Il trattamento economico dei dipendenti di società in house

21 Maggio 2025

Con le due sentenze in commento, la Suprema Corte affronta il tema dei limiti imposti al trattamento economico di dirigenti e dipendenti di società in house, evidenziandone la soggezione – in modo analogo al pubblico impiego privatizzato – alla contrattazione collettiva ed alle norme sul lavoro privato nell’impresa, con conseguente invalidità di pattuizioni ed inefficacia di attribuzioni unilaterali di trattamenti accessori migliorativi rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva.

Inquadramento

Cass. n. 30578/2024 : In tema di trattamento economico dei dipendenti delle società in house, in vigenza dell'art. 18, comma 2-bis d.l. 25 giugno 2008 n. 112 (introdotto dal d.l. 1° luglio 2009, n. 78, come modificato dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102), si applicano le disposizioni normative vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria, di tal ché, in deroga alla disciplina privatistica, è vietato il riconoscimento di trattamenti economici diversi da quelli stabiliti dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, e sono nulle le pattuizioni contrarie, salvi i diritti quesiti in virtù di valide pattuizioni individuali pregresse.

Cass. n. 6422/2025 : In tema di trattamento economico dei dipendenti delle società in house, va escluso, a fronte di disposizioni ostative introdotte dalla contrattazione collettiva sopravvenuta, il diritto dei dipendenti alla conservazione del trattamento economico accessorio unilateralmente attribuito dall'azienda consortile pubblica, precedente datrice di lavoro, pur se confermato – sempre in via unilaterale – dalla società in house che sia subentrata nel rapporto di lavoro, essendo quest'ultima soggetta alle disposizioni del codice civile ed alle norme generali di diritto privato, salve le disposizioni speciali di cui al d.lgs. n. 175/2016. Né, a fronte della contraria contrattazione collettiva sopravvenuta, un tale trattamento accessorio può essere conservato ove pure abbia assunto i caratteri dell'uso aziendale.

Le due fattispecie concrete

Cass. 30578/2024: Tizio riceveva nell'aprile 2008 l'incarico di dirigente di una società che, solo a decorrere dal novembre 2009, assumeva natura di società in house. Scaduto l'incarico, dal luglio 2013 egli veniva mantenuto in servizio dalla società con rapporto a tempo indeterminato quale direttore esecutivo, con conservazione altresì del superminimo illo tempore pattuito per l'incarico dirigenziale. Dal novembre 2013, la società tuttavia decurtava il superminimo dal trattamento economico contrattualmente pattuito. Tizio agiva pertanto in giudizio per sentir dichiarare l'illegittimità delle decurtazioni subite e condannare la società al pagamento di quanto trattenuto.

Il Tribunale respingeva sia la domanda proposta da Tizio, sia la domanda riconvenzionale proposta dalla società per ottenere la restituzione del superminimo già versato. La sentenza veniva impugnata da entrambe le parti.

La Corte d'appello accoglieva il gravame proposto da Tizio, dichiarando l'illegittimità delle decurtazioni da lui subite a decorrere dal novembre 2013, e respingeva l'appello incidentale proposto dalla società per ottenere la restituzione di quanto versato al dirigente a titolo di superminimo a decorrere dall'aprile 2008.

Avverso tale sentenza proponevano ricorso entrambe le parti.

Cass. n. 6422/2025:Un'azienda consortile pubblica, con deliberazione del 1998, stabiliva di attribuire ai dipendenti Caio e Sempronio, avvocati del proprio ufficio legale, le somme ad essa versate dalle controparti in giudizio a titolo di competenze ed onorari. Caio e Sempronio, transitati alle dipendenze delle società via via succedutesi nel tempo, conservavano tale attribuzione finché nell'aprile 2011 la nuova parte datoriale, società in house, cessava nei loro confronti ogni versamento a tale titolo. Essi agivano pertanto in giudizio al fine di ottenere l'accertamento del proprio diritto al controvalore degli onorari incassati dalla società e la condanna di quest'ultima al pagamento in loro favore delle somme di rispettiva spettanza, maturate nel periodo dal 1° maggio 2011 al 17 settembre 2017, data della richiesta di ammissione della società al concordato preventivo.

