Individuazione del termine per formulare la richiesta di continuazione nel giudizio di appello

20 Giugno 2025

 La Suprema Corte si è occupata di stabilire entro quale termine può essere richiesta l'applicazione della continuazione in appello.

Massima

Il riconoscimento del vincolo della continuazione fra reati da giudicare e reati già giudicati con sentenza definitiva, può essere richiesto per la prima volta anche in sede di presentazione di memoria scritta nel giudizio di appello, soltanto se la sentenza relativa ai fatti già giudicati sia divenuta definitiva dopo la presentazione dei motivi di appello e dei motivi aggiunti. (Fattispecie nella quale la richiesta di continuazione non è stata proposta con l'atto di appello bensì solo con le memorie scritte – che fanno luogo alla discussione orale nella trattazione cartolare – per fatti giudicati con sentenze divenute irrevocabili prima della presentazione dell'appello).

Il caso

Nel corso del giudizio di appello, l'imputato avanzava soltanto in prossimità dell'udienza di trattazione cartolare della causa, la richiesta di applicazione dell'istituto della continuazione che era disattesa dalla Corte di appello.

L'imputato proponeva ricorso in cassazione, evidenziando che erano presenti tutti gli indici rilevatori della medesimezza del disegno criminoso.

La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso sul rilievo che la richiesta di continuazione non era stata proposta con l'atto di appello ed era stata avanzata soltanto con le memorie scritte (che fanno luogo alla discussione orale nella trattazione cartolare) per fatti giudicati con sentenze divenute irrevocabili prima della presentazione dell'appello.

La questione

La questione in esame è la seguente: entro quale termine può essere richiesta l'applicazione della continuazione in appello?

Le soluzioni giuridiche

L'orientamento di legittimità favorevole al riconoscimento della c.d. continuazione esterna in sede di appello con pronunce divenute irrevocabili successivamente l'emissione della pronuncia di primo grado è stato affermato con distinti interventi; si è difatti stabilito che è ammissibile, con la proposizione dei motivi nuovi di appello, la richiesta di applicazione della continuazione criminosa in relazione ad un reato oggetto di sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine di proposizione dell'appello, con cui quindi non è stato possibile dedurla, non operando in siffatta situazione il limite della devoluzione correlato ai capi e punti impugnati perché trattasi, comunque, di una richiesta relativa ad un istituto applicabile in sede di esecuzione, ex art. 671 c.p.p. (Cass. pen. n. 47300/2011; Cass. pen. n. 12068/2014); soluzione, questa, che risulta più recentemente riaffermata da analoga pronuncia (Cass. pen. n. 33098/2021) secondo cui l'ammissibilità della richiesta trova fondamento nella analogia con l'istituto di cui all'art. 671 c.p.p. e nella impossibilità di dedurre tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado l'applicazione del beneficio.

A detto orientamento, che riconnette l'ammissibilità della richiesta della continuazione esterna con altri titoli divenuti irrevocabili solo dopo l'emissione della sentenza di primo grado, alla necessaria proposizione di motivi aggiunti, si affianca il connesso principio secondo cui è conforme all'effetto devolutivo dell'appello la sentenza che omette di pronunciare sulla richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione con altri reati oggetto di titoli pregressi formulata, anziché con l'atto introduttivo, solo in corso di procedimento unitamente alla produzione dei titoli stessi (Cass. pen. n. 10470/2016); soluzione questa che trova anche un suo precedente nell'affermazione secondo cui è conforme all'effetto devolutivo dell'appello la sentenza che non si pronunci in ordine al nesso di continuazione, con altro reato già oggetto di condanna irrevocabile, per essere stata la questione prospettata non già con i motivi di appello ma soltanto con la formulazione delle conclusioni (Cass. pen. n. 17077/2011).

Si è così anche recentemente chiarito come in tema di giudizio di appello, la richiesta di applicazione della continuazione in relazione a un reato giudicato con sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine per proporre impugnazione è ammissibile solo se avanzata con i motivi nuovi ai sensi dell'art. 585, comma 4, c.p.p., in quanto, ferma restando la sua proponibilità in sede di esecuzione ex art. 671 c.p.p., la relativa questione può essere introdotta nel giudizio di cognizione solo con modalità tali da consentire al giudice di prenderne conoscenza tempestivamente e in maniera adeguata (Cass. pen. n. 6348/2023).

Non vi è dubbio quindi che, stabilito il principio dell'ammissibilità in appello della richiesta di continuazione con condanne sopravvenute, l'applicazione dell'istituto ha trovato una fondamentale limitazione nelle modalità di proposizione dell'istanza, essendosi sottolineato che rimane ferma la proponibilità della richiesta in fase esecutiva come testualmente previsto dall'art. 671 c.p.p.

