Utilizzabile lo screenshot di una immagine inviata durante una chat WhatsApp

19 Maggio 2025

È utilizzabile nel processo penale, in difetto di un provvedimento di sequestro, lo screenshot di una immagine trasmessa durante una chat dall'imputato e consegnata alla polizia giudiziaria dalla persona offesa che l'ha ricevuta da un soggetto che ha preso parte alla conversazione?

Massima

È utilizzabile lo screenshot di una immagine inviata dall'imputato durante una chat WhatsApp, anche in mancanza di un provvedimento di sequestro ex art. 254 c.p.p., nel caso in cui sia stato fornito alla persona offesa, che lo ha consegnato alla polizia giudiziaria, da un soggetto che aveva preso parte alla conversazione (Fattispecie in tema di diffusione di immagini sessualmente esplicite destinate a rimanere).

Il caso

La Corte d'appello ha confermato la condanna dell'imputato del delitto di diffusione di video sessualmente espliciti di cui all'art. 612-ter c.p.

Avverso detta decisione è stato proposto ricorso per cassazione.

Il ricorrente ha dedotto, tra l'altro, il vizio della motivazione della sentenza impugnata, perché la persona offesa non sarebbe riconoscibile nell'immagine sessualmente esplicita trasmessa dall'imputato durante una chat, e la violazione di legge, in quanto la prova della diffusione di immagini sessualmente esplicite sarebbe derivata solo da uno screenshot della chat, non acquisito nel rispetto delle disposizioni processuali di riferimento.

La questione

I messaggi WhatsApp, anche se già ricevuti, letti dal destinatario e conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario o del mittente, secondo la Corte costituzionale, conservano il carattere di corrispondenza fino a quando, per il decorso del tempo, essi non abbiano perso carattere di attualità in rapporto all'interesse delle parti alla loro riservatezza, trasformandosi in un mero documento storico. L'acquisizione probatoria degli stessi presuppone l'adozione di un provvedimento di sequestro.

Nei messaggi possono essere incluse anche immagini, di cui possono essere effettuati screeshot.

È utilizzabile nel processo penale, in difetto di un provvedimento di sequestro, lo screenshot di una immagine trasmessa durante una chat dall'imputato e consegnata alla polizia giudiziaria dalla persona offesa che l'ha ricevuta da un soggetto che ha preso parte alla conversazione?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo concernente la riconoscibilità della persona offesa nell'immagine trasmessa dall'imputato.

Il collegio ha rilevato che la possibilità per il destinatario di tale immagine di riconoscere nella stessa la persona offesa era stata ragionevolmente desunta dai giudici di merito dalla lunga conversazione intrattenuta tra le parti e dai riferimenti effettuati dall'imputato, nel corso del dialogo, alle circostanze relative alla fine della relazione con la persona offesa.

Il collegio, peraltro, ha aggiunto che il delitto di cd. revenge porn «è integrato anche nell'ipotesi in cui la persona offesa non sia riconoscibile dalle parti intime oggetto di illecita diffusione, né da ulteriori elementi», perché la norma penale tutela le vittime dalla diffusione di immagini o di video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere virali, che avvenga senza il consenso delle persone rappresentate e non richiede anche che esse siano riconoscibili nelle immagini trasmesse.

Il delitto, infatti, è collocato nell'ambito di quelli posti a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale e individuale (Cass. pen., sez. V, 22 febbraio 2023, n. 14927). Tali valori devono ricevere una protezione assoluta, dovendo prescindersi dalla concreta riconoscibilità nel video o nelle immagini della persona le cui parti intime siano rappresentati.

Il motivo concernente l'utilizzabilità dello screenshot della chat, invece, è stato ritenuto infondato.

Al riguardo, la Corte ha ritenuto che, nel caso in esame, non viene in rilievo un profilo di segretezza della corrispondenza tutelabile ex art. 15 Cost., anche se l'immagine è stata trasmessa durante una chat tra l'imputato ed altra persona.

L'immagine, infatti, è stata trasmessa dall'imputato ad altra persona. Quest'ultimo, amico della persona offesa, a sua volta, l'ha inviata alla stessa per informarla della divulgazione. È stata la persona offesa, poi, per mezzo di screenshot, a fornire l'immagine agli inquirenti.