Il Tribunale respingeva il ricorso.

A seguito di impugnazione, la Corte d'appello respingeva il gravame, rilevando che l'azienda consortile pubblica, originaria datrice di lavoro, aveva deliberato in via unilaterale l'attribuzione di competenze ed onorari in favore degli avvocati del proprio ufficio legale, e tanto al solo fine di adeguare il loro trattamento economico alla tradizione normativa relativa all'Avvocatura dello Stato ed alle avvocature di amministrazioni locali ed enti pubblici; e rilevando altresì che parimenti le società successivamente subentrate nel rapporto di lavoro avevano confermato tale trattamento accessorio sempre mediante delibere unilateralmente adottate, senza che fosse mai intervenuta in proposito tra le parti alcuna pattuizione aggiuntiva ai rispettivi contratti individuali di lavoro.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il solo Caio.

Pattuizioni e contrattazione collettiva 

Le questioni in esame sono le seguenti:

Cass. 30578/2024: È valida, nell'ambito delle società in house, la pattuizione di superminimi e, in genere, di attribuzioni economiche non previste dalla contrattazione collettiva? Il dirigente di una società ha diritto a conservare il superminimo contrattualmente pattuito prima che la parte datoriale assumesse natura di società in house?

Cass. 6422/2025: A fronte di disposizioni contrarie della contrattazione collettiva sopravvenuta, il dipendente di una società ha diritto a conservare un trattamento economico accessorio unilateralmente riconosciutogli dall'azienda consortile, precedente datrice di lavoro, e successivamente confermatogli sempre in via unilaterale dalla società in house succeduta nel rapporto di lavoro?

La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata più volte, da un lato, sui limiti imposti alla retribuzione dei pubblici dipendenti, dall'altro sulla normativa applicabile ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle società a partecipazione pubblica.

Sotto il primo profilo, ha chiarito che nel pubblico impiego privatizzato, ove il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva, non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore, pervenendo dunque ad escludere la configurabilità di un diritto quesito del dipendente a continuare a percepire un trattamento economico – neppure se di miglior favore – che non trovi titolo nel contratto collettivo (ex plurimis: Cass. sez. lav., 02 dicembre 2019, n. 31387; Cass. sez. lav., 09 maggio 2022, n. 14672).

Sotto il secondo profilo, ha precisato che al rapporto di lavoro alle dipendenze delle società partecipate da enti pubblici, in assenza di una disciplina derogatoria speciale, si applicano le norme del codice civile e le leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze dei privati (ex plurimis, Cass. sez. lav., 01 settembre 2023, n. 25590); e che l'art. 18 del d.l. n. 112/2008, conv. dalla legge n. 133/2008, ha esteso alle predette società a partecipazione pubblica le procedure concorsuali e selettive previste per le amministrazioni pubbliche, imponendo espressamente il rispetto dei principi stabiliti dall'art. 35, comma 3, del d.lgs. 165 del 2001, non solo per il reclutamento del personale ma anche per il conferimento degli incarichi (così, Cass. sez. lav., 14 settembre 2022, n. 27126). A detti principi – in particolare trasparenza, pubblicità, imparzialità – ha ritenuto debbano conformarsi in particolare le società in house cui sia applicabile ratione temporis l'art. 18, d.l. 112/2008 (ex plurimis, Cass. sez. lav., 5 gennaio 2024, n. 420).

Risultano poi aver affrontato lo specifico tema della retribuzione dei dipendenti delle società in house alcune pronunce delle Sezioni Penali della Corte di cassazione (Cass. sez. VI Pen., 3 aprile 2023, n. 23910) e di merito (Trib. Napoli, 1 ottobre 2015), le quali hanno ritenuto applicabili a tale retribuzione i limiti previsti per la retribuzione dei dipendenti pubblici privatizzati dalla contrattazione collettiva e dalle norme sul contenimento della spesa pubblica (art. 5, comma 8, d.l. 6 luglio 2012, n. 95).