La cennata pronuncia 10470/2016 aveva in motivazione già evidenziato le criticità dell'istituto della continuazione in appello sottolineando come: avuto difatti riguardo alla natura ed essenza del giudizio di secondo grado, fase di impugnazione destinata all'eliminazione di vizi ed errori del procedimento e/o del provvedimento di primo grado, specificamente dedotti attraverso i motivi di impugnazione proposti dalla parte, deve escludersi che il giudice di appello debba prendere in esame prima e specificamente motivare poi in ordine ad una richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione avanzata nel corso del procedimento di gravame stesso, attraverso la produzione di sentenze o provvedimenti di cumulo emessi da differenti autorità giudiziarie per altri fatti di reato. La sede per l'analisi dell'istanza di unificazione di diversi titoli di reato ex art. 81 cpv c.p. è infatti quella dell'esecuzione nel corso della quale il giudice, individuato ai sensi dell'art. 665 c.p.p., procede all'esame dei differenti provvedimenti individuando, ove ritenga sussistere l'unicità del disegno criminoso, il reato più grave e stabilisce gli aumenti per i c.d. reati satellite.

La congiunta interpretazione delle predette affermazioni porta pertanto ad affermare che la continuazione con altra sentenza passata in giudicato successivamente la pronuncia di primo grado può essere proposta in appello soltanto mediante specifica devoluzione avanzata con i motivi nuovi.

Osservazioni

Non vi è dubbio che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra la sentenza di primo grado ed altri titoli successivamente divenuti definitivi introduce un elemento quanto meno distonico nel giudizio di appello come ricostruito dalle sentenze delle Sezioni Unite e dagli interventi normativi; sotto il primo profilo occorre rammentare che le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Cass. pen., sez. un., n. 8825/2017); in motivazione le Sezioni Unite raffiguravano con precisione l'oggetto ed il contenuto del giudizio di secondo grado precisando che "la necessità della specificità estrinseca dei motivi di appello trova fondamento nella considerazione che essi non sono diretti all'introduzione di un nuovo giudizio, del tutto sganciato da quello di primo grado, ma sono, invece, diretti ad attivare uno strumento di controllo, su specifici punti e per specifiche ragioni, della decisione impugnata. E in un processo accusatorio, basato sulla centralità del dibattimento di primo grado e sull'esigenza di un diretto apprezzamento della prova da parte del giudice nel momento della sua formazione, il giudizio di appello non può e non deve essere inteso come un giudizio a tutto campo; con la conseguenza che le proposizioni argomentative sottoposte a censura devono essere, in relazione al punto richiesto, enucleate dalla decisione impugnata. L'impugnazione deve, in altri termini, esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto. Le esigenze di specificità dei motivi non sono, dunque, attenuate in appello, pur essendo l'oggetto del giudizio esteso alla rivalutazione del fatto.

Poiché l'appello è un'impugnazione devolutiva, tale rivalutazione può e deve avvenire nei rigorosi limiti di quanto la parte appellante ha legittimamente sottoposto al giudice d'appello con i motivi d'impugnazione, che servono sia a circoscrivere l'ambito dei poteri del giudice stesso sia a evitare le iniziative meramente dilatorie che pregiudicano il corretto utilizzo delle risorse giudiziarie, limitate e preziose, e la realizzazione del principio della ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 111, comma 2, Cost.

La strutturazione dell'appello quale giudizio di controllo e di critica alle argomentazioni esposte dalla sentenza di primo grado, come raffigurato dall'autorevole insegnamento giurisprudenziale, trovava poi consacrazione nei successivi interventi normativi; in primo luogo rileva, infatti, in tal senso l'intervento riformatore attuato con la legge n. 103 del 2017 (c.d. legge Orlando) con la modifica dell'art. 581 c.p.p., che ha previsto in via generale che, a pena di inammissibilità, l'enunciazione dei vari requisiti sia "specifica" (laddove invece il previgente testo dell'art. 581 richiedeva la specificità per i soli motivi, non anche per i capi o punti della decisione censurati, né per le richieste); inoltre, si richiede l'enunciazione specifica anche "delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione e l'omessa o erronea valutazione"; infine, si disponeva che l'enunciazione specifica delle richieste comprenda anche quelle "istruttorie".

Agli interventi sulla struttura dell'art. 581 c.p.p. operati dalla l. n. 103/2017 seguivano poi quelli più recenti del d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) anch'esso intervenuto sulla disciplina delle impugnazioni e dell'appello; la riforma ha inteso rendere tassativa la struttura critica del giudizio di secondo grado introducendo uno specifico comma 1 bis dell'art. 581 c.p.p. secondo cui: l'appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione.

Così che all'interno di una disposizione genericamente diretta a disciplinare tutte le impugnazioni, l'art. 581 c.p.p. è infatti intitolato “forma dell'impugnazione", si è introdotta una disposizione riguardante proprio ed esclusivamente, la struttura dell'appello sancendo l'obbligo di specificità dei motivi e così sottolineandone il rapporto di essenziale derivazione dal giudizio di primo grado.

