Licenziato per pause troppo lunghe ed uscite anticipate dal lavoro, anche se ricopre il ruolo di quadro
19 Giugno 2025
Massima Anche per il dipendente appartenente alla categoria dei quadri, può costituire giusta causa di licenziamento la condotta sistematica e non autorizzata d’inosservanza dell’orario giornaliero di lavoro caratterizzata da pause pranzo estremamente prolungate ed anticipate uscite dall’azienda, con conseguente riduzione del tempo giornaliero di presenza al lavoro. Il caso Un lavoratore, dipendente di una società di servizi con qualifica di quadro, viene licenziato per giusta causa. Il provvedimento sanzionatorio è adottato perché il dipendente, secondo la contestazione del datore di lavoro, aveva reiteratamente e senza autorizzazione alcuna effettuato pause pranzo di circa due ore (invece dei prescritti 60 minuti) e/o anticipato l'uscita dall'azienda, conseguentemente riducendo in maniera illegittima il tempo giornaliero di presenza al lavoro (obbligatoriamente di otto ore), nei giorni e orari indicati nella lettera di contestazione disciplinare. Il lavoratore impugna il licenziamento ma, nel primo e nel secondo grado di giudizio, soccombe. Nella sentenza d’appello, in particolare, si rilevava: a) che i fatti addebitati, verificatisi in ventisei giornate lavorative nell'arco di un periodo di tempo compreso tra il mese di gennaio 2020 ed il 14.2.2020, erano da considerarsi pacifici e, comunque, dimostrati dalla prova orale raccolta; b) che il ricorrente, per la qualifica rivestita, era sottoposto all'osservanza di un orario di lavoro, registrato con il nuovo sistema a timbratura unica (c.d. "Single Badging"; c) non vi era stata alcuna autorizzazione del Responsabile per permessi e/o assenze; d) che il comportamento addebitato non era inquadrabile in quelli puniti dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa; e) già nel dicembre del 2019 lo stesso lavoratore era stato bonariamente richiamato all'osservanza dell'orario di lavoro; f) che, infine, non rilevava l'assenza di recidiva atteso che la condotta posta in essere era, per la sua gravità, tale da legittimare l'irrogazione di un licenziamento senza causa. Per la cassazione di tale sentenza, il lavoratore propone ora ricorso avanti la Suprema Corte. La questione Può un dipendente con qualifica di quadro sottrarsi all'osservanza dell'orario di lavoro, in particolare prolungando, sistematicamente, la pausa pranzo ed anticipando l'orario di uscita dal lavoro? Le soluzioni giuridiche La pronuncia interviene sul tema dell'orario di lavoro dei prestatori i quali, in quanto appartenenti alla categoria dei quadri, svolgono con carattere continuativo funzioni di rilevante importanza per gli obiettivi dell'impresa. Viene nell'occasione valutato l'assoggettamento o meno di tali lavoratori ad obblighi di orario e, nell'ipotesi affermativa, ponderata la gravità delle relative infrazioni disciplinari al fine di stabilire se le stesse possono giustificare la massima sanzione del licenziamento. Per introdurre l'argomento, è opportuno ricordare che i quadri, riconosciuti con la legge n.190/1985 nel sistema di classificazione dei prestatori di lavoro subordinato, di cui all'art. 2095 c.c., hanno inquadramento collocato fra quello dei dirigenti e quello degli impiegati: ma ad essi si applica la disciplina prevista per questi ultimi, salvo che la legge o il CCNL dispongano altrimenti (art. 2, comma 3, legge cit.). Quanto all'orario di lavoro, anche tale categoria soggiace alla normativa introdotta dal d. lgs. n. 66/2003 in attuazione della Direttiva 1993/104/CE, innestatasi sul preesistente impianto costituito dagli artt. 2107,2018 e 2109 c.c. nonché dall'art. 36 Cost. La normativa è diretta a regolamentare la materia in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, nel pieno rispetto del ruolo dell'autonomia negoziale collettiva e con riferimento a tutti i settori di attività pubblici e privati. La stessa legge prevede però varie ipotesi di esclusione dall'ambito applicativo, tra le quali quella in favore del personale direttivo delle aziende: non soggetto all'osservanza dell'orario di lavoro a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata