Accomodamenti ragionevoli e onere della prova nel licenziamento per inidoneità sopravvenuta del lavoratore disabile
13 Giugno 2025
Massima Nel giudizio avente a oggetto l’impugnativa del licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore disabile, il datore di lavoro non può limitarsi a dimostrare l’adempimento dell’obbligo di repêchage, ma deve anche provare di aver adottato gli “accomodamenti ragionevoli”, ossia misure organizzative concretamente idonee a consentire la prosecuzione del rapporto. La mancata adozione di tali misure, ove non sia dimostrata l’impossibilità di attuarle senza un onere sproporzionato, vizia il recesso datoriale. Il caso Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si pronuncia sulla legittimità del licenziamento di un lavoratore divenuto permanentemente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni. Il Giudice di prime cure aveva annullato il licenziamento, ritenendo che la società non avesse provato di aver adottato "accomodamenti ragionevoli" per mantenere il lavoratore in servizio. La Corte territoriale, aderendo alla valutazione del Tribunale, aveva ritenuto il licenziamento illegittimo, in quanto il datore di lavoro non aveva dedotto e provato che il possibile mutamento dell'assetto organizzativo avrebbe comportato un onere finanziario ed economico sproporzionato. La Suprema Corte, condividendo le valutazioni dei giudici di merito, ribadisce che grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare l’adozione di ogni misura organizzativa ragionevole volta a scongiurare il licenziamento. La questione L'obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli può essere assolto deducendo l'impossibilità di una ricollocazione del dipendente disabile in altre mansioni, anche inferiori, o richiede la concreta dimostrazione dell'adozione di misure idonee a mantenere il lavoratore in servizio? Le soluzioni giuridiche La sentenza valorizza in modo determinante l'obbligo datoriale di adottare accomodamenti ragionevoli, inteso in senso concreto e operativo. Non si tratta di un adempimento meramente formale: il datore è tenuto a valutare, caso per caso, tutte le soluzioni organizzative, tecnologiche e gestionali che consentano al lavoratore disabile di conservare l'occupazione. Il parametro guida è rappresentato dall'equilibrio tra tutela del lavoratore e sostenibilità per l'impresa, come previsto dall'art. 3, comma 3-bis, d.lgs. 216/2003, attuativo della Direttiva 2000/78/CE. La Corte, richiamando il proprio consolidato orientamento (in particolare, Cass. n. 6497/2021), sottolinea che l'onere della prova in merito all'adozione di accomodamenti ragionevoli grava sul datore di lavoro. A tal fine, il datore di lavoro non può limitarsi ad affermare l'assenza di posizioni libere o l'impossibilità di ricollocazione del dipendente, ma deve dimostrare di aver compiuto uno sforzo concreto e diligente per individuare soluzioni ragionevoli e che l'adozione di tali misure non fosse possibile senza oneri sproporzionati. Il comportamento dovuto si caratterizza, dunque, non tanto, in negativo, per il divieto di comportamenti che violano la parità di trattamento, quanto, piuttosto, in positivo, come ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un'attività lavorativa, altrimenti preclusa al dipendente disabile. La mancata allegazione e prova di tali elementi vizia il recesso. La Corte chiarisce che l'onere della prova relativo agli accomodamenti ragionevoli si aggiunge e distingue rispetto a quello connesso all'obbligo di repêchage. Mentre quest'ultimo impone al datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni, anche inferiori, compatibili con la sua professionalità, l'obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli comporta un ulteriore e autonomo dovere in capo al datore di lavoro di attivarsi concretamente per consentire al lavoratore di rimanere in servizio, anche mediante adattamenti organizzativi o tecnologici. La Corte precisa che tale onere può essere assolto mediante la deduzione di atti o operazioni strumentali al perseguimento dell'accomodamento ragionevole, rilevanti come fatti secondari di natura indiziaria o presuntiva, capaci di fondare il convincimento del giudice circa la diligenza e l'effettività dello sforzo datoriale per evitare il licenziamento. La nozione di handicap non si ricava dal diritto interno, ma dal diritto dell'Unione Europea, interpretato alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con legge n. 18/2009. Secondo la Corte di Giustizia, l'“handicap” include una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile che comporti una limitazione risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, tale da ostacolare — in interazione con barriere di diversa natura — la piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza, purché tale limitazione sia duratura. La Suprema Corte osserva che "tra gli indizi che consentono di considerare "duratura" una limitazione figura in particolare la circostanza che, all'epoca del fatto asseritamente discriminatorio, la menomazione dell'interessato non presenti una prospettiva ben delimitata di superamento nel breve periodo o, (...), il fatto che tale menomazione possa protrarsi in modo rilevante prima della guarigione di tale persona", mediante una valutazione essenzialmente di fatto compiuta dal giudice, basata "sugli elementi obiettivi complessivi di cui dispone, in particolare sui documenti e sui certificati concernenti lo stato di tale persona, redatti sulla base di conoscenze e dati medici e scientifici attuali" costituisce indizio la mancanza di una prospettiva definita di superamento nel breve periodo, oppure il fatto che la menomazione possa protrarsi sensibilmente prima della guarigione. La valutazione, essenzialmente fattuale, è rimessa al giudice sulla base di documentazione medica aggiornata e attendibile (CGUE, sentenza 1.12.2016, Daouidi, cause riunite C-395/15, punti 54-57)”. La Corte di Cassazione richiama la nozione di disabilità elaborata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, secondo cui rientra nella definizione di "handicap" qualsiasi condizione patologica che comporti una limitazione duratura che ostacola la piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Osservazioni La sentenza n. 12270/2025 rappresenta un ulteriore passo avanti verso la costruzione di un modello di gestione del personale inclusivo, in cui il datore di lavoro è chiamato a un ruolo attivo nella tutela dei lavoratori disabili. L’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli non può essere assolto deducendo l’impossibilità di una ricollocazione del dipendente disabile in altre mansioni, anche inferiori, ma richiede la concreta dimostrazione dell’adozione di misure idonee a mantenere il lavoratore in servizio. La mancata adozione di tali misure, in assenza di prova dell'impossibilità di attuarle senza oneri sproporzionati, vizia il recesso datoriale. |