Pregiudizialità dell’accertamento della concorrenza sleale rispetto all’impugnazione del licenziamento del dipendente stornato

Alessandro Tonelli
Giulia Passaquindici
20 Gennaio 2025

L’ordinanza tratta essenzialmente di profili processuali che costituiscono l’occasione, muovendo dall’analisi del rapporto di pregiudizialità del giudizio relativo alla concorrenza sleale tra imprese rispetto a quello di impugnazione del licenziamento, per conoscere una decisione di merito che ha rinvenuto il motivo illecito di licenziamento nello scopo di realizzare lo storno di dipendenti della concorrente.

Massima

La sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto, ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento ex art. 295 c.p.c. alcuna ragion d’essere, e traducendosi anzi in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione. Ne consegue che, ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l’onere di dimostrare che quest’altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, dovendo ritenersi, in difetto, che manchi la prova dell’interesse concreto ed attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo né la Corte di cassazione, né un eventuale giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio, in attesa della definizione di un’altra causa che non risulti più effettivamente in corso

Il caso

La Cassazione ha respinto il ricorso proposto dalla società avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trento che, confermando la decisione del Tribunale, aveva escluso il rapporto di pregiudizialità del giudizio relativo alla concorrenza sleale tra due imprese rispetto a quello di impugnazione del licenziamento per motivo illecito, rappresentato dallo scopo di realizzare lo storno di dipendenti, proposto dalla lavoratrice licenziata da una delle imprese concorrenti al solo fine di distruggere la rete commerciale dell’altra.

La questione

La Corte analizza i presupposti del rapporto di pregiudizialità tra cause che legittimano la richiesta di un provvedimento di sospensione del processo in attesa che venga risolta la controversia dalla definizione della quale dipende la prosecuzione di quello sospeso.

Viene altresì delineato il perimetro probatorio della parte che chiede la sospensione.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza dà continuità all'orientamento secondo cui, affinché il giudice possa disporre la sospensione del processo in attesa della definizione di altro pendente, occorre che esista tra le cause un rapporto di pregiudizialità non solo concreto ma anche attuale.

Quest'ultimo requisito sussiste quando la causa ritenuta pregiudiziale è pendente in concomitanza con quella di cui si chiede la sospensione e di ciò deve dare la prova chi invoca il provvedimento di cui all'art. 295 c.p.c.

A tale onere si affianca anche quello di dimostrare che la causa pregiudiziale sarà verosimilmente in corso anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, posto che diversamente verrebbe meno l'interesse alla sospensione.   

Osservazioni

La questione di pregiudizialità tra il giudizio di concorrenza sleale tra imprese e quello di impugnazione del licenziamento della dipendente di una di queste, che invoca il motivo illecito consistente nell’assunzione al solo fine di stornare i dipendenti della concorrente, consente di porre l’attenzione alle motivazioni che hanno condotto i giudici del merito a ritenere nullo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Pur rimettendo ogni più approfondita analisi delle dinamiche di fatto e delle conseguenti deduzioni di diritto alla lettura delle sentenze di merito cui l’ordinanza si riferisce, quando disponibili, è possibile sin d’ora porre l’attenzione sui seguenti aspetti che hanno fondato l’accertamento del motivo illecito di licenziamento nell’ambito della presunta lotta concorrenziale tra imprese.

Il Tribunale di Trento ha accertato l’inesistenza delle giustificazioni poste alla base del provvedimento espulsivo, rappresentate da pretese esigenze di riorganizzazione dell’area commerciale aziendale cui era adibita la dipendente licenziata, anche al fine di contenere i costi e rendere più produttiva la rete commerciale, e dagli scarsi risultati rilevati nell’area assegnata alla lavoratrice.

A sostegno di detta pronuncia, per quanto è possibile comprendere dall’esame di quella di legittimità, il giudice di prima cure ha verificato, tra l’altro, che il rivendicato mancato sviluppo della zona assegnata alla dipendente fosse dipeso dalla mancata predisposizione dei mezzi e dell’organizzazione indispensabili per tale obiettivo, e non allo scarso rendimento dell’area, rimanendo non dimostrata la rivendicata impossibilità di espansione dell’impresa in quella zona.

Il motivo oggettivo ha ceduto anche a fronte dell’accertamento dell’inerzia dell’impresa rispetto al dichiarato intento di sviluppare il settore, finalità che aveva formalmente sorretto l’assunzione della lavoratrice.

Tali accertamenti hanno condotto il giudice di primo grado a escludere il motivo oggettivo e, conseguentemente, condannare la datrice di lavoro alla reintegrazione e al risarcimento del danno.

Non è mancata l’impugnazione da parte della società che, tuttavia, ha visto confermata detta decisione anche in sede di appello.

La Corte, infatti, ha, tra l’altro, escluso la rilevanza di una pretesa “guerra” tra imprese per assicurarsi posizioni dominanti l’una a danno dell’altra, atteso che “i lavoratori sono soltanto una delle risorse necessarie per potenziare l’impresa, ma non meno importante è l’organizzazione necessaria e indispensabile per incrementare la propria posizione sul mercato”. Tanto ha assunto importanza per verificare il motivo illecito nel contesto dell’accertata inerzia della datrice che era rimasta “sostanzialmente immobile” nel predisporre le misure necessarie, comprensive non solo del fattore umano, a guadagnare vantaggio nella competizione con la concorrente. 

Non solo, ma anche il fatto che la lavoratrice fosse stata convenuta nel giudizio di concorrenza sleale, in quanto ritenuta responsabile dello storno di dipendenti insieme all’azienda che poi l’aveva licenziata, è stata considerata circostanza irrilevante, posto che era risultato provato in giudizio sia il fatto che la dipendente avesse realmente voluto il suo contratto di lavoro sia che si fosse effettivamente impegnata nell’attività al punto da realizzare anche un incremento di fatturato.

La Corte ha, in conclusione, ritenuto inammissibili tutti i motivi di impugnazione proposti, confermando le decisioni di merito.

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