che, non misurata o predeterminata, può quindi essere determinata dai lavoratori stessi (art. 17, capo V, comma a), d. lgs. cit.). In tale prospettiva, anche per il quadro aziendale, il cui status professionale è comunque caratterizzato da elevate responsabilità e da una certa autonomia decisionale, sorgono dubbi sull'obbligo di rispettare in maniera rigida l'orario di lavoro prestabilito o, al contrario, sull'esistenza di un margine di flessibilità nella gestione temporale della propria prestazione. Stando alla lettera della legge, in primo luogo deve certamente riconoscersi che la deroga in via assoluta ai vincoli concernenti l'orario di lavoro, prevista appunto dall'art. 17 d.lgs. n.66/200, si riferisce alla categoria dei dirigenti: soggetti che esercitano funzioni di direzione generale o gestiscono rami aziendali autonomi, con pieni poteri gestionali e responsabilità strategica. Più difficile, invece, è individuare l'ulteriore profilo contemplato dalla norma, ovverosia quello del “personale direttivo con potere di decisione autonomo”. Sul piano generale, può dirsi che le indicate caratteristiche sono proprie dei lavoratori i quali, pur non essendo formalmente dirigenti, in ogni caso hanno effettiva autonomia decisionale nella gestione di settori aziendali rilevanti, con diretta responsabilità sui relativi risultati. In concreto, non è comunque sostenibile la tesi dell'automatico inserimento della categoria dei quadri nelle ipotesi escluse dalle limitazioni d'orario exd.lgs. n.66/2003. Tale orientamento nel caso in esame è apertamente recepito dai Supremi Giudici. Nella sentenza esaminata, infatti, il Collegio espressamente afferma di condividere la decisione della Corte territoriale che aveva escluso che il lavoratore ricorrente, sulla base della sua qualifica, potesse per ciò solo dirsi esentato dal rispetto di un orario di lavoro. Per contro, la posizione lavorativa ricoperta dal dipendente era risultata, sulla scorta dell'attività istruttoria, non sovrapponibile a quelle considerate dal citato decreto legislativo ai fini della esclusione delle limitazioni concernenti l'orario di lavoro. In capo allo stesso lavoratore, invero, non erano emersi poteri decisionali autonomi né lo svolgimento di funzioni direttive quale preposto a singoli servizi o sezioni dell'azienda con la diretta responsabile di essi ovvero che il quadro medesimo avesse svolto funzioni rappresentative o vicarie, La fattispecie non è stata pertanto ritenuta equiparabile a quelle dei dirigenti e del personale direttivo indicate dalla norma. Anche le regole della contrattazione collettiva giustificano l'assunto, nella parte in cui richiamano (anche) la qualifica di Quadro nel prevedere l'obbligo di osservanza dell'orario di lavoro giornaliero; e ciò a prescindere dal riconoscimento dell'indennità di funzione incidente, eventualmente, sul riconoscimento del lavoro straordinario. Nel caso concreto, infine, la Corte ritiene che lo stesso lavoratore fosse a conoscenza di essere vincolato ad un orario di lavoro tanto che, nelle giustificazioni rese, egli aveva evidenziato di avere lavorato per orario eccedente rispetto a quello previsto. Esaminando un ulteriore motivo di ricorso, la S.C. affronta poi la più ampia materia dell'illecito disciplinare, al fine di scrutinare la sussistenza nel caso concreto di una giusta causa di licenziamento. In buona sostanza, accertato che il lavoratore ricorrente, appunto con qualifica di quadro, aveva più volte allungato arbitrariamente, raddoppiandola, la pausa pranzo e terminato in anticipo la giornata lavorativa, la Corte deve valutare la legittimità del licenziamento a lui comminato in ragione di tale condotta da ritenersi illecita sul piano disciplinare. Sul punto, non vengono spesi argomenti diversi dal richiamo dei consolidati principi di legittimità. In particolare, viene ribadito che in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie. La scala valoriale formulata dalle parti sociali, pertanto, costituisce soltanto uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all'art. 2119 c.c. (Cass. n. 17321/2020; Cass n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019). All'opposto, è vincolante