Con le due pronunce in commento, la Sezione Lavoro della Suprema Corte – sulla scorta della ritenuta applicabilità alle società in house della contrattazione collettiva e delle norme sul lavoro privato – perviene dunque alla conseguenziale estensione, ai dirigenti e dipendenti di tali società, dei medesimi limiti imposti alla retribuzione dei dipendenti privatizzati delle pubbliche amministrazioni, valendo per le società in house i medesimi criteri di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria imposti per le amministrazione pubbliche.

La sentenza n. 20578/2024, infatti, evidenzia anzitutto la distinzione tra il regime applicabile al lavoro privato, in cui è consentita la pattuizione di trattamenti economici ad personam, e il regime del pubblico impiego privatizzato, in cui gli aspetti retributivi sono rimessi in via esclusiva alla legge ed alla contrattazione collettiva, senza che possano essere attribuiti al lavoratore trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, neppure se di miglior favore.

Posta tale premessa, la sentenza in commento estende dunque tale ultimo regime ai dipendenti delle società in house che rientrino fra quelle previste dalla prima parte dell'art. 18, comma 2-bis del d.l. n. 112 del 2008 (“società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara”) – in quanto mere longae manus delle pubbliche amministrazioni partecipanti –, precisando tuttavia che ove tale natura di società in house sia assunta dalla parte datoriale solo nel corso del rapporto di lavoro, il lavoratore conserva il diritto al trattamento retributivo di miglior favore eventualmente pattuito, esclusivamente sino alla scadenza dell'incarico illo tempore ricevuto, cessato il quale egli non vanta alcun diritto quesito alla conservazione di un trattamento economico non previsto dalla contrattazione collettiva.

Con la successiva sentenza n. 6422/2025, la Corte di Cassazione – posta nel caso di specie l'interpretazione della contrattazione collettiva sopravvenuta come ostativa alla conservazione di ogni trattamento economico accessorio – esclude parimenti che possa essere conservato il trattamento economico accessorio già riconosciuto in favore degli avvocati aziendali ad opera di delibere unilaterali assunte dall'azienda consortile pubblica, originaria datrice di lavoro, e confermato – di nuovo in via unilaterale – dalla società in house succeduta nel rapporto.

La Corte precisa altresì che ad una diversa soluzione non potrebbe pervenirsi neppure ove il trattamento accessorio avesse assunto nel tempo i caratteri dell'uso aziendale, giacché anche su quest'ultimo prevarrebbe comunque la contraria disposizione della contrattazione collettiva sopravvenuta.

Tanto perché, trattandosi di società in house, devono ritenersi applicabili – in disparte le disposizioni speciali contenute nel d. lgs. n. 175/2016 ove pro tempore vigenti – le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato, di tal ché in un tale contesto privatistico il contratto collettivo aziendale sopravvenuto ben può modificare in pejus il trattamento economico dei dipendenti, eliminando benefici insorti non sulla base di pattuizioni individuali ma di mere attribuzioni unilaterali della parte datoriale, anche ove in ipotesi assurti ad usi aziendali.

Trattamento economico dei dipendenti delle società a partecipazione pubblica: limiti, raffronto con il pubblico impiego privatizzato

Le sentenze in commento sviluppano, con riguardo allo specifico profilo del trattamento economico, la tematica del raffronto tra la disciplina applicabile al personale dipendente dalle società a partecipazione pubblica e quella applicabile ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

La tematica era stata sinora esaminata dalla giurisprudenza soprattutto con riguardo al diverso profilo del reclutamento del personale (Cass. sez.un. 1° dicembre 2016, n. 24591; Cons. di St. 11 dicembre 2015, n. 5643), anche nell'ottica della eventuale reinternalizzazione dei servizi pubblici e, pertanto, del problematico passaggio – alle dipendenze del socio pubblico – del personale assunto dalle società (Corte cost. 21 maggio 2013, n. 227; Corte cost. 1° luglio 2013, n. 167; Cass. sez.un. 3 luglio 2023, n. 18749; Cass. sez.un. 27 marzo 2017, n. 7759). Altre pronunce, si erano invece occupate dei diversi profili attinenti alla conversione di rapporti a termine illegittimi in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (Cass. 1° agosto 2019, n. 20782), nonché allo svolgimento di mansioni superiori (Cass. 1° gennaio 2022, n. 35422; Cass. 1° settembre 2023, n. 25590).