Lo screenshot, pertanto, non è stato acquisito da soggetti estranei alla conversazione alla quale si riferisce, ma è stato consegnato agli inquirenti, tramite la persona offesa, da colui che ha preso parte alla stessa.

La pretesa inutilizzabilità dell'immagine, d'altra parte, non sarebbe comunque dirimente nell'economia della decisione perché l'immagine prodotta - che pure non è stata rinvenuta sul dispositivo dell'imputato, né su quello del primo destinatario della stessa, verosimilmente perché cancellata - non è stata decisiva per pervenire all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente, a fronte della rilevanza probatoria delle convergenti dichiarazioni rese, senza acrimonia, sia dalla vittima, sia dal primo destinatario della immagine stessa.

Osservazioni

1. Entrambi i temi oggetto della decisione illustrata meritano di essere segnalati.

Con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 612-ter c.p., la Corte ha ribadito che il reato di diffusione di immagini o di video sessualmente espliciti senza il consenso della persona rappresentata, introdotto dalla legge 10/07/2019, n. 69, tutela la libertà morale individuale, la sfera di intimità personale e la riservatezza, intesa come diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale (Cass. pen., sez. V, 22 febbraio 2023, n. 14927).

Secondo la decisione in esame, la condotta incriminata consiste nella diffusione dell'immagine o del video, destinato a rimanere privato, prescindendo dalla riconoscibilità delle parti intime della persona offesa. Pertanto, anche nel caso in cui, nell'immagine o nel video a contenuto sessualmente esplicito, i destinatari non possano riconoscere la persona offesa, il reato è ugualmente configurabile, perché il bene protetto dalla norma è comunque leso per effetto della diffusione.

2.Quanto al secondo aspetto della sentenza illustrata, come è noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 del 7/06/2023, ha affermato che il concetto di "corrispondenza" ricomprende «ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza». La tutela accordata dall'art. 15 Cost. - che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – «si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale».

La Corte, pertanto, ha ritenuto che lo scambio di messaggi elettronici - e-mail, SMS, WhatsApp e simili - rappresenta una forma di corrispondenza che ricade nella previsione degli artt. 15 Cost.  Mantengono la natura di corrispondenza, inoltre, anche i messaggi di posta elettronica e WhatsApp già ricevuti e letti dal destinatario, ma conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente.

La Corte, difatti, ha optato per l'interpretazione secondo la tutela della corrispondenza di cui all'art. 15 Cost., iniziata nel momento in cui l'espressione del pensiero è affidata ad un mezzo idoneo a trasmetterlo, non si esaurisce con la ricezione del messaggio. Infatti, «degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall'art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all'invio segue immediatamente - o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile - la ricezione».

Il messaggio già ricevuto costituisce corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario «fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse e alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento storico».

Anzi, il carattere di corrispondenza deve «presumersi sino a prova contraria quando si discuta di messaggi scambiati … a una distanza di tempo non particolarmente significativa rispetto al momento in cui dovrebbero essere acquisiti …».

3. La sentenza della Corte costituzionale ha imposto di rimeditare l'indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, hanno natura di “documenti” ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicché la loro acquisizione processuale non soggiace, né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis c.p.p.), né a quella del sequestro di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p., la quale, peraltro, implica una attività di spedizione in corso (in quest'ultimo senso, con riguardo alle singole categorie di messaggi che di volta in volta venivano in rilievo, ex plurimis, tra le ultime, Cass. pen., sez. II, 1° luglio 2022, n. 39529; Cass. pen., sez. VI, 16 marzo 2022, n. 22417; Cass. pen., sez. V, 10 marzo 2021, n. 17552).

La Corte costituzionale, infatti, ha affermato che i messaggi di posta elettronica e quelli WhatsApp, già ricevuti e letti dal destinatario, ma conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente, mantengono la natura di corrispondenza. Il carattere di corrispondenza è conservato fino a quando, per il decorso del tempo, il messaggio non abbia perso carattere di attualità, aspetto da valutarsi in rapporto all'interesse delle parti alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento storico.

