Il diritto all’assegnazione della casa coniugale viene meno se non riconosciuto anche dalla sentenza di divorzio

Gabriele Scuffi
07 Luglio 2025

L’assegnazione della casa coniugale, disposta in sede di separazione, mantiene la propria efficacia con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio qualora la suddetta sentenza non contenga alcuna statuizione in merito?

Massima

Con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio viene meno lo stato di separazione dei coniugi e, con esso, la regolamentazione dei rapporti tra i medesimi, anche per quanto riguarda l'eventuale assegnazione della casa familiare ad uno di loro; pertanto, il coniuge assegnatario della casa coniugale in sede di separazione, che sia anche comproprietario dell'immobile, qualora la sentenza di divorzio non ne preveda l'assegnazione, non ha più diritto all'utilizzo esclusivo del bene.

Il caso

Tizio ha convenuto in giudizio l’ex coniuge chiedendo la divisione dell’immobile acquistato in comunione in costanza di matrimonio nonché la sua condanna al pagamento di un indennizzo per averne goduto in via esclusiva.

La ex moglie eccepiva l’inammissibilità della domanda di divisione essendo assegnataria del bene in forza della sentenza di separazione.

Il Tribunale di Siracusa adito ha respinto la domanda attorea ritenendo perdurante l’efficacia della statuizione relativa all’assegnazione disposta in sede di separazione.

La Corte d’Appello di Catania, investita del gravame proposto da Tizio, ha riformato la decisione del Giudice di prima cure e disposto la divisione dell’immobile ritenendo che l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie in forza della sentenza di separazione era da ritenersi venuta meno a seguito della declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del conseguimento dell’autosufficienza economica dei figli. Dunque non poteva costituire ragione ostativa alla compressione (sia pur temporanea) del diritto di comproprietà di Tizio.

L’ex moglie ha presentato ricorso per Cassazione eccependo tra i motivi proposti la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-sexiex c.c.  per avere la Corte d’Appello ritenuto venute meno le ragioni dell’assegnazione prevista dalla sentenza di separazione senza che detta assegnazione fosse però stata oggetto di un provvedimento di revoca da parte del Giudice della famiglia.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso evidenziando che a seguito della pronuncia di separazione, che aveva disposto l’assegnazione della casa familiare, aveva fatto seguito anche la sentenza di divorzio la quale, tuttavia, nulla aveva disposto in punto di assegnazione (disciplinando unicamente l’assegno divorzile).

Pertanto, in mancanza di una decisione sul punto da parte del Giudice che ha pronunciato la cessazione degli effetti civile del matrimonio, il provvedimento di assegnazione della casa familiare deve ritenersi venuto meno.

La questione

L’assegnazione della casa coniugale, disposta in sede di separazione, mantiene la propria efficacia con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio qualora la suddetta sentenza non contenga alcuna statuizione in merito?

Le soluzioni giuridiche

1) I presupposti dell'assegnazione della casa coniugale

Occorre premettere che l'assegnazione della casa coniugale costituisce un diritto personale di godimento tipico del diritto di famiglia ma non è in alcun modo assimilabile ad un diritto reale (Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2011 n. 8361).

Tramite il provvedimento di assegnazione, pertanto, viene a costituirsi un vincolo di destinazione sui generis sulla casa familiare e si costituisce, in favore del coniuge assegnatario, un diritto personale di godimento atipico di natura familiare ed a carattere non patrimoniale.

Scopo dell'assegnazione della casa coniugale ex art. 337-sexies c.c. è solo quello di tutelare l'interesse della prole a rimanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta e a preservare il contesto relazionale e sociale ove ha vissuto prima del sorgere del conflitto tra i genitori e non anche quello di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole (Cass. n. 28818 del 2008; Cass. n. 3015 del 2018; Cass. ord. 2 agosto 2023, n. 23501).

La norma di cui all'art. 337-sexies c.c. prevede, infatti, che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli.

 In ragione di ciò, la casa – ove il minore ha vissuto quando la famiglia era unita – va assegnata al genitore collocatario della prole, fatto salvo il caso in cui sia preferibile una diversa soluzione, sempre per tutelare l'interesse del minore.

La convivenza del figlio minori o maggiorenne non autosufficiente, risulta dunque essere imprescindibile presupposto ai fini dell'assegnazione della casa coniugale (Cass.27599/2022; Cass. 25604/2018).

I diritti dei proprietari dell'immobile subiscono di conseguenza la limitazione d'uso conseguente all'assegnazione che è opponibile, senza trascrizione, per 9 anni dalla data dell'emissione del relativo provvedimento (Cass. civ., S.U., 26 luglio 2002, n. 11096) e, oltre il novennio, se trascritto (Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2009, n. 20144).

2) Il venir meno del diritto dell'assegnazione

Da quanto sopra esposto ne consegue che l'assegnazione della casa coniugale, quale misura di protezione della prole, non ha più ragion d'essere se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione. Come avvenuto nel caso di specie ove era stato accertato dalla Corte d'Appello che i figli conviventi con il genitore assegnatario erano ormai divenuti economicamente indipendenti.

