IMU: non è tenuto al pagamento il coniuge superstite se l’immobile è in comunione con terzi
01 Luglio 2025
Massima Nel caso di comunione della casa del de cuius con terzi, non è realizzabile l’intento del nostro legislatore di assicurare al coniuge sopravvissuto il godimento pieno di tale bene. In questa circostanza, pertanto, l’IMU sarà dovuta soltanto dai coeredi comproprietari dell’immobile, poiché il coniuge superstite non è titolare di alcun diritto reale, e ciò a prescindere dalla destinazione a residenza familiare durante la vita del de cuius. Il caso Il giudice d’appello conferma la decisione di prime cure riguardo all’accoglimento del ricorso originario dei coeredi comproprietari, Tizio, Ciao e Sempronio, affermando che, dopo la morte di Mevio, il suo coniuge superstite acquista a titolo di legato, ex lege, il diritto reale di abitazione, per la quota corrispondente alla comproprietà del de cuius, stabilendo, pertanto, che egli sia soggetto passivo dell’IMU dell’abitazione in tale misura e debba, quindi, onerarsi del relativo pagamento. La Corte di Cassazione, però, respinge tale decisione, stabilendo che il coniuge superstite non è tenuto al pagamento dell’IMU, non spettando al medesimo il diritto di abitazione sulla casa (anche se adibita a residenza familiare) qualora tale abitazione non sia in proprietà esclusiva del coniuge defunto o in comunione fra i coniugi, ma sia in una situazione di contitolarità del de cuius con terzi estranei. La questione Spetta al coniuge superstite il pagamento dell’IMU sulla casa adibita a residenza familiare qualora tale abitazione sia in una situazione di contitolarità del de cuius con terzi? Le soluzioni giuridiche In base all'art. 540 c.c., al coniuge superstite, anche in presenza di altri chiamati all'eredità, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. In altri termini, la condizione fondamentale affinché il coniuge veda nascere a proprio vantaggio i diritti soprindicati è che la casa e gli arredi siano di proprietà del defunto o comuni. Il punto sta proprio nel significato da attribuire all'espressione utilizzata dalla normativa, non essendo ancora appianata la diatriba dottrinale e giurisprudenziale in merito. Una parte della dottrina, particolarmente attenta alla ratio protettiva della legge, interpreta la disposizione in oggetto nel senso che i diritti di uso e abitazione sorgano in ogni caso in favore del coniuge superstite e, quindi, anche nell'ipotesi in cui il de cuius era comproprietario in vita con altri soggetti della casa e degli arredi. Ciò in quanto, diversamente argomentando, il coniuge superstite risulterebbe sempre danneggiato dal de cuius, qualora quest'ultimo, volendo eludere la norma di cui all'art. 540 c.c., alieni a terzi anche soltanto una piccola quota di proprietà della casa familiare impedendo l'attribuzione dei diritti di cui alla norma citata. Secondo tale orientamento, quindi, con il termine “comune” il legislatore ha inteso riferirsi non soltanto all'ipotesi dell'immobile in comproprietà tra i soli coniugi, ma anche alle ipotesi molto frequenti nella prassi di comunione tra il de cuius e altri chiamati alla successione o addirittura tra il de cuius e terzi soggetti estranei. Corollario pratico di tale dottrina è che l'eventuale presenta di terzi non risulta ostativa all'attribuzione in favore del coniuge superstite in quanto i diritti d'uso e abitazione in favore del medesimo sorgono in ogni caso e limitatamente alla quota di comproprietà del coniuge defunto. Per converso, altra accreditata dottrina risolve in senso negativo la discussione in oggetto. Secondo tale tesi infatti la ratio dell'art. 540 c.c. deve piuttosto rinvenirsi nell'esigenza di assicurare al coniuge superstite il “pieno” godimento dell'abitazione familiare e dei beni in essa compresi e tali diritti sarebbero, quindi, esclusi in radice in presenza di un comproprietario estraneo alla successione. Ne deriva, dunque, che il legislatore prevedendo l'ipotesi di abitazione “comune”, abbia inteso riferirsi soltanto all'ipotesi di comproprietà con l'altro coniuge, in ragione del fatto che il regime patrimoniale della comunione legale è quello che con maggiori probabilità intercorra tra i coniugi. In definitiva, seguendo la ricostruzione citata, il diritto di abitazione può sorgere unicamente ove vi sia la concreta possibilità di soddisfare a pieno l'esigenza abitativa del coniuge superstite. Il dibattito accennato ha raggiunto anche le aule dei tribunali. Dal punto di vista giurisprudenziale la Cassazione, adottando un approccio meno rigido e radicale, ha inizialmente posto l'accento sull'evidente contenuto economico dei diritti di uso e