la previsione della contrattazione collettiva se per il fatto addebitato viene prevista, in modo tipizzato ovvero desunta attraverso l'interpretazione di una clausola elastica e generale, l'applicazione di una sanzione conservativa (Cass. n. 8718/2017; Cass. n. 9223/2015; Cass. n. 11665/2022), a meno che il giudice non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 8621/2020; Cass. n. 9223/2015) ovvero quando siano presenti elementi aggiuntivi, estranei o aggravanti rispetto alla previsione contrattuale (Cass. n. 36427/2023). Applicando al caso di specie tali principi, la S.C. esclude che i fatti addebitati (ed accertati) in capo al dipendente rientrino nell'ambito applicativo della disposizione collettiva riferibile al rapporto di causa che, per la sua formulazione, punisce con sanzione conservativa il singolo episodio di ritardo o la singola sospensione dal lavoro. Per contro, nella condotta del lavoratore viene ravvisata una serie sistematica e reiterata di comportamenti che violavano l'osservanza dell'orario di lavoro caratterizzati, peraltro, da una indifferenza alle regole e al richiamo precedentemente rivolto al dipendente stesso alla necessità di attenersi scrupolosamente al rispetto dell'orario contrattuale. Quanto, infine, alle censure mosse dal lavoratore con riferimento all'accertata congruenza del licenziamento intimato, la S.C. sottolinea il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. In conclusione, il giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva nell'occasione adottata, come sempre svolto tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, conduce il Collegio a qualificare l'inadempimento del lavoratore come importante e non indotto da un comportamento del datore di lavoro non improntato a buona fede e correttezza; inadempimento che, avendo determinato una irrimediabile lesione dell'elemento fiduciario su cui si fonda il rapporto di lavoro, inteso come concreto interesse del datore all'esatto e puntuale adempimento futuro della prestazione da parte del lavoratore, deve ritenersi legittimo. Viene pertanto definitivamente rigettata la relativa impugnazione del lavoratore. Osservazioni La pronuncia esaminata conferma che, malgrado l'opinione corrente, il lavoratore in posizione di quadro non rientra, automaticamente e di per sé, tra le categorie di lavoratori esclusi dal campo d'applicazione della normativa sull'orario di lavoro. Solo in limitati casi, infatti, i quadri, al pari dei dirigenti, in forza dell'art. 17, d.lgs. 66/2003 non hanno l'obbligo di rispettare alcun orario di lavoro e, quindi, non sono tenuti a far rilevare la loro presenza all'ingresso o all'uscita dalla sede lavorativa. Più nello specifico, fermo il principio di auto-responsabilizzazione che caratterizza la sua prestazione lavorativa la possibilità per il quadro di determinare liberamente il proprio orario di lavoro sussiste soltanto quando la prestazione stessa si contraddistingue per l'autonomia gestionale, la presenza di poteri rappresentativi e, in sostanza, per la sussistenza di funzioni e responsabilità comparabili a quelle dirigenziali. In caso contrario, e per regola generale, il lavoratore quadro è soggetto al rispetto dell'orario di lavoro contrattualmente stabilito. Il vincolo diviene ancor più stringente nel caso in cui il contratto collettivo applicabile al rapporto specificamente preveda, anche per tale categoria di dipendenti, un orario cogente, settimanale e/o giornaliero. La questione ha inoltre indubbie ripercussioni sul riconoscimento in favore del dipendente della maggiorazione retributiva per lavoro straordinario, in ragione dell'elasticità dei compiti al medesimo sovente affidati dall'imprenditore, quali, ad esempio, la partecipazione ad eventi di rappresentanza, meeting, fiere, etc. (cfr. Cass. n. 16041/2008). Quanto infine alle ulteriori argomentazioni svolte nella sentenza in commento, che attengono alla valutazione disciplinare dei fatti all'origine del licenziamento intimato, nient'altro può dirsi se non che le stesse, non introducendo nuovi spunti interpretativi, si limitano a confermare principi da tempo consolidati nella giurisprudenza di legittimità e di merito. |