La giurisprudenza ha infatti ribadito lo stretto legame tra l'autosufficienza dei figli e l'assegnazione della dimora coniugale affermando che la stessa viene meno quando questi svolgano un'attività lavorativa e siano comunque in grado di provvedere a sé stessi (Cfr. Cass. civ, sez. I, ord., 20 novembre 2023, n. 32151)

Di fatto in tali casi “cade” il presupposto sul quale poggia l'assegnazione della casa e i coniugi, eventualmente, potranno concludere accordi tra loro o instaurare un procedimento ad hoc sulla divisione dell'immobile che era stato assegnato, qualora il medesimo risulti in comproprietà

Il principio generale è il seguente: nel momento in cui non vi è più la necessità di assicurare una tutela abitativa alla prole il diritto all'assegnazione viene meno. Il coniuge, che fino a quel momento aveva vissuto nella stessa, o la lascia, nelle ipotesi in cui la casa è di esclusiva proprietà dell'altro, oppure versa l'indennità di occupazione, nel caso in cui la casa sia di entrambi ma solo lui vi abiti.

La Corte di cassazione con l'ordinanza in commento chiarisce tuttavia che l'assegnazione della casa coniugale, laddove vengano meno i presupposti, perde efficacia anche in assenza di una statuizione giudiziale (provvedimento di revoca). Come nel caso in cui nell'ambito del procedimento di divorzio il coniuge già assegnatario dell'immobile in forza delle statuizioni della separazione non abbia reiterato la domanda di assegnazione.

Su tale questione si erano già pronunciati i giudici di legittimità chiarendo  la necessarietà che la domanda di assegnazione della casa familiare venga riproposta in sede di giudizio di divorzio, anche dalla parte che risulta già assegnataria dell'immobile in virtù di statuizioni assunte in sede separativa, non potendo il Giudice del divorzio , con i suddetti presupposti, provvedere d'ufficio se non incorrendo in un vizio di extrapetizione (Cfr. Cass. civ,, sez. I, ord. n. 10204/19).

In altra pronuncia la Suprema Corte ha ribadito che la sentenza di divorzio fa recedere dal diritto a vivere nella casa coniugale acquisito in sede di separazione anche se, a tal riguardo, il coniuge non abbia avanzato nessuna richiesta al riguardo. (Cass. civ. n. 2210/2009)

Pertanto, se la sentenza di divorzio non contenga alcuna previsione sull'assegnazione della casa familiare riconosciuta in sede di separazione, il diritto all'assegnazione si reputa venuto meno non essendo invocabile (chiariscono i Giudici della Corte) la regola secondo cui ogni modifica presuppone l'adozione di uno specifico provvedimento da parte del Giudice ex art 710 c.p.c. in quanto l'assegnazione è già divenuta inefficace.

La sentenza in commento evidenzia inoltre che lcon la cessazione degli effetti civili del matrimonio viene meno lo stato di separazione dei coniugi e, con esso, di conseguenza anche la regolamentazione dei rapporti tra i medesimi quanto riguarda l'eventuale assegnazione della casa familiare ad uno di loro. Pertanto, il coniuge assegnatario e comproprietario della casa coniugale in sede di separazione non ha più diritto all'utilizzo esclusivo del bene qualora la sentenza di divorzio non ne preveda espressamente l'assegnazione.

Osservazioni

La sentenza in commento si presenta senza dubbio innovativa e interessante poiché risalta un nuovo importante principio, foriero di conseguenze pratiche rilevanti, in ordine al venir meno del diritto all'assegnazione della casa coniugale.

I giudici di legittimità chiariscono che il diritto all'assegnazione non è perpetuo: di fatto, anche se riconosciuto in sede di separazione, si può estinguere anche con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio o scioglimento del matrimonio civile, se in sede divorzio il Tribunale non lo riconferma (ad esempio perché la richiesta di assegnazione non è stata reiterata).

La sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, comportando il venir meno dello stato di separazione coniugale, produce per ciò stesso anche la cessazione della regolamentazione dei rapporti tra coniugi adottata in quella sede, che in fase divorzile vanno dunque interamente ridiscussi, compreso il tema dell'eventuale assegnazione, o riassegnazione, a favore di uno dei coniugi della casa coniugale.

Il coniuge già assegnatario, tanto se l'immobile sia di piena proprietà dell'altro coniuge e anche quando ne sia egli stesso comproprietario, può quindi perderne l'utilizzazione esclusiva, con la

conseguenza che, nel caso di comproprietà, i rapporti tra i due ex coniugi (e, appunto, comproprietari dell'unità abitativa) dovranno essere regolati dalle norme sulla comunione (art. 1102 c.c.) fino a quando non intervenga una divisione, sia essa consensuale o giudiziale (in tal senso, anche Cass. 3030/2006; Cass. 9689/2000).

La parte che ha interesse a conservare il diritto all'assegnazione già riconosciuto in sede di separazione è bene dunque che in sede di divorzio:

- presenti una specifica domanda di assegnazione della casa familiare all'interno del procedimento di divorzio dimostrando la permanenza dei presupposti (convivenza con figli minori o maggiorenni non autosufficienti);

- si assicuri che la sentenza di divorzio (anche laddove sia frutto di un accordo) contenga un'espressa statuizione che confermi, o disponga ex novo, l'assegnazione dell'immobile.

Non è sufficiente, in conclusione, invocare le statuizioni della separazione in forza delle quali era stata riconosciuta l'assegnazione, dovendo il coniuge già assegnatario (se sussistono ancora i presupposti per godere di tale diritto) chiederne conferma al Giudice del divorzio, motivandola, pena il rischio, come avvenuto nel caso di specie, di perdere il diritto all'uso esclusivo dell'immobile nonché di dover pagare un'indennità di occupazione all'ex coniuge comproprietario.

La decisione della Cassazione mira certamente a bilanciare la tutela della famiglia con la certezza dei rapporti patrimoniali, in linea con un principio di ragionevolezza ed equilibrio, e contiene certamente conclusioni innovative.

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