Dalla natura di corrispondenza deriva che i messaggi in esame, ancorché ormai custoditi nella memoria di un dispositivo elettronico, non sono documenti, come tali acquisibili ai sensi dell'art. 234 c.p.p., ma, anche dopo la ricezione da parte del destinatario, rientrano nella disciplina costituzionale dell'art. 15 Cost., con la conseguenza che devono essere acquisiti per mezzo di un provvedimento di sequestro ex art. 254 c.p.p. (Cass. pen., sez. II, 15 maggio 2024, n. 25549, in CED Cass. n. 286467 – 01).

A seguito della sentenza della Corte costituzionale, pertanto, secondo la Corte di cassazione, l'acquisizione delle chat presuppone che sia adottato un mezzo di ricerca della prova che rispetti l'art. 15 Cost. Il provvedimento di sequestro della corrispondenza previsto dall'art. 254 c.p.p. costituisce l'atto motivato dell'autorità giudiziaria che permette la limitazione della libertà e della segretezza della corrispondenza. Secondo l'art. 257 c.p.p., contro il decreto di sequestro, per inciso, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324 c.p.p.

Tale conclusione è stata condivisa anche dalle Sezioni Unite che, risolvendo un contrasto in tema di ordine europeo di indagine non rilevante nel caso in esame, oltre ad abbracciare le indicazioni della Corte costituzionale sulla nozione di corrispondenza, hanno chiarito che la tutela prevista dall'art. 15 Cost. non richiede che per la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza e, dunque, per la sua acquisizione ad un procedimento penale, sia necessario un provvedimento del giudice (Cass. pen., sez. un., 29 febbraio 2024, n. 23756, Giorgi, in motivazione, par. 14.2; Cass. pen., sez. un., 29 febbraio 2024, n. 23755, Gjuzi, in motivazione, par. 11.2).

4. L'art. 254 c.p.p., invero, disciplina espressamente il sequestro della corrispondenza. Questa norma prevede l'adozione di un provvedimento da parte del pubblico ministero che può riguardare, proprio come nella fattispecie in esame, anche la corrispondenza inoltrata “per via telematica”. Tale provvedimento, peraltro, deve essere eseguito «presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni», presupponendo, secondo l'interpretazione della giurisprudenza, un'attività di spedizione in corso (Cass. pen., sez. III, 25 novembre 2025, n. 928, dep. 2016, in CED Cass. n. 265991 – 01; cfr. il punto 4.3. della sentenza C. cost. n. 170/2023).

Riconducendo l'acquisizione della messaggistica elettronica al provvedimento di cui all'art. 254 c.p.p., è stato rimeditato, implicitamente, anche l'indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui il provvedimento di sequestro della corrispondenza presuppone che l'invio sia ancora in corso nel momento in cui interviene l'apprensione da parte dell'autorità pubblica.

5. L'acquisizione delle chat già inviate e conservate nella memoria del dispositivo elettronico che le ha spedite o di quello che le ha ricevute, d'altra parte, non può essere ricondotta alla disciplina delle intercettazioni.

Anche la Corte costituzionale, infatti, nella sentenza illustrata, ha ribadito la nozione di intercettazione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, precisando che il mezzo di ricerca della prova consiste nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l'intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato (Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2003, n. 36747, in CED Cass. n. 225465 - 01).

Ciò comporta, sul piano del mezzo di ricerca della prova con cui i messaggi già trasmessi e memorizzati dai dispositivi elettronici possono essere acquisiti nel processo penale, che debba escludersi il riferimento alla disciplina di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p.

6. Un indirizzo giurisprudenziale ha aggiunto che sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi WhatsApp acquisiti, in violazione dell'art. 254 c.p.p., mediante screenshot eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero (Cass. pen., sez. VI, 11 settembre 2024, n. 39548, in CED Cass. 287039; Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2024, n. 1269, dep. 2025, in CED Cass. n. 287504 – 01, in una fattispecie in cui l'imputato aveva dato il consenso alla verifica del proprio cellulare, che aveva provveduto a sbloccare, alla polizia giudiziaria durante un controllo, lamentandosi, con il ricorso per cassazione, soltanto di non essere stato avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore, oltre che del diritto di non prestare il consenso a tale accesso).

