Corte cost. 68/2025). Sono le recenti decisioni delle Corti superiori che, quindi, hanno consentito di ottenere la dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 115/2025; così infatti scrive la Corte costituzionale nella parte riservata ai motivi della decisione : “Gli indicati approdi rendono costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3 Cost., l'esclusione di una delle madri, lavoratrice, dal beneficio del congedo obbligatorio di paternità (art. 27-bis del d. lgs. n. 151 del 2001). Tale esclusione determina un'irragionevole disparità di trattamento rispetto alla situazione in cui il beneficio è riconosciuto al padre lavoratore in coppie composte da genitori di sesso diverso .”. Questo passo importante deriva pertanto da un lungo processo di valorizzazione dell'aspetto funzionale della genitorialità, che resta identico nelle due diverse formazioni, la coppia omosessuale e quella eterosessuale. La scelta del legislatore di non riconoscere il congedo obbligatorio, previsto a favore del padre in una coppia di genitori-lavoratori di sesso diverso, alla madre intenzionale di una coppia omoaffettiva composta da due donne si rivelava pertanto irragionevole. La soluzione adottata dalla Consulta soddisfa, ma non è risolutiva per tutte le coppie same sex. Permangono, per esempio, le difficoltà connesse alla possibilità di usufruire del congedo di paternità obbligatorio da parte della madre d'intenzione nel caso della genitorialità per adozione ex art. 44 lett d) l. 184/1983. Si tratta di un aspetto non certo secondario, considerato che la via dell'adozione in casi particolari non è venuta meno, post sentenza n. 68/2025 della Consulta, potendo ancora essere intrapresa nel caso in cui difettino i presupposti indicati dalla pronuncia della Corte costituzionale per ottenere il riconoscimento alla nascita (ad esempio perché la coppia ha fatto ricorso ad una PMA eterologa in violazione della lex loci o perché ha praticato una fecondazione “fai da te” in Italia). Rispetto all'adozione in casi particolari la madre non partoriente, infatti, diventa legalmente genitore solo con la sentenza passata in giudicato che accoglie la domanda di adozione. Posto che i dieci giorni di congedo obbligatorio dovrebbero essere goduti nel periodo in cui la madre partoriente si astiene dal lavoro e che l'iter di adozione può essere avviato solo dopo la nascita del minore, ecco che vi è – di fatto - l'impossibilità da parte della madre d'intenzione di presentare la domanda di congedo di paternità, dal momento che la sentenza di adozione arriva non prima di qualche mese dal deposito del ricorso ex art. 44 della legge citata. In questo caso la madre adottante, in pendenza dell'iter, dovrebbe poter essere parificata alla madre che è indicata tale nell'atto di nascita, affinché possa esercitare i diritti riconosciuti alla paternità. Il problema della madre adottiva non viene superato nemmeno qualora si invocasse l'art. 26 del d.lgs. 151/2001 che, in forza del richiamo previsto all'art. 27 bis, riconosce al padre il diritto al congedo anche nel caso di affidamento o adozione posto che tale facoltà va esercitata nei primi cinque mesi dall'ingresso del minore nella famiglia. Nel caso di una coppia che abbia fatto ricorso ad una PMA irregolare o ad una fecondazione “fai da te” quel minore di fatto sarà “entrato” nel nucleo familiare sin da principio , ossia sin dalla sua nascita; per questo motivo, se il congedo va usufruito dal genitore adottivo (rectius: dalla madre adottiva) entro i primi cinque mesi dall'ingresso del minore in famiglia, risulterà ugualmente impossibile per la madre d'intenzione che ha avviato l'adozione ex art. 44 – considerate le tempistiche del procedimento di adozione – esercitare tale diritto nei termini indicati. Questo non è che uno dei tanti aspetti che andrebbero normati e che ad oggi non lo sono ancora. Tutti i diritti che sono stati riconosciuti di recente, si devono esclusivamente agli interventi coraggiosi della Corte costituzionale, che, davanti all'inerzia del nostro legislatore, ha dovuto provvedere in sua vece colmando il vuoto di tutela esistente o aprendo possibilità sinora negate (come ad esempio l'accesso alla adozione c.d. piena/legittimante da parte delle persone single), tuttavia questa non può essere la regola ed è quanto mai necessario l'intervento sistemico del Parlamento che prenda definitivamente atto dell'esistenza delle famiglie omogenitoriali, rimuovendo le discriminazioni e favorendo l'esercizio dei diritti connessi alla genitorialità nel superiore interesse dei minori. Riferimenti C. Trapuzzano, Alla madre intenzionale lavoratrice spetta il congedo obbligatorio di paternità, in Quotidiano Giuridico, 25.07.25 C. Trapuzzano, Nato da tecniche di PMA all’estero: stato di figlio anche verso la madre intenzionale, in Quotidiano giuridico, 27.05.25 S. Rossi, Congedi e permessi: i genitori dello stesso sesso hanno diritto alla tutela della genitorialità, in Quotidiano Giuridico, 22.02.24 Rassegna del merito - Direttiva congedi e divieto di discriminazione, a cura di F. COLLIA e F. ROTONDI, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 5, 1 maggio 2024, p. 529 C. Trapuzzano, La disapplicazione per contrasto con il diritto UE non rimuove la legge con efficacia erga omnes, in Quotidiano Giuridico, 22.02.24 |