Ne deriva pertanto potersi affermare che il giudizio di appello è costruito come giudizio critico, pur a forma libera e non vincolata, della decisione di primo grado finalizzato all'eliminazione dei vizi da cui la prima pronuncia risulti eventualmente affetta.

A fronte di tale particolare strutturazione del giudizio di secondo grado appare evidente che il riconoscimento della continuazione in appello in relazione a pronunce divenute definitive dopo la sentenza di primo grado introduce un rilevante ed evidente disallineamento, poiché per definizione tale motivo non integra alcuna valutazione critica della decisione di primo grado, né espone alcun rilievo specifico, così che il relativo motivo difetta necessariamente di quella specificità che costituisce il nucleo forte della nuova disciplina dettata dall'art. 581 c.p.p. rappresentando una doglianza del tutto "nuova" avente ad oggetto la richiesta di valutazione di elementi sopravvenuti.

Peraltro, non può altresì mancarsi di osservare che l'istituto della continuazione in fase esecutiva, garantisce il diritto dell'imputato a vedersi riconosciuto l'unicità del disegno criminoso pur in relazione a differenti titoli giudicati separatamente; invero ai sensi dell'art. 671 c.p.p.: nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell'esecuzione l'applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione. Sullo stesso tema rileva poi l'art. 186 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. secondo cui nel caso di richiesta di applicazione della continuazione in fase esecutiva è onere proprio del giudice dell'esecuzione acquisire copia dei provvedimenti ove non allegati alla richiesta da parte del condannato. Proprio la previsione specifica delle formalità di riconoscimento della continuazione nella fase esecutiva e l'assenza quindi di un qualsiasi pregiudizio definitivo in danno dell'imputato che invochi tale istituto oltre che la già raffigurata natura critica del giudizio di appello devono portare ad affermare che, pur in adesione ai già indicati precedenti della stessa giurisprudenza di legittimità, l'applicazione della continuazione c.d. esterna con sentenze divenute definitive successivamente la pronuncia di primo grado nel giudizio di appello è istituto eccezionale e soggetto a ben precisi limiti che non determino lo stravolgimento della natura del secondo grado e non comportino una irrituale anticipazione nel momento della cognizione di oneri e compiti tipici della sola fase esecutiva, incombenti proprio su quel giudice specificamente determinato ai sensi dell'art. 666 c.p.p. che ben può essere soggetto diverso dal giudice di appello.

Da tale premessa, consegue che Va conseguentemente affermato che la suddetta richiesta può essere ritenuta ammissibile solo ove sia stata formulata con i motivi nuovi di appello e, ancora, sia accompagnata dalla precisa produzione delle sentenze necessariamente definitive emesse nei separati giudizi che pongano in condizione il giudice di secondo grado di valutare la sussistenza dell'unicità del disegno criminoso; a tal proposito possono essere quindi richiamati quegli interventi secondi cui in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, per la valutazione della continuazione ed. esterna nel giudizio di cognizione, l'imputato ha l'onere di allegare copia delle sentenze rilevanti a tal fine e non solo di indicarne gli estremi.

La pronuncia in commento precisa che il riconoscimento del vincolo della continuazione fra reati da giudicare e reati già giudicati con sentenza definitiva, può essere richiesto per la prima volta anche in sede di presentazione di memorie nel giudizio cautelare d'appello, a condizione che la sentenza relativa ai fatti già giudicati sia divenuta definitiva in data successiva a quella di presentazione dei motivi di appello e dei motivi aggiunti.

Tale conclusione discende dalla circostanza che - con riferimento al giudizio d'appello in trattazione orale - il riconoscimento del vincolo della continuazione fra reati da giudicare e reati già giudicati con sentenza definitiva, può essere richiesto per la prima volta anche nel corso della discussione orale del giudizio di appello, soltanto se la sentenza relativa ai fatti già giudicati sia divenuta definitiva dopo la presentazione dei motivi di appello (Cass. pen. n. 37379/2020; Cass. pen. n. 35599/2015).

Può quindi affermarsi che la richiesta di continuazione in fase di appello con altri reati giudicati in procedimenti divenuti definitivi dopo la sentenza di prime cure è formulabile non oltre la data di scadenza dei motivi nuovi (salvo il caso in cui la sentenza relativa ai fatti già giudicati sia divenuta definitiva in data successiva a quella di presentazione dei motivi di appello e dei motivi aggiunti); limitazione questa che non compromette in alcun modo il diritto dell'imputato, garantito comunque dalla specifica previsione dell'art. 671 c.p.p., e imposta dalla natura del giudizio di appello come fase di revisione critica, come risultato dagli interventi delle Sezioni Unite e dalle ripetute riforme dell'art. 581 c.p.p. che deve fare ritenere l'istituto della continuazione in appello del tutto eccezionale.

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