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che tale orientamento giurisprudenziale non sia applicabile perché lo screenshot dell'immagine inviata dall'imputato durante la chat non è stato acquisito dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa ed in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero, ma è stato consegnato agli inquirenti – tramite la persona offesa - dallo stesso soggetto che aveva ricevuto l'immagine e che aveva legittimamente preso parte alla conversazione.

Questo è il profilo più interessante della decisione in commento.

Sembra potersi affermare, pertanto, che l'interlocutore di una chat, che legittimamente detiene la stessa, possa disporre del suo contenuto, anche per l'esercizio delle sue prerogative, come, per esempio, per presentare una denuncia o una querela (ovvero per l'esercizio di doveri istituzionali, come nel caso del dirigente dell'ufficio che segnali i comportamenti disciplinarmente rilevanti che trovassero fondamento in tali chat).

Si tratta di una situazione diversa da quella che ricorre nel caso in cui l'accesso alla chat avviene ad opera della polizia giudiziaria, nel corso dell'indagine.

Anzi, in un'altra sentenza è stato osservato che «il diritto alla segretezza della corrispondenza tutelato dall'art. 15 della Carta costituzionale e dalle disposizioni processuali che ne regolano l'acquisizione, se hanno una valenza in caso di acquisizioni "coattive" presso l'interessato non possono ritenersi applicabili nel caso - come quello in esame - in cui è stato proprio l'interessato a mettere a disposizioni degli inquirenti i messaggi da lui detenuti tanto è vero che non si è reso neppure necessario procedere al sequestro dell'apparato cellulare» (così, Cass. pen., sez. II, 21 gennaio 2025, n. 9473).

La decisione, peraltro, non può definirsi incontrastata.

In altro ambito, infatti, è stato affermato che i messaggi scambiati in una chat privata, seppure contenenti commenti offensivi nei confronti della società datrice di lavoro, non costituiscono giusta causa di recesso poiché, essendo diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone, vanno considerati come la corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, e sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria in quanto, ove la comunicazione con più persone avvenga in un ambito riservato, non solo vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie ma si impone l'esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse (Cass. civ., sez. Lavoro, 4 dicembre 2024, n. 5936, dep. 6/3/2025; Cass. civ., sez. Lavoro, 10 settembre 2024 n. 21965). Sembrerebbe potersi desumere che, secondo questa impostazione, neppure l'interlocutore della chat possa violare la segretezza della conversazione, disponendo del messaggio.

7. Va aggiunto che la Corte di giustizia, Grande Camera, 4 ottobre 2024, C.G. c. Bezirkshauptmanschaft Landeck (C-548/21) ha affermato che l'accesso ai dati personali conservati in un telefono cellulare può costituire un'ingerenza grave, o addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali dell'interessato, e, pertanto, deve essere subordinato — salvo in casi di urgenza debitamente comprovati — a una previa autorizzazione da parte di un giudice o di un'autorità indipendente, volto a garantire un giusto equilibrio tra i legittimi interessi connessi alle esigenze dell'indagine nell'ambito della lotta alla criminalità e i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali.

Nell'ordinamento nazionale, nondimeno, il decreto di sequestro del cellullare, inteso come contenitore di una pluralità di dati tra cui le chat, è adottato dal pubblico ministero.

Confrontandosi con la sentenza della Corte europea, un orientamento della Corte di cassazione ha affermato che «Ente amministrativo autonomo [è] certamente individuabile, quanto all'ordinamento italiano, nella figura del Pubblico Ministero, quale autorità giudiziaria che nell'esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore idonee a garantire anche i diritti dell'indagato» (Cass. pen., sez. V, 28 gennaio 2025, n. 8376).

