La nozione di convivenza del figlio maggiorenne rilevante per l’assegnazione della casa coniugale

15 Luglio 2025

Ai fini dell'assegnazione della casa familiare, la convivenza del figlio maggiorenne con il genitore assegnatario deve essere continuativa? Quali sono le condizioni richieste?

Massima

La nozione di convivenza rilevante agli effetti dell’assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura, invece, un rapporto di mera ospitalità; deve, pertanto, sussistere un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile; quest’ultimo criterio, tuttavia, deve coniugarsi con quello della prevalenza temporale dell’effettiva presenza, in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese).

Il caso

Nell’ambito di un giudizio di separazione personale, era disposta l’assegnazione della casa coniugale alla moglie presso la quale era collocato il figlio minorenne, statuizione confermata anche dai giudici di appello.

Proposto ricorso in cassazione, il ricorrente ha eccepito che la corte di appello non aveva tenuto in considerazione la circostanza che il figlio, divenuto maggiorenne, viveva stabilmente in altra città per motivi di studio.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, sul rilievo che non sussistevano più collegamenti stabili con l’abitazione del genitore.

La questione

In tema di assegnazione della casa familiare quale nozione di convivenza rileva?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si occupa della nozione di coabitazione - regolata, oggi, dall'art. 337-sexies c.c., secondo cui il diritto al godimento della casa familiare, da attribuirsi tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more avorio o contragga nuovo matrimonio.

Questa norma ha sostituito, dal 7 febbraio 2014, il precedente art. 155-quater c.c., interpretando il quale la Corte di cassazione ha già chiarito - con esito valevole anche per la nuova disposizione perché, in parte qua, di analogo tenore - che “la nozione di convivenza rilevante agli effetti dell'assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura, invece, un rapporto di mera ospitalità; deve, pertanto, sussistere un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile; quest'ultimo criterio, tuttavia, deve coniugarsi con quello della prevalenza temporale dell'effettiva presenza, in relazione ad una determinata unità di tempo, anno, semestre, mese (Cass. n. 4555/2012, Cass. n. 5174/2012 aveva statuito che in sede di divorzio il giudice può disporre l'assegnazione della casa familiare in favore del coniuge che non vanti alcun diritto - reale o personale - sull'immobile e che sia affidatario della prole minorenne o sia convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri, essendo irrilevante l'età del figlio maggiorenne, perché ciò che assume rilievo è la convivenza con il coniuge assegnatario e la condizione di non autosufficienza del figlio; Cass. n. 11981/2013; Cass. n. 18075/2013; Cass. n. 16134/2019).

Si è così superato il precedente orientamento, espresso da Cass. n. 11320/2005, secondo cui, “al fine di ritenere integrato il requisito della coabitazione, basta che il figlio maggiorenne - pur in assenza di una quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla necessità di assentarsi con frequenza, anche per non brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio - mantenga tuttavia un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, e questo collegamento, se da un lato costituisce un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa familiare, dall'altro concreta la possibilità per tale genitore di provvedere, sia pure con modalità diverse, alle esigenze del figlio”.

Osservazioni

L'ordinamento offre una particolare tutela ai figli delle coppie disgregate, consentendo che possano continuare a vivere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, che costituisce un centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, e che dunque concorre allo sviluppo e alla formazione della loro personalità, ma non è detto che il legame del figlio con la casa familiare sia necessariamente meno in conseguenza della scelta – spesso obbligata - di dover trascorrere fuori casa dei periodi, anche lunghi, per poter seguire corsi di studio o di formazione professionale.

Generalmente, infatti, gli studenti mantengono comunque uno vincolo stretto con la propria abitazione, alla quale fanno ritorno con una certa regolarità e ciò comporta che spesso il genitore che vi continua ad abitare sia comunque tenuto a farsi carico delle necessità delle sue necessità in misura maggiore rispetto all'altro.

È esperienza comune peraltro che, nei casi in cui la sede universitaria sia abbastanza vicina alla residenza, il figlio vi rientri dopo un'assenza di tre - quattro, in altri casi può rientrare con cadenza quindicinale o mensile e, nel caso in cui le distanze sono notevoli, trascorre comunque con il genitore assegnatario i periodi in cui le lezioni sono sospese.

Dunque, se indubbiamente le esigenze di un figlio divenuto maggiorenne sono diverse rispetto a quelle di un bambino in tenera età, è altresì vero che anche il figlio maggiorenne ha necessità di avere un punto di riferimento al quale fare ritorno quando il trasferimento non abbia quale carattere di stabilità tale da far ritenere che il suo ambiente domestico sia diverso dalla casa del genitore.

La pronuncia in commento si conforma all'orientamento maggioritario incentrato sulla rilevanza da attribuire al criterio della prevalenza temporale dell'effettiva presenza presso la casa coniugale in relazione ad una determinata unità di tempo, o della frequenza con cadenza regolare del ritorno ivi in quella data unità di tempo.

Invero, l'ampia accezione del rapporto di coabitazione prima elaborata rivelava, invero, profili di incompletezza che finivano con il dilatare enormemente l'arca semantica del termine coabitazione, con il rischio di farne sinonimo di ospitalità.

In buona sostanza, il ritorno, in una data frazione temporale, deve non solo avvenire con cadenza regolare, ma anche essere frequente, sicché non può affermarsi la convivenza del figlio che, in una data unità temporale, particolarmente estesa, risulti obiettivamente assente da casa, sia pure per esigenze lavorative o di studio, e che sebbene vi ritorni regolarmente non appena possibile.

L'assenza per tutto il periodo considerato e la rarità dei rientri, per quanto regolari, non possono essere controbilanciati dalla sola ipotetica regolarità del ritorno, altrimenti il collegamento con l'abitazione diverrebbe troppo labile, sconfinando nel mero rapporto di ospitalità.

Invero, in tema di assegnazione della casa coniugale, la circostanza che la prole non conviva con il genitore, per frequentare un corso universitario in altra città, ma si rechi non appena possibile nella residenza familiare, non esclude il requisito della convivenza, ogniqualvolta permanga il collegamento stabile con l'abitazione del genitore, atteso che, la coabitazione può non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibileCass. n. 14241/2017). 

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