Pronto soccorso: codice di priorità del paziente e responsabilità del personale infermieristico addetto al triage
27 Giugno 2025
Massima Il caso La sentenza in oggetto vedeva imputata per omicidio colposo l'infermiera addetta al triage presso il pronto soccorso dell'ospedale per il decesso di una paziente che aveva effettuato l'accesso al nosocomio a causa di un forte attacco di asma. L'imputata, addetta al triage, aveva ritenuto di assegnare alla paziente un codice di accesso di colore verde (indice di differibilità) conducendola poi in sala d'attesa senza ulteriori controlli o alcun tipo di monitoraggio. Il medico di turno interveniva dopo circa un'ora, quando ormai il quadro clinico della paziente, in grave stato di insufficienza respiratoria, era troppo compromesso: la stessa infatti, nonostante le cure, decedeva poco dopo. Secondo l'ipotesi accusatoria, l'imputata avrebbe omesso di valutare tutti i parametri vitali previsti dalle linee guida nonché di riportare nella scheda la descrizione delle condizioni fisiche, così sottovalutando il grave stato di insufficienza respiratoria in cui versava la paziente. La compilazione della scheda triage in modo corretto e completo avrebbe consentito l'attribuzione di un codice di priorità differente e quindi un intervento tempestivo del medico di turno e della somministrazione della relativa terapia che avrebbe evitato il decesso della paziente. L'infermiera veniva pertanto condannata in primo grado, mentre la Corte d'appello, in parziale riforma, pronunciava sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, confermando la condanna al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite, in solido con il responsabile civile ASL – Toscana nord ovest. Avverso la sentenza della Corte d'appello proponevano ricorso l'imputata ed il responsabile civile, evidenziando in via di estrema sintesi, un'erronea individuazione della regola o del criterio di diligenza professionale applicabili al caso in esame. Secondo la difesa, infatti, l'imputata aveva correttamente effettuato la valutazione al triage descrivendo il quadro dei sintomi rilevati e riferiti dalla paziente come da format della scheda. Nell'attribuzione del codice aveva seguito le linee guida previste in presenza di un paziente con difficoltà respiratorie. La formulazione della diagnosi circa la patologia della paziente, invece, esulava dalle sue competenze. Inoltre, la difesa lamentava vizio di violazione di legge in relazione al nesso di causalità tra la condotto omissiva e l'evento: una diversa valutazione al triage avrebbe comportato l'attribuzione di un codice giallo, con anticipazione presumibilmente di soli pochi minuti dell'intervento del medico, la cui portata salvifica non era quindi stata provata con elevata probabilità razionale. La questione La questione sottoposta all'esame della Suprema Corte riguarda il ruolo e la conseguente responsabilità dell'infermiere, in particolare dell'infermiere qualificato addetto all'attività di triage. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte, rigettando tutti i motivi di ricorso, conferma le valutazioni dei giudici di merito. In primo luogo i giudici prendono in considerazione, al fine di valutare la sussistenza e il grado dell'elemento soggettivo della colpa, il rispetto da parte dell'imputata delle linee guida. Le linee guida in relazione allo svolgimento del triage stabiliscono che tale attività debba essere effettuata da un infermiere esperto e specificatamente formato in grado di identificare i segni ed i sintomi del paziente per identificare condizioni potenzialmente pericolose ed assegnare un codice di gravità per la priorità di accesso alla visita medica. L'attività di triage, dunque, si articola in: accoglienza, raccolta di dati, di eventuale documentazione medica, di informazioni da parte di famigliari e/o soccorritori, rilevamento parametri vitali e registrazione. Evidenzia la sentenza come non sia sicuramente compito dell'infermiere effettuare una diagnosi, tuttavia deve procedere ad una raccolta dei dati completa, non limitata ai soli parametri vitali, e ad un giudizio valutativo dei sintomi riscontrati e riferiti. Nel caso di specie, all'esito dell'istruttoria, era invece emerso che l'esame effettuato dall'imputata sarebbe stato incompleto. In particolare la stessa non aveva indicato nella scheda triage le condizioni della paziente all'accesso: distonia (gravi difficoltà nel parlare) e accesso in sedia a rotelle per impossibilità