Le due sentenze in commento, posta la soggezione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle società in house alla contrattazione collettiva ed alle norme di legge sul lavoro subordinato nell'impresa, analizzano dunque le ricadute di tale soggezione sul trattamento economico di dipendenti e dirigenti di dette società, alla stregua del criterio direttivo del contenimento degli oneri contrattuali.

Vengono in luce, così, profili di più intensa simiglianza con il pubblico impiego privatizzato rispetto a quanto non emerga in materia di costituzione del rapporto di lavoro ed inquadramento del personale.

Ne risulta uno status del dipendente di società in house che appare un ibrido tra quello del dipendente pubblico privatizzato e quello del lavoratore privato: da un lato, soggetto, quanto al trattamento economico, ai vincoli di spesa pubblica, in modo analogo al dipendente pubblico privatizzato, con il conseguente divieto di trattamenti economici di maggior favore rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva; dall'altro, sottoposto a forme di reclutamento che, seppur assimilabili al pubblico concorso quanto ai principi applicabili, non assurgono a vera e propria procedura selettiva concorsuale, con conseguente assoggettamento alla giurisdizione del G.O., e non gli attribuiscono pertanto il diritto all'ingresso nella pubblica amministrazione in caso di reinternalizzazione del servizio affidato; dall'altro ancora, assimilabile al lavoratore privato quanto alla disciplina delle mansioni superiori.

Da una lettura sinottica delle due pronunce si evince infatti che, per i dipendenti delle società in house, così come per i dipendenti pubblici privatizzati, il trattamento economico fissato dalla contrattazione collettiva non può essere derogato in melius né da pattuizioni che intercorrano tra il lavoratore e la società, né da atti unilaterali della parte datoriale, dovendo ritenersi che: gli accordi in senso migliorativo conclusi tra le parti siano nulli; e gli atti unilaterali adottati dalla società in house in veste di parte datoriale siano parimenti inidonei a far insorgere in capo al lavoratore il diritto ad un trattamento economico migliorativo.

Tale assetto si riverbera peraltro anche in senso diacronico sui rapporti di lavoro iniziati anteriormente alla trasformazione della parte datoriale in società in house: invero, da un lato, gli eventuali usi aziendali pregressi che prevedano un trattamento economico di miglior favore, possono essere legittimamente incisi dalla successiva contrattazione collettiva meno favorevole; dall'altro, gli atti unilaterali della parte datoriale in virtù dei quali i dipendenti abbiano ricevuto nel tempo trattamenti economici accessori, non possono essere utilmente azionati ove la società in house cessi di corrisponderli; infine, i patti migliorativi individuali eventualmente conclusi in epoca anteriore restano validi fino alla cessazione dell'incarico a tempo determinato in relazione al quale siano stati stipulati, senza esplicare tuttavia efficacia sull'ulteriore rapporto a tempo indeterminato intercorrente con la parte datoriale medio tempore trasformata in società in house.

Di tal ché di diritti quesiti può ragionarsi esclusivamente entro i ristretti limiti di una pattuizione individuale intervenuta anteriormente alla trasformazione della parte datoriale in società in house, ed esclusivamente fino alla cessazione dello specifico incarico in relazione al quale la pattuizione è intervenuta.

Un tale assetto, peraltro, appare trovare sostanziale conferma anche nel vigente Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (d. lgs. n. 175 del 2016), il quale disciplina la “gestione del personale” per mezzo dell'art. 19, stabilendo che “ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi”, con disciplina che rinviene la sua ratio nel “contenimento degli oneri contrattuali” di cui al comma 5 del medesimo art. 19.

Riferimenti

G. Fontana, Il rapporto di lavoro nelle società pubbliche: problemi applicativi e riforme legislative, in Il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2014;

A. Nicodemo, Il pubblico concorso e il momento costitutivo del rapporto di lavoro nelle società pubbliche. Regole e privilegi, in Diritto Amministrativo, 2018;

P. Tullini, Processi organizzativi e continuità del lavoro nelle società partecipate, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2019;

C. Marotta, Reclutamento e conversione del rapporto nelle società partecipate, in Lavoro Diritti Europa, 2024.

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