Processo contumaciale: rescissione del giudicato e restituzione in termini post Cartabia
16 Maggio 2025
Massima Inapplicabili la rescissione del giudicato e il “nuovo” art. 175, comma 2.1, c.p.p. ai processi contumaciali (anche) dopo l'intervento della riforma Cartabia. È escluso, poi, che si possa riqualificare la richiesta di rescissione del giudicato come istanza di restituzione nel termine. Il caso L'imputato aveva presentato istanza di rescissione del giudicato alla Corte di appello di Firenze, sostenendo di avere avuto conoscenza della condanna soltanto il 5 maggio 2024 con la notifica dell'ordine di esecuzione; tutti gli atti del procedimento erano stati notificati al difensore d'ufficio – presso cui era domiciliato – ma con il quale non aveva mai avuto contatti. La sentenza del giudice di appello era stata pronunciata il 29 maggio 2015 all'esito di un processo celebrato in contumacia. Il Giudice di appello aveva convertito la richiesta di rescissione del giudicato, riqualificandola come istanza di restituzione nel termine per impugnare e aveva trasmesso gli atti alla Corte di cassazione. La questione Nel periodo intercorso tra la celebrazione in contumacia del procedimento di merito e l'istanza di rescissione del giudicato, sono intervenute due leggi (28 aprile 2014, n. 67 e 27 settembre 2021, n. 134) che hanno soppresso la contumacia e modificato la disciplina della rescissione del giudicato e della restituzione in termini. Prima di ogni altra considerazione, è opportuno dar conto delle modifiche intervenute, prestando la dovuta attenzione all'interpretazione giurisprudenziale seguitane. Le soluzioni giuridiche Prima del 2014, vigeva il trinomio presenza – contumacia – assenza. In particolare, nel 2005, il legislatore – per ovviare alle censure della Corte EDU – aveva riformato la disciplina della restituzione nel termine di cui all'art. 175 c.p.p., al fine di garantire il diritto dell'imputato a partecipare al processo avendo effettiva e compiuta conoscenza dell'accusa. In particolare, si era stabilito che l'imputato in contumacia dovesse essere restituito in termini, salvo il caso in cui avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento. La l. n. 67/2014 ha - come si è detto - abolito la contumacia, passando al binomio presenza – assenza, e rivisto il sistema dei rimedi ripristinatori, con l'introduzione della rescissione del giudicato e la riduzione dell'ambito applicativo della restituzione nel termine per impugnare, giustificata dalle maggiori tutele assicurate all'imputato con il nuovo processo “in assenza” e con l'introduzione della rescissione del giudicato. Nel contesto post riforma, la giurisprudenza si era impegnata per delineare l'ambito applicativo dei due differenti rimedi. In particolare, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che l'istituto della rescissione del giudicato doveva essere applicato ai soli procedimenti in cui era stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420-bis c.p.p., mentre per i procedimenti contumaciali continuava ad operare la previgente disciplina della restituzione nel termine (Cass. pen., sez. un., 17 luglio 2014, n. 36848, Burba, Rv. 259992). In estrema sintesi dal 2014:
Malgrado l'intervento legislativo, il sistema di valutazione dell'assenza rimaneva incentrato sulla presunzione della conoscenza del processo, ripresentandosi, perciò, le medesime criticità censurate dalla giurisprudenza europea. In quel contesto, le Sezioni Unite, per conformarsi alla Corte EDU, interpretavano le disposizioni relative al processo in absentia, riaffermando principio per cui era indispensabile che l'imputato avesse avuto conoscenza “effettiva” del procedimento (Cass. pen., sez. un., 28 febbraio 2019, n. 28912, Innaro, Rv. 275716 – 01; Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, n. 23948, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420). Al fine di recepire gli approdi giurisprudenziali e per adeguarsi alle indicazioni europee, in particolare alla direttiva UE 343/2016, la Riforma Cartabia riformulava, pressoché integralmente, il procedimento in assenza di cui all'art. 420-bisc.p.p., da un lato, abbandonando il sistema delle presunzioni e affermando la centralità del giudice nella verifica in concreto della conoscenza effettiva del processo da parte dell'imputato, dall'altro, estendendo la portata applicativa della restituzione in termine per l'imputato giudicato in assenza con l'inserimento del comma 2.1 nell'art. 175 c.p.p. (per maggiore approfondimento si veda R. Bricchetti, Prime riflessioni sulla riforma Cartabia: udienza preliminare e processo in assenza, IUS Penale, 24 gennaio 2023). Nel caso di specie, il Giudice di legittimità afferma l'inapplicabilità della rescissione del giudicato e del riformato regime della restituzione in termini