di camminare. Non aveva proceduto ad auscultazione con stetoscopio che avrebbe consentito di rilevare i “sibili” certamente presenti in un attacco di asma grave quale quello in corso. Non era stata assunta alcuna informazione riguardo ad eventuali allergie o patologie pregresse, pur trattandosi di soggetto asmatico. La paziente infatti soffriva fin da bambina di asma bronchiale di tipo allergico. Secondo i consulenti, infatti, la causa del decesso era dovuta ad arresto cardio-respiratorio causato da insufficienza respiratoria acuta conseguente ad un attacco asmatico “di tipo 2” con ogni probabilità da ricondurre all'assunzione di cibi contenenti solfiti, sostanza fortemente allergizzanti. Escluso il rispetto delle linee guida, la suprema Corte analizza il grado della colpa, rimarcandone la gravità, dovuta non solo alla sottovalutazione delle condizioni della paziente, ma anche all'omissione del dovere di monitoraggio che avrebbe permesso di avvisare il personale medico all'aggravarsi delle condizioni della stessa. La Suprema Corte si richiama alla giurisprudenza ormai consolidatasi in riferimento alla figura professionale dell'infermiere, che assume una posizione di garanzia nei confronti del paziente ed è pertanto tenuto ad un obbligo di assistenza effettivo e continuativo al fine di poter tempestivamente allertare il medico competente ed informarlo sulle condizioni cliniche e sull'evoluzione delle stesse. L'imputata, dopo aver attribuito il codice verde alla paziente, l'aveva rimandata in sala d'attesa senza procedere a successivo monitoraggio e aggiornamento dei dati relativi all'ossigenazione del sangue e frequenza cardiaca. Secondo i consulenti tecnici del P.M. nelle prime ore di insorgenza di un attacco asmatico è necessario un monitoraggio continuo al fine di effettuare prontamente un'emogasanalisi ove necessario. Infine, la sentenza affronta il profilo riguardante la sussistenza del nesso di causa, richiamandosi alla giurisprudenza consolidatosi sul punto in materia di responsabilità medica. In particolare in caso di reato omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio controfattuale di alta probabilità logica, che deve essere fondato su un ragionamento deduttivo, basato sulle generalizzazioni scientifiche, e induttivo, elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. “Tale ragionamento deve essere svolto in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificatamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale. Ai fini dell'imputazione causale dell'evento, pertanto, il giudice di merito deve tener conto delle peculiarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento alternativo richiesto all'imputato.” I supremi giudici ritengono corretta la valutazione effettuata nelle sentenze di merito, che hanno compiutamente argomentato come la condotta dell'imputata si sia posta in diretto rapporto causale con il decesso della paziente. L'incompleta compilazione della scheda di triage e la mancanza di un successivo monitoraggio dei parametri vitali, utili a fornire al medico in tempi rapidi un quadro delle condizioni cliniche della paziente, hanno comportato l'assegnazione di un codice di priorità basso (c.d. codice verde) con conseguente tardività dell'intervento medico e della tempestiva somministrazione della terapia necessaria, che avrebbe evitato il decesso. Osservazioni Nella sentenza in oggetto la suprema Corte torna a pronunciarsi sul ruolo dell'infermiere ed in particolare sui suoi doveri nei confronti dei pazienti. Nel caso di specie si trattava di un'infermiera addetta al triage del pronto soccorso, soggetto pertanto incaricato di raccogliere le prime informazioni sulle condizioni del paziente e valutare la gravità delle sue condizioni in modo da programmare l'urgenza o la differibilità della visita medica. Secondo quanto riportato in sentenza, l'imputata avrebbe effettuato una valutazione superficiale ed incompleta della paziente, così assegnandole un codice verde, ossia senza urgenza, comportando un ritardo nell'intervento medico e nella somministrazione della terapia risultato poi letale. La sentenza si inserisce, quindi, nell'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che riconosce anche alla figura professionale dell'infermiere una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti. È indubbio che non rientri tra le competenze degli infermieri l'aspetto diagnostico, tuttavia rientra tra le sue competenze quella di vigilare e valutare