Ricettazione ed elemento soggettivo: l’onere probatorio a carico dell’imputato
03 Luglio 2025
Massima Ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. Il caso La Corte di Appello confermava la sentenza di condanna degli imputati in ordine al reato di concorso in ricettazione di un serie di componenti di un'autovettura provento di furto. Proposto ricorso in cassazione, si eccepiva la circostanza che i giudici di merito non avevano tenuto conto della buona fede di uno dei ricorrenti, atteso che il coimputato aveva riferito che sia il furto che lo smembramento dell'autoveicolo erano stati da lui compiuti e che il concorrente si era solo limitato ad accompagnarlo, inconsapevole della possibile provenienza illecita dei beni. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso sul rilievo che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. La questione La questione in esame è la seguente: in tema di ricettazione, in cosa consiste la prova dell'elemento soggettivo? Le soluzioni giuridiche La pronuncia in commento consolida il principio a mente del quale la sussistenza dell'elemento soggettivo nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa) può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell'imputato e dalla mancata - o non attendibile - indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. pen., n. 25756/2008; Cass. pen., n. 29198/2010). Proprio alla luce di tale indiscusso orientamento giurisprudenziale che consente di desumere l'elemento soggettivo nel reato di ricettazione dal comportamento dell'imputato e dalla mancata o non attendibile indicazione della cosa ricevuta, è onere del giudicante, qualora l'imputato fornisca una giustificazione del possesso del titolo, che non appaia a prima vista implausibile, verificare in concreto la fondatezza della giustificazione fornita nel contesto del comportamento tenuto dall'agente. Infatti, il mero possesso ingiustificato di cose sottratte consente la configurazione del delitto di ricettazione, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto. Pertanto, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche da circostanze successive al fatto laddove consentano di risalire alla natura del rapporto intercorrente tra l'imputato e la res, ovvero dall'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente. In tal modo, non si richiede all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento. Ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell'indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (Cass. pen., n. 53017/2016; Cass. pen., n. 10622/2025). Osservazioni I giudici di merito possono desumere, dal comportamento dell'imputato (quale il silenzio ovvero la mancata - o non attendibile - indicazione della provenienza della cosa ricevuta), la prova del dolo (ovvero della consapevolezza, diretta o indiretta, della provenienza delittuosa della res), giacché la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente con la precisazione per cui ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell'indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa. E' allora utile ribadire che nell'ordinamento processuale penale, a fronte dell'onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all'imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l'imputato che, in considerazione del principio della c.d. "vicinanza delia prova", può acquisire o quanto meno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Cass. pen., n. 6734/2020; Cass. pen., n. 20171/2013; Cass. pen., n. 12099/2018). Pertanto, la circostanza che l'imputato sia trovato nella disponibilità di un bene provento di delitto e non fornisca alcuna attendibile giustificazione in ordine a tale possesso, integra il dolo del delitto di ricettazione (pacificamente configurale anche nella forma eventuale), perché rivelatrice di una volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. Non si richiede, in tal modo, all'imputato di provare la provenienza del possesso della cosa, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine di tale disponibilità, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice di merito e comunque valutabili dallo stesso secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., sez. un. n. 35535/2007). Inoltre, deve anche richiamarsi il principio secondo il quale dall'ingiustificato possesso di refurtiva proveniente da furti commessi in tempi e luoghi diversi e in danno di soggetti diversi ben può legittimamente desumersi, in assenza di elementi positivamente indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione di quei furti, che esso sia frutto di ricettazione (Cass. pen., n. 46006/2004). |