al procedimento contumaciale, atteso che tali istituti sono garantiti, almeno a partire dalla riforma del 2014, ai soli condannati nei cui confronti si sia proceduto in assenza. L'ordinanza accoglie pertanto i principi affermati da Cass. pen., sez. un., 17 luglio 2014, cit. nel periodo immediatamente successivo all'abrogazione dell'istituto della contumacia. In particolare, ai processi in contumacia, si deve applicare il rimedio ripristinatorio ante-riforma 2014 (di cui al vecchio art. 175, comma 2, c.p.p.), pur essendo improbabile che si possa addivenire a sentenze contumaciali dopo l'entrata in vigore della riforma Cartabia. Inoltre, la Corte, conformandosi alla citata sentenza delle Sezioni Unite, ha escluso che i condannati in contumacia possano sollevare questioni di diritto intertemporale. I procedimenti contumaciali si svolgevano secondo il regime stabilito dalla previgente normativa, perciò lo jus superveniens, chedisciplina soltanto l'imputato “assente”, non è in grado di manifestare alcuna interferenza sui precedenti procedimenti. Non meno importante, la Corte di cassazione esclude che si possa riqualificare la richiesta di rescissione in istanza di restituzione nel termine. In senso opposto si era espresso il Giudice di appello, che – condividendo un orientamento giurisprudenziale minoritario della Corte di cassazione (cfr. Cass. pen., sez. VI, 19 novembre 2022, n. 2209) – aveva riqualificato la richiesta di rescissione formulata dall'imputato, nel rimedio ripristinatorio di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p. del testo previgente alla l. n. 47/2014. Il Giudice di appello non ha considerato che i due rimedi, pur concorrendo in taluni casi, si differenziano sotto molteplici profili. Anzi tutto, è diverso l'ambito applicativo dei due istituti. La rescissione prevista ai sensi dell'art. 629-bisc.p.p.può essere richiesta qualora l'imputato sia dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti ai sensi dell'art. 420-bis. La restituzione in termini è limitata, invece, al caso in cui venga celebrato il processo “in assenza”, in difetto dei soli requisiti di cui al secondo e terzo comma dell'art. 420-bis. Inoltre, è differente l'oggetto della prova che deve fornire il soggetto richiedente. In caso di rescissione, il condannato deve provare di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa, mentre per la restituzione in termine occorre, altresì, dimostrare di non aver avuto effettiva conoscenza del procedimento. Infine, gli istituti differiscono per natura, costituendo la rescissione un mezzo di impugnazione straordinario a differenza della restituzione in termini. Secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario della Corte di legittimità (Cass. pen., sez. II, 2 febbraio 2024, n. 4794; Cass. pen., sez. III, 8 luglio 2022, n. 33647) l'impossibilità di convertire la rescissione nel rimedio ripristinatorio, risiede proprio nella difformità della natura degli istituti. In particolare, questa diversità non consente di applicare il c.d. principio di conservazione di cui all' art. 568 , comma 5, c.p.p. Invero, questo articolo disciplina soltanto i rimedi qualificati come “impugnazioni” dal codice di rito, stabilendo che la qualificazione che rileva ai fini dell'impugnazione non è quella che può essere (erroneamente) stata attribuita dalla parte, bensì quella ritenuta dal giudice. Ne consegue che, il principio di conservazione, disciplinando esclusivamente i mezzi d'impugnazione, non consente di convertire ope legis la rescissione del giudicato nella restituzione in termini, stante la diversa natura di quest'ultimo istituto. Alla medesima conclusione era giunta la Corte a Sezioni Unite nel caso Burba, sebbene attraverso un percorso argomentativo differente. La difesa dell'imputato – nei cui confronti si era proceduto in contumacia – chiedeva in udienza, in via subordinata, che la domanda di rescissione del giudicato fosse qualificata come istanza di restituzione in termine (di cui all'art. 175 c.p.p. del testo antecedente all'entrata in vigore della l. n. 67/2014). La Corte, nella sua più autorevole composizione, dichiarava inammissibile l'istanza, affermando che, il rimedio ripristinatorio, pur avendo in comune la causa petendi con la richiesta di rescissione formalmente depositata (ovverosia l'asserita non conoscenza da parte dell'imputato del procedimento penale a suo carico), tuttavia, si contraddistingueva nel petitum. L'istanza originariamente sottoposta alle Sezioni Unite, infatti, era univocamente diretta alla rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 625-terc.p.p. con conseguente richiesta di revoca della sentenza di appello e trasmissione degli atti al giudice, differenziandosi radicalmente dall'istanza di restituzione in termine presentata in via subordinata. |