lo stato di salute del paziente e l'evoluzione dello stesso in modo da poter non solo allertare il medico in caso di necessità, ma anche di aggiornarlo sullo status di salute del paziente stesso. Tale obbligo di protezione deriva dall'applicazione degli articoli 2 e 32 della Costituzione, come espressione dell'obbligo di solidarietà del personale sanitario tenuto a tutelare la salute contro qualsivoglia pericolo. In tal senso si era espressa la suprema corte con la sentenza n.39256 del 29.03.2019 affermando che “l'infermiere, come tutti gli operatori di una struttura sanitaria, è "ex lege" portatore di una posizione di garanzia, espressione dell'obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute deve tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l'integrità, per l'intero tempo del turno di lavoro.” Obbligo di protezione che perdura per tutta la durata del proprio turno lavorativo e che deve coprire quindi anche eventuali periodi post-operatori o post-visita. In tal senso la sentenza 21449 del 25 maggio 2022 ha affermato che “rientra nel proprium (non solo del sanitario) dell'infermiere quello di controllare il decorso della post-operatorio del paziente ricoverato in reparto, sì da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tempestivo intervento del medico. Proprio in forza delle competenze professionali dell'infermiere, che sono richiamate a fol 15 dello stesso ricorso M. e che sono tratte dal d.p.r. n. 225/1974, art. 6 titolo V, è evidente il compito cautelare essenziale che svolge nella salvaguardia della salute del paziente, essendo, come detto, l'infermiere onerato di vigilare sul decorso post operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, il tempestivo intervento del medico. E' evidente l'equivoco in cui incorrono i ricorrenti quando si soffermano sulla mancanza di “autonomia valutativa” diagnostica e medica dell'infermiere, rispetto al sanitario: non è infatti in discussione (né lo potrebbe essere) una comparazione tra gli spazi valutativi e decisionali dell'infermiere rispetto al medico, ma solo l'obbligo ex lege per l'infermiere, espressione dell'obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute deve tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l'integrità; l'obbligo di protezione che perdura per l'intero tempo del turno di lavoro”. Partendo da tale considerazione, la suprema Corte nella sentenza in commento analizza dapprima la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo all'imputata, evidenziando come la sua condotta non fosse stata rispettosa delle linee guida esistenti in materia di valutazione del paziente in fase di triage. Secondo le risultanze probatorie, infatti, l'imputata avrebbe omesso di verificare e quindi riportare nella scheda dell'accettazione tutta una serie di parametri invece essenziali in presenza di crisi asmatica. Infine analizza la gravità della colpa, anche ai fini dell'applicabilità dell'art. 590-sexies c.p. I giudici, confermando il citato orientamento giurisprudenziale che pacificamente riconosce in capo al personale infermieristico una posizione di garanzia nei confronti del paziente, hanno ritenuto che la condotta posta in essere dall'imputata potesse essere ritenuta “grave” non solo per aver sottovalutato la situazione clinica della paziente non avendone verificato tutti i parametri rilevanti come previsto dalla linee guida, ma anche per non aver poi effettuato alcun tipo di controllo o di monitoraggio delle sue condizioni dopo il triage, essendosi limitata a rimandarla nella sala d'aspetto. Rientrerebbe invece nei compiti dell'infermiere il monitoraggio del paziente in modo da poter dare al medico un quadro sempre aggiornato. Nel caso in oggetto tuttavia non è emerso dalle indicazioni riportate in sentenza come fosse effettivamente organizzata la gestione del pronto soccorso e se il personale addetto al triage avesse modo e tempo di rivisitare un paziente, ritenuto – seppur erroneamente – non grave. In ogni caso, secondo i consulenti del P.M., in caso di attacco asmatico grave, il monitoraggio continuo si alcuni parametri vitali sarebbe stato necessario. Secondo i supremi giudici, quindi, rientra tra gli obblighi specifici del personale infermieristico di pronto soccorso il dovere di monitorare la stabilità dei pazienti in modo da poter allertare i sanitari di servizio in caso di situazioni di emergenza e in modo anche da poter fornire loro un intervento di supporto concreto con dati aggiornati. |