Un diverso indirizzo, invece, ha affermato che «l'accesso ai dati contenuti in un dispositivo informatico a fini di indagine penale richiede il controllo di un giudice o di un organo amministrativo indipendente, che - secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia - devono essere terzi rispetto all'organo che richiede l'accesso. Ne consegue che tale funzione di controllo non può essere esercitata dal pubblico ministero, per la sua natura di parte processuale, a prescindere dal suo statuto di autonomia». Ciò tuttavia non comporta l'inutilizzabilità nel processo penale delle chat acquisite dal pubblico ministero per due ragioni. In primo luogo, secondo la sentenza della Corte di Giustizia 20 aprile 2024 C-670/22, riferita al caso dell'acquisizione di prove dall'estero (vicenda "Encrochat"), è escluso che una regola di divieto probatorio possa derivare direttamente dalle disposizioni dell'Unione. In secondo luogo, la sanzione di inutilizzabilità ai sensi dell'art. 191 c.p.p. consegue unicamente alla violazione di uno specifico divieto probatorio, che non è previsto per il caso in esame (Cass. pen., sez. VI, 1 aprile 2025, n. 13585).

8. Appare opportuno anche segnalare che, in data 10 aprile 2024, è stato approvato al Senato un disegno di legge che mira ad apportare modifiche al codice di procedura penale in materia di sequestro di dispositivi, sistemi informatici o telematici o memorie digitali. Si tratta del disegno di legge AS n. 806, che prevede l'introduzione dell'art. 254-ter c.p.p., intitolato “Sequestro di dispositivi e sistemi informatici o telematici, memorie digitali, dati, informazioni, programmi, comunicazioni e corrispondenza informatica inviate e ricevute”.

Secondo la norma che si intende introdurre, nel corso delle indagini preliminari, il giudice per le indagini preliminari, a richiesta del pubblico ministero, dispone con decreto motivato il sequestro di dispositivi e sistemi informatici o telematici, o di memorie digitali, necessari per la prosecuzione delle indagini in relazione alle circostanze di tempo e di luogo del fatto e alle modalità della condotta, nel rispetto del criterio di proporzione. Il pubblico ministero, pertanto, salvo ricorra una situazione d'urgenza, non sarà più l'autorità giudiziaria deputata a disporre il sequestro del “contenitore” dei messaggi, ma sarà deputato solo all'esecuzione del decreto che dispone il sequestro.

Entro cinque giorni dal deposito del verbale di sequestro, poi, il pubblico ministero avviserà la persona sottoposta alle indagini, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, la persona offesa dal reato e i relativi difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento dell'incarico per la duplicazione del contenuto dei dispositivi informatici, dei sistemi informatici o telematici, o delle memorie digitali in sequestro, e della facoltà di nominare consulenti tecnici. Effettuata la duplicazione, dispone senza ritardo la restituzione dei dispositivi informatici, dei sistemi informatici o telematici, o delle memorie digitali all'avente diritto.

Sempre secondo il disegno di legge in esame, quindi, effettuata l'analisi del duplicato informatico, il pubblico ministero procederà con decreto motivato al sequestro dei dati, delle informazioni e dei programmi strettamente pertinenti al reato in relazione alle circostanze di tempo e di luogo del fatto e alle modalità della condotta, nel rispetto dei criteri di necessità e proporzione. Qualora il pubblico ministero intenda procedere al sequestro dei dati inerenti a comunicazioni, conversazioni o corrispondenza informatica inviate e ricevute, peraltro, lo richiederà al giudice per le indagini preliminari, che provvederà con decreto motivato, disponendo il sequestro in presenza dei presupposti di cui al primo periodo e agli artt. 266, comma 1, e 267, comma 1, c.p.p.

La conservazione del duplicato informatico, infine, avverrà presso la Procura della Repubblica, in luogo protetto da specifiche misure di sicurezza, con modalità tali da assicurare l'assoluta riservatezza (anche se suscita meraviglia che tale “luogo protetto” non sia stato indicato nell'archivio delle intercettazioni di cui all'art. 269 c.p.p. e 89-bis disp. att. c.p.p.).

9. Appare infine utile segnalare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale, ai fini dell'utilizzabilità della trascrizione delle conversazioni via WhatsApp effettuata dalla persona offesa, la necessità di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilità della persona offesa e dell'attendibilità delle sue dichiarazioni accusatorie (Cass. pen., sez. V, 6 ottobre 2021, n. 2658, dep. 2022, in CED Cass. n. 282771). 

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.