abitazione sulla casa familiare. La Suprema Corte, pur escludendo l'esistenza del diritto di abitazione e di uso sulla casa familiare in presenza di un diritto di proprietà vantato da un soggetto estraneo, ha comunque ammesso che tali diritti, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, si convertano necessariamente in un equivalente monetario. In particolare, nell'ipotesi di indivisibilità dell'immobile, quest'ultimo deve essere assegnato per intero ad altro condividente o deve essere venduto all'incanto al fine di ricavare il quantum in danaro da attribuire al coniuge superstite che non può godere pienamente dell'abitazione familiare. Tuttavia, tale ricostruzione è stata oggetto di riesame da parte della medesima Corte di Cassazione in quanto tendente a focalizzarsi esclusivamente sul dato patrimoniale ed economico connesso al diritto di abitazione e di uso. In altri termini, si trascura la natura soprattutto qualitativa e non quantitativa dei diritti in oggetto. L'esigenza fortemente avvertita dal legislatore nel rubricare l'art. 540 c.c. è unicamente quella di garantire al coniuge superstite la continuità del godimento della casa adibita a residenza familiare e dei mobili che la corredano, tanto al fine di preservare quell'ambiente etico-affettivo in cui è convissuto con il de cuius, quanto e soprattutto per scongiurare il pericolo di perdita improvvisa, dopo la morte del coniuge, del proprio punto di riferimento abitativo. Alla stregua di ciò, la Corte di legittimità ha poi sancito che i diritti di uso e abitazione sulla casa adibita a residenza familiare in favore del coniuge superstite, necessitano, per la loro concreta nascita, dell'appartenenza della casa e del relativo arredamento al de cuius in titolarità esclusiva o al massimo, in comunione, a costui e all'altro coniuge. Non è pertanto ammissibile la loro esistenza in presenza di quote di pertinenza di altri soggetti estranei all'eredità. In linea con il citato orientamento giurisprudenziale si deve, quindi, concludere che non spetta al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e sui mobili che la corredano qualora l'abitazione coniugale non è in proprietà esclusiva del coniuge defunto o in comunione fra i coniugi, ma è in una situazione di contitolarità del de cuius con terzi estranei, derivando da ciò che egli non sarà di conseguenza tenuto al pagamento dell'IMU relativo all'immobile. Osservazioni La norma contenuta nell'articolo 540 codice civile e intitolata “Riserva a favore del coniuge” stabilisce che a favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell'altro coniuge, salve le disposizioni dell'articolo 542 del codice civile per il caso di concorso con i figli (art. 548 codice civile). Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (144 c.c.) e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile (556 c.c.) e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli (566 c.c.). L'intenzione dell'art. 540, secondo comma, cod. civ, è quello di tutelare il coniuge superstite e la stabilità della famiglia, anche in proiezione futura e, quindi, altresì nella circostanza della morte dell'altro coniuge, percui l'unica condizione richiesta perché operi la riserva del diritto reale di godimento è l'esistenza di un rapporto di coniugio e di effettiva convivenza al momento dell'apertura della successione, non rilevando in alcun modo la circostanza che il coniuge superstite sia il primo o il secondo. Il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare, in favore del coniuge superstite, non è però configurabile ogni volta che l'immobile sia in comunione con terzi. Infatti, la norma prevede che esso sussista solo quando l'abitazione familiare sia di proprietà esclusiva del de cuius ovvero in comunione tra questi ed il suo coniuge superstite. Pertanto, nel caso di comunione dell'abitazione con un terzo non è realizzabile l'intento del nostro legislatore di assicurare, in concreto, al coniuge sopravvissuto il godimento pieno del bene oggetto del diritto. In tale fattispecie, quindi, l'IMU sarà dovuta soltanto dai coeredi comproprietari dell'immobile, non essendo titolare di alcun diritto reale il coniuge superstite, a prescindere dalla destinazione a residenza familiare durante la vita del de cuius. In tal caso, a quest'ultimo non spetta neppure l'equivalente in denaro del citato diritto, nei limiti della quota di proprietà del defunto, perché, in tal modo, verrebbe attribuito un valore economico di rincalzo del diritto di abitazione, che, invece, ha un senso solo laddove determini un incremento qualitativo alla quota del coniuge superstite, garantendo allo stesso il godimento della dimora familiare. |